9.6.18

La doppia rivoluzione dell’olfatto (Amedeo Feniello)



Per spiegare l’Europa tra XVI e XVIII secolo c’è un modo originale: allora il mondo puzzava e ora no. A camminare in una città dell’epoca anche le narici più sensibili di un uomo di oggi rimarrebbero traumatizzate. Letame dappertutto a cielo aperto, terrore che qualcuno getti dall’alto le proprie deiezioni (e, nelle città, a lungo sopravvive l’avvertimento «attenti all’acqua!»), putrefazioni di animali macellati o di corpi mal seppelliti, esalazioni d’urina e di feci ovunque.
Il lordume e la sozzeria regnavano sovrani. Per dire, bastava passeggiare per le strade di una delle principali capitali europee, Parigi, per vedere che i liquami erano trasportati su battelli, lungo la Senna, con un inquinamento dell’aria tale che chi abitava sul fiume non poteva aprire le finestre perché le esalazioni scolorivano l’argenteria, le dorature, gli specchi, le vetrate. Nera, nauseabonda e corrosiva la puzza penetrava dappertutto. Pure in alto, molto in alto. Come alle corti di re Enrico IV di Borbone o di suo nipote il Re Sole, Luigi XIV, che, si dice, soffrissero di un lezzo letale ai piedi.
Un universo siffatto colpisce se paragonato alla nostra epoca dove avviene il processo inverso, di una deodorizzazione continua, espressa in mille modi e pubblicizzata altrettanto.
Un’altra cultura, si dirà. Ed è vero. Perché, come spiega ora Robert Muchembled nel libro La civilisation des odeurs (Les Belles Lettres) si tratta proprio di un problema culturale. Gli odori, racconta, hanno una funzione sociale: lo sviluppo dell’odorato non è innato, ma frutto di apprendimento. Insomma, si viene educati agli odori. Con un processo lento che si diversifica da gruppo sociale a gruppo sociale. D’epoca in epoca. Così non dobbiamo meravigliarci che gli europei prima del XIX secolo vivessero in un ambiente orribilmente puzzolente senza manifestare la benché minima repulsione verso la propria urina o le proprie feci. Né che i medici le utilizzassero ampiamente nei propri preparati e nei (velenosissimi!) rimedi farmaceutici e di bellezza.
Una società degli odori, quella dell’Europa d’ancien régime, che però non fu immobile. Anzi, visse una profonda rivoluzione olfattiva, con due radicali mutamenti. Il primo lo potremmo definire degli orrori, l’epoca terribile che si chiude grosso modo con l’ultima pestilenza del 1720. Periodo in cui il fetore diventa immagine del male, alito di Satana, apportatore di epidemie, tra cui la più grave di tutte, la peste. Una grande paura che necessitava rimedi. Non l’acqua, ritenuta conduttrice del contagio e che, a lungo, scompare dall’igiene quotidiana. Per tutti, il più efficace era seguire il principio medico similia similibus, combattere il simile col suo simile. Questo è il modo di reagire ai fetori ammorbanti: contrapponendo altri odori, acri, forti, pungenti che ricoprissero l’individuo come uno scafandro profilattico, uguale a quello grottesco dei medici, armati di maschera a becco per non inalare gli effluvi e di una cerata e di grossi guanti per ripararsi dagli umori putridi. Ogni persona, scrive Muchembled, si comportò allora come una «piccola città di Dio assediata da legioni infernali», adoperando come arma i profumi. Quali? Sostanzialmente tre – il muschio, lo zibetto e l’ambra: i primi due estratti da ghiandole animali, dall’odore ferino, «escrementizio». Arrivano in Europa dall’Italia, patria del gusto e dell’alchimia. Ci pensano a importarli dei professionisti, in Francia al seguito di Caterina de’ Medici, come Renato Fiorentino. Mentre è un’altra Medici, Maria, che nel 1632 chiama a corte il suo collega Annibale Basgapè.
La passione di queste fragranze investe un’intera società, con la moda che segue questo impulso di chiudersi, serrarsi in sé stessi con un fiorire di gorgiere, parrucche e soprattutto guanti – di camoscio, di agnello, di gatto e, tantissimi, di cane – inondati letteralmente di profumo. Si uniforma a questo gusto l’ideale di bellezza femminile: la tirannia dell’apparenza impone che del corpo non si debba intravedere nulla se non il viso, impomatato, liscio, privo di rughe, bianchissimo, sommerso di talchi, come il volto della vergine a Elisabetta I d’Inghilterra. E dove, a protezione del corpo della donna, dei suoi umori, del suo ciclo, si ponevano dei sacchetti ricolmi di essenze profumate posti in posizione strategica, tra le gambe o sotto le ascelle, col sovrapporsi esiziale di odori aspri, penetranti, brutali.
Questa fase ha un termine: il Settecento illuminista ed edonista, erotico e sensuale, spazza via tutto e riscopre l’acqua, i bagni e i piaceri del corpo. Cambiano le essenze e le fragranze. Banditi i profumi animaleschi e escrementizi, nascono nuovi aromi, fruttati, floreali, speziati, esotici. È una rivoluzione che esprime un innovativo codice olfattivo, che esalta il corpo non più maleodorante prigione dell’anima. Una civiltà che ha un simbolo, leggero come vuole essere leggera la nuova epoca: i guanti bianchi, lievemente profumati. Un segno di eleganza che conquisterà il mondo.

La Lettura - Corriere della Sera, 8 aprile 2018

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