26.2.12

Un passatempo per élite. La nascita del giallo Mondadori (Oreste Del Buono)

Nel 1929 Arnoldo Mondadori era in piena febbre creativa di una grande azienda: nella sede, allora di via Maddalena, non faceva che progettare nuove strategie per nuove campagne volte alla conquista del pubblico. Tra i suoi Marescialli i più ascoltati erano Lorenzo Montano, uno dei fondatori della “Ronda”, finissimo intellettuale, Luigi Rusca, ugualmente esperto di cultura e industria, condirettore editoriale, ed Enrico Piceni, critico d'arte nonché traduttore eccellente di narrativa. La creazione del giallo è opera di queste quattro persone. Di recente, poco prima di morire (era il solo superstite), Luigi Rusca ha rivendicato a sé il merito di aver creato il Giallo, come la Medusa, come qualsiasi altra collana mondadoriana di allora. Non si vuole togliergli dei meriti, ma la pretesa pare eccessiva e discutibile.
L'editoria è sempre un lavoro collettivo. Quando Mondadori cominciò a pensare che la narrativa poliziesca potesse sfondare anche qui da noi, si rivolse per maggiori informazioni a Montano, che sapeva lettore e addirittura collezionista di volumi del «sottogenere» in tutte le lingue. E fu appunto Montano a curare i primi quattro gialli, come risulta dalla sua corrispondenza con l'editore.
Da varie dichiarazioni rese da Piceni si può dedurre che, stabilito che la narrativa poliziesca poteva esser tradotta in italiano con qualche probabilità di successo, tutto il resto procedette abbastanza casualmente; e al colore giallo della prima copertina si arrivò perché il primo illustratore scelto, Abbey, mandò un bozzetto per La strana morte del signor Benson di S.S. Van Dine con un disegno racchiuso in un esagono su un cartone tutto giallo. E il passaggio dall'esagono al cerchio rosso si sarebbe verificato più tardi, perché Tabet, subentrato ad Abbey come illustratore di copertine, si sarebbe lasciato suggestionare dal titolo del romanzo da decorare, Il cerchio rosso di Edgar Wallace. Non si capisce davvero come Rusca potesse essere così drastico nelle sue rivendicazioni.
L'editoria è sempre un lavoro collettivo, ma non c'è collaboratore che tenga, quanto a paternità. Il padre è sempre l'editore. Quando Alberto Tedeschi, ventenne, fu chiamato agli inizi degli anni Trenta a occuparsi di gialli in casa Mondadori, perché buon traduttore di Wodehouse e di Jerome, ed editore in proprio di un romanzo di Edgar Wallace, si sentì rivolgere una ingiunzione dal grande Arnoldo: «Mi raccomando le traduzioni, guardi che io intendo rivolgermi a un pubblico colto».
Una frase che risolve l'enigma della paternità, smascherando inconfutabilmente il vero padre. E definisce perentoriamente le ragioni del successo dei Gialli Mondadori come sottogenere di narrativa non di mero consumo popolare, ma di intrattenimento per élite: un divertimento intelligente per persone di una certa cultura.
Non a caso si diffuse tra gli italiani allo stesso modo, un poco febbrile, delle parole crociate, del Mah Jong e di altri giochi di astuzia e pazienza; una piacevole febbre che permetteva di ammazzare il tempo senza vergognarsi troppo del mezzo usato per compiere l'assassinio. Altra cosa dalla narrativa cosiddetta popolare, considerata, a torto o a ragione, infetta manifestazione, quando non addirittura subornazione, del cattivo gusto delle masse.

Da un articolo su “la Repubblica” dal titolo 2000:Odissea nel delitto.
La data nel mio ritaglio manca, ma l’anno è quasi certamente il 2000.

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