7.3.11

Camilla Ravera e...

Nell’aprile 1987 il quotidiano “l’Unità”, per ricordare degnamente il cinquantenario della morte del suo fondatore, regalo ai lettori un corposo volumetto, duecento e più pagine, dal titolo Antonio Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo. Contiene tra l’altro una bella intervista di Stefano di Michele a Camilla Ravera, che è la fonte dei brani che seguono. (S.L.L.)

Camilla Ravera e Lenin
Eravamo nel suo studio. Io gli parlavo dei problemi dell’emancipazione delle donne  e del partito. Lui mi interruppe: “Sulla questione femminile gratta gratta un comunista e anche lì viene fuori un reazionario”.
Camilla Ravera e Gramsci
A Roma io e Antonio facevamo spesso lunghe passeggiate discutendo animatamente. Allora lui era deputato. Ogni tanto arrivava il suono di una chitarra e lui si fermava ad ascoltarla, attento. Poi si andava a mangiare, in qualche trattoria vicina alla stazione Termini o a largo Argentina. C’è un episodio che ogni volta mi fa sorridere. andavamo spesso in un’osteria che ora non esiste più, in un vicolo vicino largo argentina, scomparso durante i lavori del ’26. Il locale era rinomato per la sua specialità: il coniglio. Un giorno ci avviciniamo e vediamo alcuni poliziotti davanti alla porta d’ingresso. Cercano noi? Ci aspettano? Ci prendono? Preoccupati, ci tiriamo un po’ indietro. Un vecchietto appoggiato all’angolo nota il nostro stupore e ci dice: “L’ha chiuso la polizia. Nel piatto ci mettevano gatti, altro che conigli…”. Tirammo il fiato, ma in quel locale non mettemmo più piede.

Camilla Ravera e Pertini
Mi disse, con molta tristezza, delle amarezze sofferte da Gramsci a Turi, per assurdi atteggiamenti incapaci di comprendere il pensiero, il discorso politico di Gramsci. Pertini lo aiutò molto per ottenergli un tavolino, una sedia, una cella meno tormentata. Io gliene ero, e sono, molto grata.
Camilla Ravera e Terracini
Io e Umberto sostenevamo che, se il principio del socialismo era universale, ogni paese aveva il diritto di costruirlo sulle proprie esigenze e specificità e che un passaggio di società come quello che c’era stato in Russia non era obbligato anche da noi; mentre altri compagni, come Secchia e Scoccimarro, consideravano errato il solo fatto di pensare che la via seguita in Urss potesse non essere universale come se tutto fosse già stabilito e preparato. Mi hanno sempre fatto paura le idee settarie e chiuse: forse perché sia io che Terracini ci eravamo formati nel gruppo di Gramsci dove c’era una grande capacità di critica e di discussione. Così ci cacciarono via del Partito. Sì, fu per me un momento molto amaro.

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