16.6.18

Per un pugno di (costosi) placebo. L’Italia è malata di omeopatia (Antonino Michienzi)


L'articolo è di circa un anno fa e va perciò aggiornato, ma mi pare tuttora molto utile, anche per la schiettezza e il rigore. Aggiungo all'articolo la scheda, curata da Michienzi, su un documento della Commissione di bioetica a proposito dei cosiddetti “farmaci” omeopatici. (S.L.L.)

«I prodotti omeopatici non sono efficaci per curare nessuna malattia e, come tali, non sono integrativi né tanto meno alternativi ai trattamenti di provata efficacia. L’omeopatia è solo un costoso placebo».
Nei giorni successivi alla morte del piccolo Francesco, il bambino di 7 anni deceduto per le complicanze di un’otite curata soltanto con prodotti omeopatici, l’unica voce che è risuonata in maniera forte e chiara per ribadire la posizione ufficiale della Scienza sull’omeopatia è stata quella della Fondazione Gimbe e del suo presidente Nino Cartabellotta.
Un’organizzazione privata il cui core business è la medicina basata sulle prove di efficacia.
Nessuna presa di posizione istituzionale, se non quella del presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi che timidamente ha ricordato che «i farmaci omeopatici rispondono a una teoria di diversi secoli fa che non ha trovato conferme scientifiche». Ma è stata poco più di una dichiarazione carpita a margine di un convegno da un giornalista di AdnKronos Salute. Per il resto le istituzioni hanno taciuto. O cincischiato.
«Sappiamo che i farmaci omeopatici sono complementari, non sostitutivi», si è limitata a ripetere la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, intervistata da “la Repubblica”; la presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici Roberta Chersevani all’AdnKronos ha ribadito che «ci sono italiani che scelgono l’omeopatia, e sono molti. Ne dobbiamo tenere conto». L’importante è «non sottrarre mai il paziente a cure di comprovata efficacia».
Nelle stesse ore, mentre sul web spuntavano come funghi inviti alle istituzioni a schierarsi nel campo della Scienza e a rinnegare una volta per tutte la pratica fondata nel Settecento dal medico tedesco Samuel Hahnemann, un altro rappresentante del mondo medico esprimeva la sua posizione ai microfoni di una radio universitaria (Radio Cusano Campus): «L’omeopatia è un metodo terapeutico ormai collaudato da oltre 200 anni», affermava, secondo quanto riportato dall’agenzia Dire. «Parliamo di medicina e non di una chimera. Non si può essere contrari al vaccino che è una conquista dell’umanità, così come l’omeopatia che è una grande conquista dell’umanità».

Medico chirurgo e omeopata
A fare queste affermazioni è Dario Chiriacò, presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Rieti nonché presidente della Federazione Regionale dell’Ordine dei Medici del Lazio (Froml).
In sostanza è il vertice dell’organizzazione medica della provincia di Rieti e il rappresentante dei medici chirurghi di tutto il Lazio.
Chiriacò, però, è soprattutto un medico omeopata e per queste sue competenze è coordinatore della commissione per le Medicine non Convenzionali della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici.
Classe 1947, dopo la laurea a pieni voti in Medicina e la specializzazione in Oculistica, Chiriacò dagli anni Ottanta comincia a interessarsi all’omeopatia e progressivamente dedicherà a questa disciplina la quasi totalità delle sua attività professionale. Uno studio a Rieti, uno a Roma, fonda un centro per l’omeopatia, tiene lezioni in alcune università e partecipa a corsi di formazione per medici e farmacisti in giro per l’Italia.
E scala posizioni nell’Ordine dei medici: tanto che oggi è al suo quinto mandato al vertice di quello di Rieti.
Chiriacò non è un’eccezione: è solo l’esempio più in vista di medico chirurgo omeopata. E la prova che, qualunque cosa ne pensino i sostenitori della medicina basata sulle prove di efficacia, l’omeopatia nell’ultimo quindicennio si è inserita a tutti gli effetti nel sistema terapeutico italiano.

L’inizio della grande confusione
Dario Chiriacò era già presidente dell’Ordine a Rieti quando nel 2002 i 103 presidenti provinciali degli ordini dei medici italiani si riunirono a Terni per discutere di medicine non convenzionali.
È cominciata lì la legittimazione dell’omeopatia in salsa italiana.
I medici decisero che l’omeopatia – insieme ad altre medicine convenzionali – non era una roba da stregoni, ma un atto medico.
L’atto medico è ciò che contraddistingue la professione. Quello che nessuno può permettersi di svolgere: pena il rischio di incorrere in una denuncia per esercizio abusivo della professione medica.
Ne sanno qualcosa a Bologna dove i vertici del sistema del 118 nei mesi scorsi si son visti recapitare minacce di sanzioni dall’Ordine dei medici locale per aver deciso di utilizzare (in alcuni casi) soltanto gli infermieri sulle ambulanze. In assenza del medico e di fronte a un’urgenza, gli infermieri avrebbero dovuto fare diagnosi e somministrare terapie: per questo si sarebbe configurato per i vertici del sistema dell’emergenza bolognese un’istigazione all’esercizio abusivo della professione medica.
A Terni, i medici italiani decisero che l’omeopatia era roba loro. Secondo i camici bianchi fu una decisione presa per tutelare i cittadini: meglio affidare una simile pratica ai medici, in grado di usare anche i trattamenti convenzionali, che lasciarla a ciarlatani. Ci fu invece chi li accusò di aver voluto tenere tutta per loro la ricca torta delle medicine non convenzionali.
«Le medicine non convenzionali sono praticate da 10 milioni di italiani e per questo, pur di non dividere con altre figure professionali tale bacino di utenza, e quindi tale bacino economico, la Fnomceo è arrivata a questa posizione», ebbe a dire a ridosso della decisione di Terni la Federazione nazionale dei naturopati. «Non importa alla Fnomceo se tali medicine sono ritenute, per la maggior parte, non efficaci dalla scienza medica tradizionale, non importa se la cultura da cui derivano le medicine non convenzionali è contraria alla cultura che forma il medico».

Scienza e gradimento
Di certo, non furono le valutazioni scientifiche a dettare la scelta dei medici. Tanto che a chi gli farà notare che gli studi scientifici contestano l’efficacia dell’omeopatia, l’allora presidente dell’organizzazione Giuseppe Del Barone dirà: «Per quanto riguarda la diatriba tra gli assertori della non scientificità dell’omeopatia e chi, al contrario, ne sostiene l’efficacia, a parere della Federazione degli Ordini la risposta è nel sempre maggiore gradimento da parte dei pazienti legato indubbiamente alla bontà dei risultati e non a suggestione o convinzioni miracolistiche».
Così, per paternalismo o per leggerezza, per interesse o per ignavia, senza che nessuno si prendesse la briga delle conseguenze, l’omeopatia ha cominciato a farsi strada nell’ordinamento medico italiano.
Con poche voci contrarie come quella di Beppe Remuzzi e Silvio Garattini, entrambi dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, che in quei giorni sulla stampa invitavano al raziocinio e senza mezzi termini scrivevano che «accettare l’omeopatia come medicina scientifica provata è come dire che l’oroscopo offra verità indiscutibili» (Garattini su “la Repubblica”).
In poco tempo le medicine non convenzionali (e quindi anche l’omeopatia) entrano a pieno diritto nel codice di deontologia medica: era il 2006 e alla guida dei medici era arrivato Amedeo Bianco, oggi senatore del Partito Democratico.

Una reputazione da difendere
I medici, però, si comportano come si fa con uno di quei familiari di cui ci si vergogna ma che non si può mandare via dalla cena di gala: ai dottori è consentito praticarle, ma «il ricorso a pratiche non convenzionali non può prescindere dal rispetto del decoro e della dignità della professione», si legge nel codice.
«Ricordatevi che abbiamo una reputazione da difendere», sembrano dire gli estensori del documento. Che è un capolavoro di cerchiobottismo all’italiana: con una mano dà e con l’altra toglie, allude ma non dice, fino ad affermare che «il ricorso a pratiche non convenzionali non deve comunque sottrarre il cittadino a trattamenti specifici e scientificamente consolidati e richiede sempre circostanziata informazione e acquisizione del consenso».
È il principio della complementarietà che tutti rivendicano in questi giorni, additando il dramma del bambino morto a Pesaro ai comportamenti scellerati di un singolo. E che in realtà ha già in sé il germe dell’inconciliabilità e che relega la medicina “scientificamente consolidata” al ruolo di paracadute per la pratica della medicina non convenzionale.
Perché è così ed è bene tenerlo a mente. Non importa se sia efficace o meno: in Italia l’omeopatia si può usare, purché non si neghino le cure convenzionali.
La fagocitazione dell'omeopatia nella medicina istituzionale un risultato di certo lo ha ottenuto: ave fatto emergere almeno una parte del fenomeno omeopatia e di chi pratica la disciplina.

Omeopata uno di noi
Ogni ordine provinciale ha infatti l’obbligo di tenere un apposito registro pubblico dei medici che esercitano medicine non convenzionali.
Tuttavia, come sempre accade in Italia, c’è chi è in ritardo nella compilazione del registro, c’è chi non lo ha aggiornato, c’è chi lo custodisce gelosamente nel cassetto. Così avere una mappa ufficiale dei medici che si fregiano del titolo di esperto in omeopatia in Italia è un’impresa impossibile.
Non resta che accontentarsi dei registri pubblici, che però sono sufficienti a fornire un ritratto dei mille volti dell’omeopatia in Italia.
Certo, ci sono figure che ricordano Massimiliano Mecozzi, il medico omeopata che aveva in cura il piccolo Francesco; fuori dagli schemi, difficilmente assimilabili alla medicina convenzionale.
I registri depositati presso gli ordini, però, mostrano anche un’altra faccia della realtà. Ed è la parte più grande: evidenziano infatti che nella grande maggioranza dei casi gli omeopati non sono un corpo estraneo nella medicina italiana, ma ne sono perfettamente integrati. E a volte rivestono posizioni di tutto rispetto.

Pediatri, radiologi, oncologi
C’è l’oncologo che si specializza nei tumori del torace e in pochi anni si trova ad accumulare corsi e master in medicine non convenzionali fino ad arrivare a dirigere l’unità dedicata alle medicine complementari di un grande ospedale del sud Italia.
C’è la dottoressa che dirige il Centro di Salute Mentale nel frusinate o il primario della Riabilitazione Pneumologica di un piccolo ospedale del pavese, che firma uno studio in cui si sostiene che i prodotti omeopatici possono ridurre il rischio di infezioni respiratorie nei bambini.
E ancora, il radiologo dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano che vira verso le medicine non convenzionali e dirige un apposito gruppo dedicato alla cure complementari in Oncologia in seno all’Istituto.
Gli omeopati si possono ritrovare poi negli ordini, nelle società scientifiche, nei sindacati medici, soprattutto nell’area della Pediatria. E non c’è da stupirsi, visto che secondo un’indagine Emg-Acqua condotta nel 2016, un terzo dei pediatri ha consigliato prodotti omeopatici ai propri pazienti.
Così, nella Federazione Italiana Medici Pediatri, riveste il ruolo di segretario nazionale all’organizzazione Domenico Careddu, iscritto come omeopata nel registro dell’Ordine di Novara. La Società Italiana di Pediatria ha da tempo un gruppo di studio dedicato all’omeopatia. A dirigerlo Francesco Macrì, docente alla Sapienza Università di Roma nonché vicepresidente della Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata (Siomi).
A riprova che per la comunità medico-scientifica non c’è nessun problema a considerare l’omeopatia parte della medicina e della scienza, Macrì (in virtù del suo ruolo nella Siomi) è anche segretario della Fism, la Federazione delle Società Medico-Scientifiche italiane.

Un voto per legittimarla
In realtà, il processo di legittimazione dell’omeopatia è ancora incompiuto.
Da almeno 20 anni, in Parlamento si cerca di conferire il crisma della legge alla pratica della disciplina: un tentativo bipartisan che nel tempo ha coinvolto l’intero arco parlamentare dai Verdi a Forza Italia passando per il Partite Democratico e il Movimento 5 Stelle.
Nella legislatura in corso, soltanto al Senato, giacciono tre disegni di legge pro-omeopatia (adesso unificati).
Uno presentato dal presidente del Copasir, il leghista Giacomo Stucchi; un secondo proposto dal gruppo 5 Stelle, a prima firma del senatore nonché medico omeopata Maurizio Romani, ora transitato all'ltaliadei Valori.
Un ultimo, a prima firma di Luigi D’Ambrosio Lettieri, senatore nelle fila di Gal, ma anche tra i soci fondatori dell’Associazione pugliese di medici e farmacisti omeopati (Omeofar) e vicepresidente della Federazione dell’Ordine dei Farmacisti (Fofi).

Il ruolo delle farmacie
Le farmacie, l’altro grande sponsor dell’omeopatia in Italia.
Dei 25 miliardi di euro di fatturato annuo del “sistema farmacia” italiano, circa 300 milioni provengono dalla vendita di prodotti omeopatici; vale a dire una media di circa 16 mila euro di fatturato aggiuntivo lordo per farmacia.
Un’inezia? Non proprio. E sicuramente non per tutti i farmacisti.
La necessità di attingere a fonti di reddito aggiuntive oltre ai medicinali classici è un cruccio che da anni affligge le farmacie alle prese con una drastica riduzione dei ricavi e un aumento del rischio d’impresa. E l’omeopatia potrebbe essere una delle soluzioni. Una parte delle farmacie italiane lo ha già capito, tanto che l’Agenzia delle Entrate, nello studio di settore dedicato a questa attività commerciale, ha documentato che una piccola porzione di farmacie ricava già oggi dai prodotti omeopatici più del 5 percento del fatturato.
Potrebbe essere una buona ragione per credere all’omeopatia.


SCHEDA
NON CHIAMATELI FARMACI
Basta con la definizione di medicinale, basta con il latinorum che si legge sulle etichette e più chiarezza sull’assenza di prove di efficacia a supporto dell’omeopatia.
In una dichiarazione epocale, il 28 aprile scorso il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) ha constato che l’attuale sistema di etichettatura dei prodotti omeopatici non è sufficiente a garantire «la necessaria trasparenza informativa e il rigore che sono un pre-requisito essenziale per la commercializzazione di qualsiasi farmaco». Ha pertanto richiesto modifiche «al fine di ridurre potenziali effetti confondenti e di garantire l’obiettivo di un’informazione corretta, completa e realmente comprensibile».
Nello specifico, per il Cnb sono tre i cambiamenti che fin da subito dovrebbero essere applicati alle etichette. Tanto per cominciare, «la “denominazione scientifica del ceppo o dei ceppi omeopatici”» dovrebbe essere «accompagnata dalla traduzione italiana».
Ancor più importante, il Comitato auspica che «il termine “medicinale” sia sostituito dal termine “preparato”» e infine che sulla confezione compaia la frase «preparato omeopatico di efficacia non convalidata scientificamente e senza indicazioni terapeutiche approvate».
Il documento è stato approvato all’unanimità, fatto salvo per il rappresentante della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo) Maurizio Benato, che si è astenuto.
(A.M.)


"Pagina 99", 9 giugno 2017

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