Il
19 febbraio 1665 il Journal des Sçavans diffonde nella «repubblica
delle lettere» la notizia della recente scomparsa (12 gennaio)
di «una delle menti più sottili del secolo». Il «grand'uomo», il
«genio universale» di cui il giornale si limita a render noto un
catalogo degli scritti - per la gran parte inediti e pubblicati
postumi dal figlio - è uno straordinario matematico
dilettante, un magistrato membro del Senato di Tolosa, che ha
coltivato per diletto la matematica, e la teoria dei numeri in
particolare, nel tempo lasciato libero dai suoi doveri
d'ufficio. Nato nel 1601 da una famiglia di un facoltoso mercante di
pelli, dopo gli studi in legge all'università di Tolosa e di
Orleans, a trent'anni Pierre Fermat ha ottenuto l'ufficio di
consigliere alla Camera del Parlamento di Tolosa, e in quella
città ha trascorso il resto della vita percorrendo le tappe di una
carriera che lo porta dapprima a far parte del Senato e poi al più
alto livello della Corte di giustizia. Il suo nome comincia a
circolare nella «repubblica delle lettere» nel 1636, quando entra
in contatto con padre Marin Mersenne dell'Ordine dei Minimi,
anch'egli matematico dilettante, che a Parigi anima un cenacolo di
matematici e intrattiene una vasta corrispondenza con i principali
uomini di scienza europei. Nelle sue lettere Fermat propone
problemi che Mersenne e i matematici parigini trovano oltremodo
difficili, se non insolubili con i metodi allora in uso. Per
risolverli, da un paio d'anni Fermat ha elaborato un proprio Metodo
per determinare i massimi e i minimi che consente non solo di
risolvere una quantità di problemi di massimo e minimo, ma
anche di determinare il baricentro di solidi e la tangente a curve,
come egli esemplifica con la parabola e la cicloide - la
curva piana generata da un punto di una circonferenza che ruota senza
strisciare lungo una retta.
Nel
linguaggio della Geometria
di Cartesio, allora fresca di stampa come La diottrica,
entrambe esemplificazioni del Discorso sul metodo,
la cicloide è una curva «meccanica», per la quale non si applica
il metodo algebrico esposto nelle pagine della Geometria.
Non di meno, scrive Cartesio al padre Mersenne, la sua maniera
di studiare la natura e le proprietà delle curve «è tanto
superiore alla geometria ordinaria quanto la retorica di
Cicerone è superiore all'abbiccì dei bambini». Richiesto di un
parere su La diottrica,
un trattato sull'ottica e la natura della luce, Fermat non
risparmia l'ironia scrivendo a Mersenne che Cartesio «sta
brancolando nel buio». Anche sulla legge di rifrazione della luce
enunciata da Cartesio l'opinione di Fermat è tagliente: «la sua
prova e la sua dimostrazione mi sembrano un vero e proprio
paralogismo». (Diversi anni dopo la morte di Cartesio, Fermat
riprenderà la questione col suo metodo dei massimi e dei minimi
sulla base di «quest'unico principio: la natura agisce sempre
seguendo le vie più brevi», e ottenendo così - con sua grande
sorpresa - la stessa legge enunciata da Cartesio).
La
discussione intorno a La diottrica
non fa che annunciare la polemica sul problema delle tangenti,
che tanto appassiona i matematici contemporanei. Tramite Mersenne,
Fermat fa avere a Cartesio il proprio trattato Ad
locos planos et solidos isagoge
scritto diversi anni prima dove, avvolte nel linguaggio dei
geometri greci classici, ben prima di Cartesio egli ha presentato le
idee fondamentali della geometria delle coordinate, che oggi si
impara a scuola. Il metodo di Fermat per trovare la tangente
alle curve è semplice e diretto, ma «non mi sembra una ragione
sufficiente per confrontarlo con quello della mia Geometria»,
è il secco commento di Cartesio a Mersenne, mentre a Fermat
fa sapere invece che «il suo metodo è molto buono e, se glielo
avesse spiegato in questo modo, non l'avrebbe affatto contraddetto».
La corrispondenza di Fermat coi matematici parigini si
interrompe negli anni turbolenti che fanno seguito alla morte del
cardinale Richelieu, quando la Francia è attraversata dalla
Fronda - il movimento di opposizione al cardinale Mazzarino che
ben presto si trasforma in una rivolta che si diffonde anche a
Tolosa, afflitta dalla peste che nel 1651 minaccia seriamente la vita
dello stesso Fermat.
Nell'estate
del 1654 Blaise Pascal gli scrive chiedendogli un parere su un
problema postogli da un amico, accanito giocatore d'azzardo:
come dev'essere suddivisa la posta tra due giocatori se essi decidono
di interrompere un gioco prima che uno dei due abbia vinto tutte
le partite necessarie per guadagnare l'intera posta? È un problema
già discusso da Cardano e da Galileo, ma Fermat e Pascal sembrano
ignorarlo dando vita a un fitto carteggio che segna di fatto la
nascita della teoria della probabilità. Fermat cerca anche, invano,
di coinvolgere l'interlocutore in questioni di teoria dei
numeri, dichiarando di possedere «una dimostrazione
irrefutabile» del fatto che ogni primo della forma 4n
+ 1 è la somma di due quadrati, a suo dire il teorema fondamentale
dei triangoli rettangoli. Ancora a Pascal annuncia che tutti i
numeri della forma 2n+ 1 con n = 2k
sono primi. «Non ne ho la dimostrazione», egli ammette, ma la cosa
è vera per k = 0,1, 2, 3, 4 e «ho escluso una tale quantità di
divisori mediante dimostrazioni infallibili, e ho trovato tali
luminose conferme al mio pensiero che farei fatica a
dissuadermi».(Invece, un secolo più tardi Eulero dimostrerà
che, per k = 5, la congettura del grande matematico era infondata).
Questi sono solo un paio dei tanti risultati ottenuti da tempo da
Fermat in solitarie ricerche, alimentate dallo studio
dell'Aritmetica di Diofanto, di recente riscoperta e pubblicata.
«Dividere un quadrato dato in due quadrati», chiede una
proposizione di Diofanto. «Non è, invece, possibile - annota Fermat
nel margine della sua copia dell'Aritmetica - dividere un cubo
in due cubi, o un biquadrato (x4) in due biquadrati, né, in
generale, dividere alcun'altra potenza di grado superiore al
secondo in due altre potenze dello stesso grado» (in termini
moderni, non esistono soluzioni intere x,
y, z
dell'equazione xn +yn
= zn per n > 2).
«Della qualcosa - continua Fermat - ho scoperto una
dimostrazione veramente mirabile. L'esiguità di questo margine
non la conterrebbe». Fermat non ritornò più
sull'affermazione affidata a quella nota a margine, nel corso
del tempo divenuta celebre come «ultimo teorema di Fermat». Né
tra le sue carte è stata trovata traccia di quella «dimostrazione
veramente mirabile». Dopo la sua morte la dimostrazione è stata
ottenuta per un certo numero di casi particolari, e solo dopo oltre
tre secoli, nel 1995, la dimostrazione nel caso generale è stata
infine trovata da Andrew Wiles, un matematico inglese che insegna a
Princeton, in collaborazione col suo studente, Richard Taylor, con un
vero e proprio tour de force
basato su sofisticati argomenti di geometria algebrica e teoria
dei numeri nemmeno immaginabili all'epoca di Fermat. Ma
stavolta il grande tolosano aveva visto giusto.
Il Sole 24 ore 1/03/2015
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