26.6.18

Dijana Pavlović: «Caro Salvini, le racconto chi sono i rom» (Monica Coviello)

Djiana Pavlovic

«Quando la pezza è peggio del buco». Dopo avere annunciato un censimento sui rom in Italia, «una ricognizione per vedere chi, come e quanti», il ministro dell’Interno Matteo Salvini, attaccato dall’opposizione, ma anche da parti della maggioranza e da associazioni, ha deciso di spiegare meglio che cosa intendesse dire. «Intendiamo tutelare prima di tutto migliaia di bambini ai quali non è permesso frequentare la scuola regolarmente perché si preferisce introdurli alla delinquenza». Un’affermazione che ha indispettito Dijana Pavlović, attrice, mediatrice culturale e attivista per i diritti umani, di origine rom.
«Quelle parole mi hanno fatto pensare alla psicologa tedesca Eva Justin, collaboratrice di Robert Ritter, il teorico della razza che, nel regime nazista, diresse il Centro di ricerca per l’Igiene e la Razza. Anche lei si preoccupava per i nostri bambini. Ne tolse 39 dalle loro famiglie e li collocò in orfanotrofi. Passò un anno con loro per capire se fossero “educabili”, e alla fine concluse che non lo erano, che il terribile gene zingaro dell’istinto errante prevaleva, e fece la cosa più semplice: li mandò ad Auschwitz, dove solo due sopravvissero», spiega. «Io a Salvini vorrei dire di occuparsi dei suoi figli. Il mio è orgoglioso delle sue origini, sensibile ai problemi del prossimo, piange quando sente che i bambini muoiono in mezzo al mare, soffre se sa di qualcuno troppo povero per vivere una vita dignitosa. Ma i bambini che crescono in un clima di odio no, non potranno mai essere brave persone. Salvini si occupi di loro».

Salvini ha detto che a «migliaia di bambini» non è permesso frequentare la scuola regolarmente «perché si preferisce introdurli alla delinquenza».
«È la ruspa che impedisce ai bimbi di andare a scuola. Quelli che a sei anni hanno già subìto due o tre sgomberi, hanno visto umiliare i genitori, distruggere quelle che sono le loro case, con le loro cose dentro, non hanno la speranza di poter andare a scuola. Bisogna domandarsi quale rapporto avranno con la polizia e con le istituzioni. Io sono certa che molti di quelli che sfilano i portafogli dalle tasche lo fanno solo per dispetto. Se a quei bambini venisse dato un posto dove vivere e potersi lavare, avrebbero un’idea diversa del mondo che abitano».

Che cosa ne pensa del «censimento»?
«È illegale. Salvini non può censire me, mio figlio, le altre 90 o 100 mila persone di origine rom che vivono nelle case. Non può nemmeno dire che “purtroppo ci deve tenere”. È un meccanismo infernale, il prodotto di 15 anni di campagne d’odio terribile nei confronti di 130 mila persone, lo 0,03% della popolazione italiana, di cui la metà sono bambini e di cui 80 mila sono cittadini italiani a tutti gli effetti, alcuni presenti sul territorio dal 1500. In Italia ci sono 5 milioni di poveri e 20 milioni a rischio di povertà: se arriva qualcuno che attribuisce la responsabilità di questa situazione a immigrati o a zingari, è facile che questi diventino capri espiatori».

Contro la criminalità nei campi, che cosa si potrebbe fare?
«La criminalità è la conseguenza diretta della ghettizzazione in baraccopoli. I campi non sono stati inventati dagli zingari, ma dalle istituzioni italiane. Non è questione di origini rom, ma di emarginazione, di generazioni cresciute senza via di scampo: non ci si può sorprendere. E allora si può scegliere la via della persecuzione, che, a meno che non preveda l’eliminazione fisica, non migliora, ma peggiora la situazione, oppure la via più civile, quella dell’inclusione sociale, dell’intervento rispettoso. Tenendo conto che ci sono stati 30 ani di discriminazioni e ghettizzazione, e che il problema non può essere risolto dall’oggi al domani. Occorre dialogare con i sinti e cercare soluzioni condivise».

Non sono i rom a voler rimanere nei campi, quindi.
«Non c’è via d’uscita: se sei riconoscibile come zingaro, nessuno ti affitta una casa. Se sulla carta d’identità c’è l’indirizzo di un campo nomadi sei spacciato: non puoi aspirare a un lavoro. Ma come si può uscire dal ghetto, se non con un lavoro? Come ci si può fidare della società? Per non parlare dei meccanismi psicologici che si scatenano quando ci si sente continuamente rifiutati e ai margini».

Anche i rom che vivono nelle case vengono discriminati?
«Sì: la figlia di una mia carissima amica, avvocato, di origine rom, ha una bimba di 5 anni che va alla Materna. La piccola ha un cognome rom riconoscibilissimo e non vuole più andare a scuola perché i compagni non la vogliono toccare: vanno a lavarsi le mani ogni volta che hanno un contatto con lei. Pensare che è anche bionda e ha gli occhi azzurri. È a queste cose che mi riferisco quando chiedo a Salvini di pensare ai suoi, di figli».

E lei, dove è cresciuta?
«Sono nata in Iugoslavia, in un contesto davvero socialista, in cui nessuno poteva darmi della “zingara” senza rischiare una denuncia. La mia era una famiglia povera, ma con una grande voglia di riscatto e con un fortissimo senso della dignità. I miei genitori, nati negli anni 50, si sono creati una vita in un paese termale, molto chic. Hanno affittato una casa, mia madre ha trovato lavoro in una fabbrica e mio padre in un negozio di alimentari. Tenevano molto all’istruzione mia e di mio fratello, volevano che diventassimo “qualcuno”, ci hanno sempre vestito con cura. Volevano che avessimo quello che a loro era stato precluso. A Belgrado ho frequentato l’accademia di arte drammatica, poi, a 23 anni, sono venuta in Italia, continuando a impegnarmi per la politica e i diritti sociali».

Da bambina non subiva discriminazioni?
«Andavo bene a scuola, ed ero sicura che le mie origini rom fossero qualcosa di cui andare fiera. Fino a quando, alle elementari, una compagna, invidiosa perché presi un voto superiore al suo, commentò: “Non importa, tanto rimarrai sempre una zingara”. Quando tornai a casa, in lacrime, mia madre mi disse: “Tu devi essere orgogliosa di essere zingara. La tua compagna, invece, è una maleducata. Nella vita dovrai essere sempre migliore degli altri: non ti ameranno mai, ma almeno ti rispetteranno”. L’ho presa sul serio: ho passato vita cercando di dimostrare di essere brava, di meritare un posto. Ce l’ho fatta in vari modi, e non ho mai permesso che nessuno mi umiliasse. Sono sempre stata abituata a difendere la mia dignità».

Oltre a quell’episodio?
«L’offesa più grande, per me, era vedere la gente meravigliata perché eravamo “Zingari, ma così bravi e così puliti”».

Chi sono i rom?
«Una minoranza di 18 milioni di persone in Europa, che non ha mai avuto pretese territoriali, non ha mai armato eserciti, ha sempre convissuto pacificamente con i popoli europei. C’è qualche elemento della tradizione comune per tutti, come la necessità di fare parte di una famiglia allargata. Viviamo molto nel presente e non abbiamo la mania e l’ossessione del possesso delle cose. Nelle nostre comunità una persona è realizzata perché è saggia, perché dice cose importanti, perché ha una grande famiglia e tanti nipoti, perché sa preparare bene un matrimonio. Siamo un popolo senza frontiere, il popolo che rappresenta simbolicamente quello che l’Europa vuole essere: viviamo in tutti i Paesi, abbiamo tutte le religioni, e pur mantenendo la nostra, il romanì, parliamo tutte le lingue europee».

VANITY FAIR, 19 giugno 2018

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