8.3.17

Calabria confidenzial (Silvio Marinetti)

Ritrovo questo servizio su alcune indagini dell'antimafia in Calabria. La storia è suggestiva, intrigante, ben scritta. La riprendo pertanto, dopo quattro anni, senza verificare come sia andata a finire. Se anche, nel frattempo, il prete, i maresciallo, i presunti 'ndranghetisti fossero stati scagionati e fossero risultati puri siccome un angelo l'articolo si legge bene come una storia di fantasia. Fantasia degli inquirenti, naturalmente, non del cronista. (S.L.L.)

VIBO VALENTIA
Questa è una storia di preti e marescialli, di boschi, famiglie e confessioni pericolose. Una "Calabria confidential" ambientata nelle campagne di Vibo. Terra di ‘ndrangheta, turismo e tanto misticismo. C'era Fortunata Evolo detta Natuzza, la mistica di Paravati di cui si è asserito di episodi paranormali: apparizioni e colloqui con Gesù Cristo, la Madonna, angeli, santi e defunti, comparsa di stimmate ed effusioni ematiche. E poi c'è l'Affruntata, la processione di Sant'Onofrio che raccoglie ogni anno, la mattina di Pasqua, decine di migliaia di persone. La statua di san Giovanni fa la spola tra le altre due per 3 o 5 volte, avanti e indietro, con passo sempre più spedito, come messaggero della resurrezione di Cristo. All'ultimo passaggio le statue si affrontano correndo davanti a Gesù e san Giovanni da una parte, e l'Addolorata dall'altra. All'incontro il velo nero del lutto viene tolto dalla statua di Maria, la cosiddetta "sbilazioni" o "sbilata", lasciando visibile un vestito a festa. Una cattiva riuscita della funzione è, secondo la tradizione, presagio di sventura per la comunità.

Le regole del parroco
Era l'aprile del 2003 quando a Stefanaconi don Salvatore Santaguida decise di cambiare le regole della processione. Con l'intenzione, andava dicendo, di toglier spazio alle ‘ndrine. Fino al 2002 la parrocchia procedeva ad una specie di asta per stabilire chi dovesse portare sulle spalle le statue. Un incarico divenuto col tempo simbolo di potere sociale, manifestazione di dominio sulla comunità. Un collaboratore di giustizia, Rosario Michenzi, aveva svelato che la 'ndrangheta faceva in modo che i portantini fossero picciotti delle cosche vincenti. Fu allora che don Salvatore Santaguida decise di avviare l'operazione trasparenza. Con una lunga lettera ai fedeli, riuniti per la funzione del
sabato santo, spiegò che l'opportunità di portare le statue doveva esser data a tutti, anche a chi non aveva denaro da offrire. Fu così che si decise di sorteggiare coloro che dovevano portare le statue. Nove anni dopo don Salvatore Santaguida si ritrova a dover far nuovamente i conti con i collaboratori di giustizia. Questa volta, però, con l'accusa infamante di aver aiutato la cosca dei Patania nella cosiddetta “faida dei boschi” contro la "Società di Piscopio" di Vibo, considerata emergente, e contro la cosca Petrolo-Bartolotta di Stefanaconi. Durante un interrogatorio con i magistrati della Dda di Catanzaro, il pentito, Daniele Bono, ha dichiarato che «don Salvatore aveva degli interessi, i Bonavota non li può vedere proprio. E i Piscopisani nemmeno». Il parroco è indagato per associazione mafiosa e le accuse nei suoi confronti sono più d'una. Secondo gli inquirenti aveva la disponibilità di alcuni atti processuali riguardanti sempre la cosca Patania. In alcune intercettazioni ambientali in carcere, detenuti affiliati alla cosca parlano di don Salvatore come del «prete che ci aiuta». Don Salvatore, inoltre, sarebbe stato interessato sempre a detta del pentito, alla pianificazione di un agguato: la vittima era Francesco Calafati. Lo stesso Bono avrebbe chiesto al prete di spostare una telecamera comunale per consentire che la scena venisse ripresa. Il sacerdote si rifiutò. Ma non denunciò il fatto.

Il maresciallo si confessa
Ma in quest'affresco di Calabria ci sono altri protagonisti. Il maresciallo Sebastiano Cannizzaro, comandante della stazione dei Carabinieri di Sant'Onofrio, era una persona rispettata in paese. «Un uomo tutto d'un pezzo, gentile ed affabile con tutti». Ma evidentemente proprio con tutti. Anche con
gli ‘ndranghetisti. «Faceva parte della cosca Patania, promossa, diretta e organizzata da Giuseppina Iacopetta, Giuseppe, Salvatore e Saverio Patania» sostengono i giudici dell'antimafia di Catanzaro. In che modo? Qual era il suo ruolo? Il quadro che emerge è inquietante. Il maresciallo avrebbe riferito a don Salvatore Santaguida notizie oggetto di indagine, come i luoghi di intercettazione ambientale, le date di perquisizioni ed anche gli intestatari di alcune targhe di automobili. E il parroco, a sua volta, le avrebbe "girate" ai Patania, i quali, in questo modo, sarebbero stati in grado di attuare tutte le contromosse necessarie. Al maresciallo Cannizzaro la Dda di Catanzaro contesta anche di aver omesso di trascrivere numerose intercettazioni ambientali e telefoniche utili alle indagini sulla faida. Il sottufficiale dei carabinieri inoltre, sempre secondo quanto è riportato nel decreto di perquisizione, non ha trasmesso alla Dda alcuni tracciati Gps attraverso i quali emergerebbe il coinvolgimento della cosca Mancuso di Limbadi. La Dda di Catanzaro ha notificato alla stazione dei carabinieri di Sant'Onofrio un decreto con il quale viene chiesta la consegna di tutti il materiale d'indagine compiuto nel corso degli anni contro le cosche della 'ndrangheta: tutti i supporti informatici, le trascrizioni di intercettazioni ambientali e telefoniche, eventuali nastri sui quali sono state incisi i contenuti delle conversazioni ed ogni altro atto utile alle indagini. Il legame tra il prete e il maresciallo era talmente stretto che atti giudiziari contro esponenti delle ‘ndrine erano sul comodino della camera da letto del prelato di Stefanaconi. Nella stazione dei carabinieri di Sant'Onofrio, intanto, si sta inventariando un'ingente quantità di atti, documenti e riscontri investigativi che il maresciallo Cannizzaro avrebbe acquisito e mai trasmesso alla Dda di Catanzaro. La mole del materiale è così consistente che saranno sforate le 48 ore imposte dai magistrati per la trasmissione di tutto il materiale. Il curioso sodalizio tra il maresciallo e il sacerdote emergerebbe dai verbali di ben tre pentiti, «dai quali si desume la stabile attività informativa sulle attività investigative in corso di svolgimento da parte di questo ufficio svolta dal Santaguida nei confronti di Patania, in odio alla cosca avversa dei Bonavota». Le notizie arrivavano al religioso che era in possesso «di atti processuali, dal maresciallo Cannizzaro». E il sacerdote financo sapeva di omicidi «in corso di programmazione». Un altro filone dell'inchiesta riguarda l'omissione di atti d'indagine da parte del maresciallo presunto appartenente al clan. Il decreto di perquisizione fa riferimento a «intercettazioni ambientali e telefoniche mai ascoltate e all'omessa trascrizione di intercettazioni ascoltate ed espressamente ritenute e contrassegnate come importanti». Un modus operandi piuttosto frequente, come avrebbero confermato due militari in servizio nella stazione dei carabinieri di Sant'Onofrio. Il sistema era ben oliato. Gli indagati provvedevano «ad avvisare i sodali delle intercettazioni a loro carico, nonché delle attività di perquisizione che sarebbero state eseguite nei loro confronti, nonché afornire loro notizie coperte da segreto istruttorio». Il maresciallo Cannizzaro le apprendeva e le riferiva al parroco, il quale, a sua volta, le recapitava ai Patania.
Il prete, dopo un incontro con il vescovo di Mileto, ha lasciato Stefanaconi per un periodo di riposo lontano dalla sua parrocchia. Il carabiniere è stato sospeso dall'incarico già dal maggio scorso. Sembra un B-movie all'italiana. È l'amara realtà della Calabria.

“il manifesto”, 2 gennaio 3013

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