7.5.11

Rina Gagliardi critico letterario. Lettura di "Orgoglio e pregiudizio" (1986)

Qualcuno ha definito Rina Gagliardi «la migliore giornalista che abbia mai conosciuto, ancora meglio di Montanelli, Pintor e Scalfari». Con qualche ragione, sebbene l’autore della definizione non sia del tutto affidabile. Altri hanno ricordato, dopo la sua morte (27 giugno 2010) la “compagna” Gagliardi, onesta, intelligente e generosa, da militante e da parlamentare.
Pochi, invece, ne hanno ricordato l’acume e il gusto di critico letterario.
Eppure l’antologia sui crepuscolari Poeti del riflusso, che Rina curò per Savelli nel 1979, oltre che una scelta originale di testi (organizzata per temi e motivi) e dei commenti brevi e densi, contiene una perspicua introduzione, degna di figurare nelle antologie scolastiche.
A ulteriore documento della sua capacità di leggere ed intelligere  (“leggere dentro”) ho casualmente ritrovato una sua interpretazione di Orgoglio e pregiudizio (1813), il capolavoro di Jane Austen, scritta per la rubrica estiva del “manifesto” Un tocco di classico, nell’agosto del 1986 (la serie di articoli, dedicata a capolavori letterari d’ogni tempo e paese, divenne nel 1987 un prezioso volumetto delle edizioni di Elvira Sellerio). Ne “posto” qui il brano finale (il titolo, mio, non è quello del “pezzo” intero), breve ma sufficiente a dar conto delle qualità critiche della nostra indimenticabile Rina. (S.L.L.)

La conversazione permanente
Orgoglio e pregiudizio, infine, è un grande esercizio di scrittura mozartiana, dominato dall’armonia della parola e di uno stile cristallino. Quasi completamente assente ogni riferimento alla “natura”, ridotta al minimo, e sempre funzionalmente, le descrizioni d’ambiente, il romanzo si ritma su una conversazione permanente tra i personaggi, piccoli e grandi. Se mai leggessimo questo romanzo in un’indebita chiave psicologica, dovremmo concentrarci sommamente su questa spirale comunicazionale che determina non solo la vita di relazione, ma quella individuale.
Darcy comincia ad essere attratto da Elizabeth in virtù delle sue capacità di conversazione: della sua singolare acutezza, e sicurezza, di giudizio. Elizabeth, in realtà, è sempre stata attratta da Darcy poiché è l’unico serio antagonista intellettuale che si trova di fronte nella vita quotidiana. Raramente una storia d’amore è stata descritta con questa precisione: un esercizio dialettico, un rapporto di comunicazione che cresce, s’interrompe, passa attraverso la lontananza, e – pochi attimi prima del lieto fine – rischia di vanificarsi per la difficoltà di trovare le parole. Vero è che l’altra coppia del romanzo, Giovanna e Bingley, dialoga pochissimo e non ha un vero e proprio interscambio verbale; ma Giovanna e Bingley sono, in una certa misura, un contrappunto alla storia principale – due personaggi fin troppo buoni e felici, privi di ombre e di sfumature, e l’autrice, è fin troppo evidente, un po’ li disprezza.
Viceversa, certo, la parola attiene anche al mondo delle apparenza e delle crudeltà. I personaggi più negativi di Orgogli e pregiudizio – Whickham, Lidia, Collins, Lady De Bourgh – parlano come fiumi in piena: non per caso parlano a se stessi, per compiacersi di un’arte, o per affogare nella retorica. L’ironia dell’autrice che avvolge come uno spago sottile ogni momento del racconto, e non risparmia quasi nessuno (“che cos’è la vita” dice il signor Bennett “ se non la possibilità di prendersi gioco dei nostri simili?”) si fa, a larghi tratti, perfino pesante sarcasmo. Ma sarà, appunto, attraverso la sua limpida forma chiusa, la sua specifica arte della parola, che il “miracolo” di Orgoglio e pregiudizio è rimasto intatto, fino ai nostri giorni.

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