26.2.12

Leonardo Sciascia su Agatha Christie (da un'intervista a Bruno Blasi)

Da un'intervista a Bruno Blasi sul giallo all'inglese pubblicata da Panorama il 24 giugno 1984 ho ricavato questo acuto giudizio di Leonardo Sciascia sul significato etico-storico dell'opera di Agatha Christhie. (S.L.L.)
Agatha Christie con il marito negli anni 60
Cronologicamente, Agatha Christie è edoardiana: tra l'Edoardo rimasto principe di Galles e l'Edoardo diventato VIII e poi, per amore alla signora Simpson o per disamore al regno, abdicante: e a momenti, nei romanzi, la temperie edoardiana, dell'uno e dell'altro Edoardo, si avverte. Ma oltre che nella misura, nella forma, nella pruderie, il suo mondo è essenzialmente vittoriano. Nel senso, intendo, che rappresenta una società dedita a nascondere, a nascondersi.
Un famoso economista mi diede una volta a indovinare, conversando, in quale Paese ed epoca si fosse rubato di più rispetto alla cosa pubblica. Non ci sono riuscito. La risposta esatta era: in Inghilterra e nell'epoca vittoriana. Me ne ricordo ogni volta che si parla del vittorianesimo o leggo un vittoriano. E anche leggendo Agatha Christie. Così come, leggendo la Christie, sempre mi affiora la battuta di Chesterton su Jane Austen: «Stette al riparo delle cose della vita, ma poche cose della vita stettero al riparo da lei».
Il gioco della Christie è di scoprire quello che si voleva nascondere: l'avidità, la crudeltà, la follia e il delitto sotto l'impassibile, formalistica, regolatissima superficie della società vittoriana. O post-vittoriana, fino alla seconda guerra mondiale.
E viene da ricordare la pagina finale dell'Omaggio alla Catalogna di George Orwell, quella del ritorno in Inghilterra dalla Spagna in guerra: «E finalmente l'Inghilterra... È difficile credere, quando la si attraversi, che qualcosa stia veramente succedendo nel mondo... L'Inghilterra della mia infanzia: la linea ferroviaria scavata nella parete rocciosa e nascosta dai fiori di campo, i prati profondi dove i grandi cavalli lustri pascolano meditabondi, i lenti rivi orlati di salici, i verdi seni degli olmi, le peonie nei giardini dei cottages; e poi l'immensa, tranquilla desolazione della Londra suburbana, le chiatte sul fiume limaccioso, le strade familiari, i cartelloni che annunciano gare di cricket e nozze regali, gli uomini in cappello duro, i colombi di Trafalgar Square, gli autobus rossi, i poliziotti in blu: tutto dormiente del profondo, profondo sonno d'Inghilterra, dal quale a volte temo che non ci sveglieremo fino a quando non ne saremo tratti in sussulto dallo scoppio delle bombe». Profetica pagina, nel 1938.
Ma prima che arrivassero le bombe, c'erano i piccoli sussulti - quasi sempre nella più dormiente provincia - dei romanzi di Agatha Christie. Delitti, investigazioni, scoperte di insospettabili colpevoli.
E sembra si possa attribuire al sonno dell'Inghilterra il fatto che svegli siano soltanto un privato investigatore di nazionalità belga e una curiosa vecchietta che risolve delitti misteriosi come risolvesse cruciverba: quella miss Marple che non si fa illusioni sulla natura umana e a cui si può perfettamente applicare quella battuta di Chesterton su Jane Austen.

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