26.2.12

La mamma di Simenon

Georges Simenon non ebbe rapporti facili con sua madre: per quasi cinquant’anni si videro pochissimo. Quando la madre, novantenne, stava per morire in un ospedale di Liegi, il figlio tornò da lei e si sentì chiedere: “Perché sei venuto, Georges?”. Dall’incontro-scontro, fatto di sguardi più che di parole, nacque una Lettera alla madre (Adeolphi, 1985), che già nel titolo rinvia alla più nota Lettera al padre di Kafka. Simenon rievoca i momenti cruciali del rapporto e l’ipersensibilità della donna, imparentata con la follia. Ne riprendo qui un brano, assai duro. (S.L.L.)
C’è una scena che non ho mai potuto cancellare dalla memoria, e che ha segnato la mia giovinezza. Dovevo avere dodici, tredici anni.
Ho dimenticato perché tu fossi arrabbiata con me. Da parte mia, ti tenevo testa. Neanch'io sono il tipo che cede, quand'è convinto d'aver ragione, lo ammetto.
Comunque, hai avuto una delle tue crisi di nervi, come ne avevi prima delle nostre passeggiate domenicali. Ti sei precipitata su di me, incapace di controllarti. Non capivo le parole che dicevi, perché istintivamente ti eri messa a parlare fiammingo, o tedesco. Mi hai buttato per terra e ti sei messa a calpestarmi, continuando a gridare.
Sono riuscito a sfuggirti. Ho camminato per le strade, ho raggiunto l'ufficio di mio padre. Esitavo a dirgli la verità. Tremavo ancora, soffocando la paura.
«Che cos'hai, figlio mio?».
Mio padre mi chiamava «figlio», mai Georges. Anch'io chiamo sempre i miei figli così, o quasi sempre.
Non gli ho detto tutta la verità. Ho semplicemente riferito che ti eri irritata, poi incollerita, e mi avevi schiaffeggiato.
Mio padre non mi ha mai schiaffeggiato. Non ha mai schiaffeggiato nemmeno mio fratello. Rivivo la scena, ma senza rancore. Essa aiuta a spiegare la tua personalità.

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