14.11.10

Santuario di Polsi. Il vescovo e la 'ndrangheta.

La notizia, l'estate scorsa, del filmato dei carabinieri che documenta la nomina a boss principe della 'ndrangheta del patriarca Oppedisano in un rinomato santuario mariano in Aspromonte, destò la risentita reazione del vescovo di Locri, che non pare tuttavia cogliere il cuore del problema. Qui non si tratta solo della "strumentalizzazione" mafiosa della pietà popolare, ma anche di una egemonia criminale, economica e anche culturale, in aree significative della diocesi. Al vescovo giunse tanta solidarietà dai politicanti, dal dipietrista Misiti come dal casiniano Casini, a me pare utile riproporre qui la lettera aperta del vescovo e il puntuale commento di Lorenzo Mondo su "La Stampa" del 18 luglio. (S.L.L.)
Il vescovo di Locri-Gerace Giuseppe Fioroni Morosini
Il Santuario di Polsi non è il Santuario della ‘ndrangheta, è il Santuario della gente per bene di Calabria
Lettera aperta del vescovo Giuseppe Fioroni Morosini, diretta ai media, "soprattutto nazionali", 15 luglio 2010
Le recenti inchieste giudiziarie hanno riportato all’attenzione dei media nazionali il Santuario di Polsi, messo di nuovo in relazione con l’attività illegale della ‘ndrangheta.
Ancora una volta il Santuario, durante gli annuali festeggiamenti di settembre, è stato indicato come il luogo ove si svolgono incontri di cupole mafiose, durante i quali si spartisce il potere all’interno di queste associazioni e si decidono operazioni illegali in tutto il territorio nazionale.
Lasciamo alla Magistratura il lavoro di indagine, che rispettiamo e sosteniamo in ogni modo.
Come Vescovo della Diocesi di Locri-Gerace, sotto la cui giurisdizione cade il Santuario di Polsi, del quale ho il titolo di Abate Commendatario, esprimo il rammarico di tutta la Chiesa diocesana per questa strumentalizzazione della fede e della religione, operata da queste persone che hanno scelto di vivere fuori della legalità e con la convinzione di poter legare il loro operato alla fede e ai simboli cristiani.
Eravamo quasi certi che questi incontri appartenessero ormai al folklore del passato, perché intenso è stato il lavoro pastorale di questi ultimi decenni per evidenziare ed intensificare la storia di fede che questo Santuario, posto nel cuore dell’Aspromonte, continua a raccontare. Contestualmente a questa nota, con una lettera aperta mi rivolgerò direttamente a queste persone chiedendo con forza di rispettare la fede e la devozione del popolo, non umiliandola con l’assurdo nesso tra fede, religione e malaffare.
Rivolgo a tutti, soprattutto ai media nazionali, l’invito a non voler chiudere gli occhi sulla tradizione religiosa di Polsi, che affonda nei secoli lontani. Il Santuario di Polsi non è il Santuario della ‘ndrangheta, perché esso appartiene alla fede più che millenaria della gente di Calabria e non solo di essa. La Madonna della Montagna non è la protettrice della ‘ndrangheta e dei suoi affiliati; essa è l’effigie venerata ed amata da una lunga schiera di fedeli, che, lungo i secoli e con indescrivibili sacrifici, sono accorsi in quella splendida anche se aspra valle dell’Aspromonte, per portare alla Madre di Dio i pesi e le difficoltà della vita, ed attingere da quel volto di madre, che presenta ai devoti il Figlio Gesù, la speranza e la fiducia per riprendere il cammino della vita e sentire meno pesanti le sue croci.
Polsi va giudicata per questo aspetto. Di Polsi si deve parlare soprattutto in riferimento a questa fede. La storia di questi raduni illegali, per quanto lunga sia, non può cancellare la vera storia di questo Santuario, molto più lunga e ricca: una storia di fede e di amore verso la Madonna.
Chiediamo piuttosto ancora una volta a chi ci governa di rendere praticabile l’accesso al Santuario per favorirvi l’afflusso della folla dei devoti. Per alcuni versi, in fatto di strade, Polsi è fermo, nonostante le reiterate promesse, ai secoli passati. Quanto più questo Santuario sarà frequentato da gente di fede, tanto meno si correrà il rischio che diventi luogo di altri raduni.

Il Santuario mariano di Polsi in Aspromonte
I mafiosi al santuario 
Lorenzo Mondo nella rubrica Pane al pane, su "La Stampa" del 18 luglio 2010 
Il santuario di Polsi, fondato dai monaci basiliani in fuga dall'Oriente dopo la caduta di Costantinopoli, sorge nel cuore dell'Aspromonte, in una valle di selvaggia bellezza. Ogni anno, al 2 settembre, vi convergono migliaia di pellegrini con ogni mezzo, anche a piedi, per festeggiare la Madonna della Montagna. Ne parla Corrado Alvaro in un famoso, nostalgico capitolo di Gente in Aspromonte. Ma si da' il caso che, per assumere le piu' solenni decisioni, si diano convegno lassu' anche i capi della 'ndrangheta. Nel corso delle lunghe indagini che hanno condotto all'arresto di trecento affiliati tra la Calabria e la Lombardia, i carabinieri hanno filmato a Polsi l'incontro che ha portato alla nomina dell'ottantenne Domenico Oppedisano a capo supremo della mafia calabrese. Un bel colpo che, al di la' della circostanza, documenta cio' che tutti da quelle parti sapevano sulla particolare «devozione» dei malavitosi. L'ho appreso personalmente quando, tempo fa, ho avuto occasione di salire, per una strada accidentata, dal paese di San Luca al santuario. Adesso il vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Fiorini Morosini, reagisce alle ultime notizie affermando che «Polsi e' luogo di fede, non di malavita», che i boss ripresi nel video offendono l'espressione piu' genuina della pieta' popolare. Ci mancherebbe che tanta brava gente, e meno che mai la Madonna, abbiano di che spartire con certi criminosi e blasfemi rituali. Ma lascia insoddisfatti che la cosa appaia nelle parole del presule quasi una novita'. E' vero poi che in una recente omelia ha lamentato come la fede sia spesso «ridotta a gesti sporadici legati alla tradizione religiosa e culturale e compiuti durante l'anno o in certe occasioni della vita». Ma ci piacerebbe leggere nelle sue parole, abbastanza generiche e cautelose, anche un riferimento al celebrato pellegrinaggio di Polsi. Perche' «la pieta' popolare» non e' esente da torbide contaminazioni e di questo occorre soprattutto inquietarsi, non tanto dei delinquenti acclarati che giurano sul Vangelo o tengono in casa i santini della Madonna. Un amico, accennando alle case nuove che fanno cintura al vecchio abitato di San Luca, mi confidava che a ciascuna di esse corrispondeva un sequestro. E penso allora all'esorbitante e ramificato intreccio di famiglie mafiose sul territorio, all'omerta' dettata dall'interesse e dalla rassegnazione, all'ancestrale e pagano legame tra fede e violenza. I giuramenti nefandi dei boss rappresentano soltanto l'escrescenza di una situazione drammatica che va denunciata senza eufemismi, sceverando con rigore il grano dal loglio infestante. 

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