20.3.17

La mia vita con Marx. Intervista ad Àgnes Heller (Bruno Ventavoli)

TORINO
Ha scoperto la filosofia grazie all'amore, poi la filosofia è diventata l'amore d'una vita. La ragione per cui mettere in gioco un'intera vita, senza compromessi, con coraggio e dignità. L'ungherese Agnes Heller, 80 anni, uno dei più importanti pensatori della modernità, sopravvissuta all'Olocausto (suo padre morì), avrebbe voluto fare la scienziata nel suo Paese appena uscito dalla guerra. Il fidanzato la portò a una lezione di Lukàcs. Lei afferrò poco di quelle parole su Hegel, ma fu una folgorazione, decise di abbandonare numeri e formule per distillare il sapere umano. Ma nell'Ungheria socialista degli Anni 50 e 60, finita dall'altra parte della cortina di ferro, la filosofia era materia da maneggiare con più cura di atomi e materia. Venne espulsa dal partito comunista nel '49, poi riammessa, quindi espulsa di nuovo nel '58 («perché c'erano due alternative, o quella del partito o quella della filosofia»). Chi era escluso stentava a vivere, studiare, ricercare, pubblicare. La Heller se la cavò facendo l'insegnante, ricerche sociologiche, subendo, però, la pressione della polizia, le spie, [ i finti amici. Alla fine degli Anni 70, la scelta di espatriare. Prima l'Australia, poi New York. Adesso fa la spola tra la New School di New York e Budapest.

Professoressa Heller, quanto è stato importante Marx importante Marx nella sua vita personale?
«Sono stata studentessa di Lukàcs. Lui si definiva marxista, e così anch'io ho creduto di esserlo. Dopo guerra, morte, Olocausto, il comunismo sembrava offrire soluzioni per superare la sofferenza e l'oppressione, prometteva una redenzione per l'umanità. Ma scoprii ben presto che l'essenza del marxismo era buona, ma io rigettavo la rivoluzione del proletariato che era un'idea fasulla. Mi consideravo marxista, senza aver mai letto praticamente niente di Marx. Fino ai primi Anni 50, Marx, in Ungheria era una materia chiusa. Era difficile leggerlo, interpretarlo al di fuori dell'ortodossia. In un certo senso cominciai a sentirmi marxista perché ero diventata ostile al partito comunista. Sembra un controsenso. Ma la vita quotidiana di allora era spesso un tragico controsenso».

Quando è avvenuta la vera scoperta di Marx?
«Nel '53 Nagy fu nominato primo ministro e molte cose cambiarono. Parlava un linguaggio diverso, la gente usciva dalle prigioni. Da quel momento io e altri giovani filosofi abbiamo scoperto un Marx diverso da quello del Capitale. A quel punto sono diventata una "vera" marxista perché ho potuto leggere direttamente i testi, i suoi testi. Intorno a Lukàcs si formò un gruppo di studio per la "rinascenza" di Marx, significava negare le interpretazioni esistenti e ritornare alle radici di Marx per capire che cosa aveva davvero detto. Molti si innamorarono del giovane Marx, dei Manoscritti di Parigi. Sentivamo che l'essenza del marxismo era buona, anche se l'apparenza era cattiva. Io rigettai però aspetti molto importanti di Marx come il paradigma della produzione, del lavoro, il proletariato come soggetto della rivoluzione. Invece di rivoluzione politica, parlavo di rivoluzione della vita quotidiana. Insomma sono diventata una "new leftist" prima che la "nuova sinistra" si sviluppasse nel '68, e ho cominciato ad allontanarmi da Marx, a guardarlo in maniera assolutamente critica».

Si sente ancora marxista?
«Non sono marxista, e forse non lo sono mai stata nel senso ortodosso del termine, come dicevano i dirigenti del partito. In questo il partito aveva ragione... Non sono nessun "ista", sono semplicemente me stessa. Un giorno a Foucault chiesero se era strutturalista o poststrutturalista, lui rispose io sono Foucault. Io sono Àgnes Heller».

Di fronte alla crisi della società liberale, forse anche per disperazione e pentimento, qualcuno ricomincia a parlare di Marx. E' possibile riscoprirlo?
«Marx è stato uno dei più significativi pensatori del XIX secolo, può continuare a essere letto, e reinterpretato. Farlo non significa necessariamente essere marxisti. Se leggi Hegel, non per questo sei hegeliano. Può ancora essere utilizzato? La questione è aperta. Ho un atteggiamento ambivalente nei suoi confronti, credo che sinistra» si per certi versi sì, e per altri no. La sua descrizione del capitalismo è ancora molto valida, ma ciò che disse a proposito del collasso del capitalismo, della rivoluzione proletaria, della società comunista, è irrilevante».

È stato difficile vivere e fare filosofia lontano dal suo Paese?
«Sono stata lontano dal mio Paese dal '79 all'89. Dieci anni non sono granché. È stato più difficile fare filosofia quando vivevo "nel" mio Paese, perché non ero libera di frequentare biblioteche, discutere. Parlare di "Paese" è comunque più importante dal punto di vista politico che filosofico, la filosofia è qualcosa di molto generale. Se vai a Teheran, in Cina, trovi persone interessate agli stessi problemi che ci sono a New York o Londra. La forma specifica nel "mio Paese" è politica, perché non sono solo una filosofa, sono anche una cittadina. Interagisco con la società civile nella quale vivo, con i miei simili. Amo avere contatti con gli altri. Sono molto presente nei mass media, dove cerco di usare un linguaggio poco filosofico per essere compresa da tutti».

Il filosofo può cambiare il mondo?
«Forse è meglio che non abbia l'ambizione di farlo, nelle società bolsceviche ci sono stati esempi e s'è visto com'è andata a finire».

Nella sua lezione di oggi, a Torino, sul corpo, lei sfiora i temi che la appassionano da decenni, i bisogni emotivi, le relazione tra gli esseri umani...
«Da Aristotele, che ha lodato l'autokephalos, l'uomo che non ha bisogno di altri uomini, fino a Kant, che ci consigliò di abbandonare i nostri sentimenti e di obbedire solamente al comando della "ragion pura pratica" dentro di noi, la perfetta autonomia di ogni singolo essere umano è stata concepita come l'apice della perfezione. Ma lo è? La maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che non possa esserlo e che, quand'anche lo fosse, non si potrebbe sapere se essa sia stata veramente raggiunta. Quello che voglio dire è diverso: la perfetta autonomia individuale trasformerebbe gli esseri umani in mostri».

“La Stampa”, 17 novembre 2008

Nessun commento:

statistiche