15.5.11

Come sono diventato antifascista (di Aldo Natoli)

Nel 1995 “il manifesto” celebrò i 50 anni della Liberazione pubblicando una serie di inserti sulla Resistenza dal titolo Vi ricordate quel 25 aprile. Nel primo di quegli inserti Ritratto dell’antifascista da giovane è contenuta una lunga intervista di Elisabetta Castellani a Pietro Ingrao e Aldo Natoli, da cui ho recuperato questa testimonianza. (S.L.L.)
Io non mi sono interessato di politica fino al 1934, quando cioè avevo già 21 anni. Fu allora che ebbi il primo incontro, del tutto inatteso, con la politica, e l’ebbi attraverso la conoscenza che feci qui a Roma con dei giovani tedeschi ebrei che erano fuggiti dalla Germania. Mio padre mi aveva fatto imparare il tedesco fin da ragazzo, avevo già preso l’abitudine che è durata tutta la vita di leggere in tedesco. A quel tempo avevo letto i più importanti tra i classici tedeschi. La Germania era perciò un paese la cui cultura e la cui musica mi affascinavano. Improvvisamente scoprivo che dalla Germania arrivava questo orrore: giovani esclusi dai diritti civili, perfino da scuola, praticamente costretti ad andare via solo perché ebrei. Allora non c’era ancora l’orrore dei campi di sterminio, ma c’era già questa tremenda discriminazione che umiliava e in me, allora molto giovane e inesperto, destava una reazione rabbiosa. Direi che il primo momento in cui cominciai a pormi problemi che sarebbero diventati politici fu quest’incontro con l’antisemitismo nazista. Un’altra scossa la ebbi nel 1935 con la guerra d’Abissinia: fu il momento in cui mi accorsi che non potevo più continuare a vivere ignorando quello che avveniva nella politica, sia italiana che europea e mondiale, giacché la guerra d’Abissinia s’inseriva in una situazione europea già scossa dalle prime mosse di Hitler. Io a quel tempo ero intriso in un certo pacifismo ed ero spontaneamente contro la guerra. Il mio “educatore massimo”, dal punto di vista delle letture, fu Bruno Sanguinetti. Mi fece leggere un libro, una raccolta di saggi di un “curioso” moralista francese che si chiamava Alain. Era un pacifista e il libro, molto bello – di brevi saggi contro la guerra – si chiamava Mars ou la guerre jugée: lì io appresi la moralità del pacifismo. 
Frequentavo nello stesso periodo la casa dei Lombardo Radice, un ambiente di antifascisti che non si erano piegati, e lì avevo avuto l’occasione di conoscere altri antifascisti. In quegli anni ho conosciuto Giaime Pintor: Lucio Lombardo Radice, Giaime ed io andavamo a giocare a tennis sempre insieme. A porci degli interrogativi fu soprattutto Bruno Sanguinetti. Era un tipo eccezionale, straordinario in tutti i sensi. Era già un “vecchio” comunista, perché era comunista dal 1928. Era stato all’estero, prima in Belgio poi in Francia, e in Francia era entrato nel Pcf, da cui poi lo avevano espulso, ingiustamente. Era poi ritornato in Italia ed era lui l’animatore di questo primo gruppo antifascista non ancora organizzato. Non ci potevamo dire comunisti, ma lui, Lucio, Aldo Sanna e io andavamo in giro per Roma a leggere il Manifesto del Partito Comunista. Dovevamo stare attenti a non  alzare troppo la voce per non attirare l’attenzione: non era testo che si potesse leggere e discutere impunemente alla Passeggiata archeologica.
L’interesse politico era comunque ancora incerto, intriso di moralismo. Esso assume una forma precisa solo con la guerra di Spagna ove i fronti sono contrapposti e più chiari da individuarsi: da una parte c’è il fascismo, anche quello italiano che è intervenuto, dall’altra ci sono i repubblicani, i comunisti, l’Unione Sovietica che manda le armi. Ricordo molto bene come nell’autunno del 1936 i giornali italiani pubblicassero trionfalmente la notizia che sottomarini “ignoti” avevano silurato navi sovietiche davanti a Barcellona. Erano le navi che portavano armi ai repubblicani.

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