6.5.11

Febbre di vita. La giovanilità tenace di Michele Bakunin (Nello Rosselli)

La vita di Michele Bakunin è veramente eccezionale per la intensa attività che la caratterizza tutta. Non è vita, ma febbre di vita. Non v’è problema che non lo interessi, esperienza ch’egli non abbia tentato: dalla carriera militare ai banchi dell’Università, dalla vita agiata alla più misera, dalla deportazione in Siberia all’esilio in Inghilterra, in Italia, in Svizzera, dagli studi di filosofia alle cospirazioni e alle rivolte politiche. L’entusiasmo senza limiti, la giovanilità tenace, il perenne rifiorire delle illusioni ci spiegano come Bakunin potesse sopportare un’esistenza così tormentata e ansante. La dura realtà della vita non lo piegò mai. Dalle delusioni germogliarono sempre nuove illusioni.
Spirito ardente, insofferente d’ogni autorità, intollerante d’ogni dogma, facile ad ingannarsi ingenuamente sulla vera situazione, a figurarsela, nonostante ogni prova contraria, conforme ai suoi desideri, ingigantendo la portata di modesti avvenimenti o di sintomi isolati, si compiaceva della fama leggendaria e misteriosa che lo circondava. Spirito turbolento e inquieto, straordinariamente attivo, era sempre a maturare nuovi disegni teorici e pratici di rinnovamento politico, sociale e morale dell’umanità intera; e, per la loro attuazione, seguendo un impulso istintivo e una tradizione ancor viva e feconda nel suo paese d’origine, tramontata e ormai quasi oggetto di scherno nei paesi dell’Europa occidentale, preferiva le organizzazioni segrete, la stampa clandestina, la corrispondenza cifrata, insomma i sistemi del cospiratore. Che quei disegni si attuassero o no, era secondario: nutrimento indispensabile alla sua esistenza era la loro elaborazione, che gli faceva attraversare periodi di vera febbre intellettuale, nei quali pareva ritemprare inesauribilmente la sua energia.
Non forte scrittore, anzi spesso prolisso e confuso: quasi sempre irruente, a volte efficacissimo polemista e fine umorista. I continui viaggi ed il contatto con innumerevoli persone avevano fatto di lui un vero campione d’internazionalismo: in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Italia, in Svizzera: forse più che in Russia! Di qui la comprensione stupefacente che egli ebbe degli ambiente più diversi. Chi legga oggi certi giudizi suoi dell’Italia, delle sue classi dirigenti, dei suoi uomini più notevoli espressi soltanto pochi mesi dopo esservi giunto, non può non esserne colpito. L’esagerazione, la generalizzazione, il paradosso che quasi sempre li infirma, non sono che veli superficiali sotto ai quali trapela l’osservazione acuta e originale. questa facoltà di penetrare il carattere di ogni paese e di viverne le aspirazioni e i problemi fece sì che, prima che un internazionalista per ragionamento, egli fosse un internazionalista per istinto, per intima e prepotente necessità.

Da Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Einaudi, Torino, 1967.

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