26.6.18

Franca Rame racconta Valpreda. Intervista di Silvana Silvestri

Per la prima volta nell'aprile dello scorso anno intervistavamo al telefono Franca Rame che pure di questo giornale è stata amica e sostenitrice da sempre: volevamo avere un suo parere sul film di Marco Tullio Giordana Romanzo di una strage.
La vicenda di Calabresi, Pinelli e Valpreda che diede vita anche a Morte accidentale di un anarchico messo in scena da Dario Fo, raccontati in un film che sembrava relegare a un passato remoto fatti che solo chi li aveva vissuti poteva riempire le scene del fuori campo di lotte studentesche e operaie, di manifestazioni contro la guerra nel Vietnam, dittature già imposte e le altre a venire. Per un mese intero Morte accidentale di un anarchico fu nel Cile di Allende all'Università dall'ottobre al novembre del 1970. È importante perché dopo il colpo di stato di Pinochet Dario Fo e Franca Rame misero in scena Guerra di popolo in Cile dove in realtà si parlava chiaramente della situazione politica italiana.
Riproponiamo quell'intervista perché l'energia e la vivacità della sua voce la fa sentire ancora presente, un fervore mai spento, da attrice, militante, senatrice, voce di tutto un movimento.

«Ho avuto la possibilità di vederlo e rivederlo questo film con molto interesse. Le intenzioni sono buone, ma... Quel che dico è sicuramente pesante: manca di coraggio. Un giovane vedendo oggi il film di Giordana cosa può capire di quegli anni? E soprattutto non dice che a Calabresi fu tolta la scorta. «Vai. e tanti auguri!». Chi l'ha ucciso? Si sa. Ma chi non lo sa? Sì, viene accennato. Ma, a mio avviso, non basta. Si vede solo il corpo del commissario abbandonato per terra tra le macchine come fosse «dimenticato» lì da qualcuno. Non si sente il furore, la fatica, l'ansia politica di quegli anni. Non c'è Milano. La situazione era tremenda, cominciavano i primi arresti, è stata una pagina di storia stragista, ‘sporca', ambigua, assassina.
Quello che sapevamo e che si vede anche nel film è che certamente Calabresi non era nella stanza quando Pinelli fu fatto volare dalla finestra del IV piano della questura di Milano. Quando Dario mise in scena Morte accidentale di un anarchico, era in atto il processo Calabresi-Lotta continua. Dopo l'udienza gli avvocati difensori di “Lotta continua” ci raggiungevano a teatro e ci raccontavano quello che era emerso durante il dibattimento che veniva immediatamente inserito nello spettacolo.

Non sarà che il film vuole collocare la vicenda nel passato una volta per tutte?
Siamo certi siano passati quei momenti? Tira una brutta aria in questo Paese. Ma cosa possono capire i giovani disinformati come sono, se non si dà una corretta realtà del passato? Non c'è la visione reale di quello che si stava vivendo. Mancano le lotte operaie e studentesche, le cariche della polizia, le manganellate, gli arresti, e possiamo dirlo, in questura si sentivano le urla degli interrogati. C'è chi le ha pure registrate.

In qualche modo si continua a parlare in modo ambiguo di Valpreda, «ballerino e violento», la sua criminalizzazione non è certo sospesa, né quella degli anarchici in genere.
Ho molti amici anarchici, qualcuno forse esaltato (ma gli esaltati credo si trovino ovunque), ma generosi e onesti come pochi. Conoscevo Pietro da prima della strage di cui fu accusato. L'ho seguito durante la sua pesante carcerazione. Conservo tutte le sue lettere. Si è fatto tre mesi in isolamento con la luce sempre accesa. Non appena si appisolava lo andavano a svegliare. Proibito dormire, capito? Durante quei tre mesi non ha visto altro che le guardie carcerarie. Nessun avvocato, nessun parente. E quando dico nessuno voglio dire proprio nessuno.
Un'esperienza che non vorrei vivere. E dopo 1110 giorni di carcere viene scarcerato il 29 dicembre grazie alle numerose manifestazioni popolari organizzate dal movimento per la sua libertà, Dario ed io siamo andati a salutarlo. Grande commozione. Posso dire che il film c'entra poco con quello che è realmente successo in quel periodo difficile per tutti. Nel suo caseggiato c'erano poliziotti all'ingresso e ad ogni piano, che chiedevano i documenti a chi entrava. Sua zia Rachele che per lui era come una madre, quando è stato rilasciato, lo lasciava uscire solo con me e avevamo sempre con noi la scorta. La polizia lo seguiva ovunque anche perché aveva ricevuto minacce di morte. Di fianco a Valpreda la vita non era facile. I fascisti volevano farlo fuori. Si era quindi accompagnati dalla polizia. Noi per nostro conto, loro in macchina. Dovevo comunque comunicare al Questore i nostri movimenti.
Se si andava a vedere un film, due poliziotti si sedevano dietro, due davanti e due di lato. Per l'ultimo dell'anno avevamo uno spettacolo a Bologna. Pensai che era ora che Pietro passasse un momento tra i compagni, decidiamo quindi con Dario e Jacopo di portarlo con noi. Avverto la questura dello spostamento. Si parte in macchina, come sempre seguiti dall'autovettura della polizia. Causa la neve e le strade gelate, perdiamo la scorta perché è finita fuori strada. Ora al ricordo, sorrido, ma allora la tensione era molta. Contatto con il telefono della mia macchina, la questura di Milano comunicando l'incidente. «Troverà il questore di Bologna ad aspettarvi al casello dell'autostrada» mi rispondono. Tiro un gran sospiro. Così è stato.
Raggiungiamo il locale dove si doveva tenere lo spettacolo, un circolo privato dove la polizia non poteva entrare. Io e un altro compagno abbiamo controllato che nessuno portasse coltelli o altro e ho chiesto di fare entrare un poliziotto che alla fine disse: «Che bello, io chissà cosa pensavo potesse succedere». Invece si era divertito.
A mezzanotte al momento del brindisi tutti hanno cantato bandiera rossa o qualcos'altro, poi lentamente ci si zittisce. scende un gran silenzio. siamo tutti sospesi. E nel silenzio ci sono i singhiozzi di Pietro che assapora il piacere dell'amicizia, della fratellanza, della libertà. Si svegliava come da un incubo. Era uscito di prigione solo alla vigilia di Capodanno, dopo 1100 giorni di prigione, eravamo a Cernobbio da mia madre, portava ancora le scarpette rosse da ballo.

"alias il manifesto", 1 giugno 2013

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