15.12.12

Riletture. Il matrimonio felice tra mafiosi e Dc (Pio La Torre, 1976)

Il brano che segue è parte del testo, firmato anche da altri deputati comunisti, che Pio La Torre lesse – come relatore di minoranza - alla Commissione Parlamentare Antimafia al termine della Legislatura 1972-1976. Vi si delineano, insieme alle forme nuove del sodalizio antico tra la mafia e il partito della Democrazia cristiana, i primi tentativi di esportare al Nord i modelli criminali di Cosa Nostra. Non è una relazione “tranquilla”, esclusivamente basata su sentenze passate in giudicato e dedicata a personaggi di assodata “mafiosità”, ma si parla di figure e figuri molto spesso attivi e liberi. Nel brano da me scelto è citato un paio di volte Gaetano Badalamenti, il capo del “mandamento di Cinisi”, il quale aveva da poco iniziato i traffici che lo avrebbero inchiodato alla americana “Pizza Connection”: tre anni dopo “Tano Seduto” avrebbe decretato l’assassinio di Peppino Impastato. In altre parti della relazione si dedica spazio a Ciancimino, che era a quel tempo ancora potentissimo come responsabile Dc per la politica negli Enti Locali della Sicilia. (S.L.L.)

Per il testo integrale il link è il seguente

Pio La Torre in Commissione Antimafia
La gravità della compenetrazione della mafia col sistema di potere democratico in Sicilia agli inizi degli anni '60 è efficacemente documentata nelle relazioni che le Federazioni comuniste della Sicilia occidentale consegnarono alla Commissione parlamentare alla fine del 1963. Il PCI è stato l'unico partito che ha offerto alla Commissione antimafia simile collaborazione. Vogliamo sottolinearlo a testimonianza della coerenza e della continuità dell'impegno del nostro partito su questo fronte di lotta per il progresso democratico della Sicilia. Pubblicheremo, pertanto, quelle relazioni in allegato.
Nessuno, oggi, a distanza di 12 anni mette in discussione le cose che allora noi scrivevamo. Si sostiene, invece, che la situazione sarebbe profondamente cambiata e che uno dei risultati più rilevanti sarebbe costituito dall'affievolirsi del rapporto tra mafia e potere politico fino quasi ad annullarsi. Non vi è dubbio che molti cambiamenti sono avvenuti e noi comunisti siamo i primi a sottolinearlo. Nel documento che il Comitato regionale siciliano del PCI ebbe a consegnare alla nostra Commissione in occasione dell'ultimo sopralluogo a Palermo si da un quadro chiaro e sintetico di tali cambiamenti:
«Non vi è dubbio che la costituzione dell'Antimafia, la sua semplice presenza nella vita politica, la stessa azione repressiva — che tanto spesso però è stata usata in direzione sbagliata — iniziata dopo la strage di Ciaculli, hanno indebolito il prestigio della mafia.
«Le inchieste condotte dalla Commissione nei più diversi campi di attività hanno intimorito molti uomini politici, amministratori e pubblici funzionari e li hanno resi più cauti nei loro rapporti con la mafia.
«Prima del 1963 molti mafiosi ostentavano i loro rapporti con gli uomini politici e gli amministratori locali e viceversa. La presenza dei mafiosi nei seggi elettorali era sfacciata e aggressiva. Oggi questi fatti vistosi di rapporti tra mafiosi e uomini politici si sono rarefatti».
L'ultimo episodio clamoroso di ostentazione di rapporti ebbe a fornirlo il deputato regionale democristiano Dino Canzoneri proprio pochi giorni dopo la strage di Ciaculli. Nella seduta del 23 agosto 1963 dell'Assemblea regionale siciliana il deputato comunista Rossitto denunziò l'appoggio che le cosche mafiose avevano dato ad alcuni candidati democristiani e in particolare fece riferimento ai legami fra Luciano Leggio e l'onorevole Canzoneri. Il Canzoneri in quell'occasione ebbe l'impudenza di disegnare la figura di Leggio come quella di un perseguitato giudiziario a causa delle calunniose accuse ... dei comunisti! (V. allegato. n. 5, pag. 180).
In realtà il Leggio era latitante da anni e grazie alle complicità politiche poteva circolare impunemente. e organizzare la sua rete delinquenziale. Dopo la strage di Ciaculli e l'arresto di Leggio e di altri noti boss mafiosi, l'onorevole Canzoneri si ritirava definitivamente dalla scena politica regionale.
Questo indebolimento del prestigio della mafia è dovuto pure ad un processo di maturazione sociale, civile e culturale del popolo siciliano, alla scolarizzazione di massa e allo sviluppo dell'informazione. Ma tutto ciò non può far dire che la mafia non esiste più, che i suoi rapporti con il potere politico e pubblico sono stati definitivamente tagliati, né che la mafia si è trasformata in puro e semplice gangsterismo.
In realtà sono avvenuti mutamenti nella dimensione territoriale del fenomeno mafioso — la sua esportazione al Nord — nell'allargamento dei settori e dei campi di azione della mafia, nel suo modo d'essere e nel suo comportamento.
La via della semplice repressione — che colpisce la escrescenza, ma che non modifica l'humus economico, sociale e politico nel quale la mafia affonda le sue radici — non ha portato e non poteva portare a risultati definitivi. Seguendo la via della pura repressione non ci si è spiegati o si è spiegato male il significato della rinnovata virulenza della mafia dalla strage di via Lazio fino ai più recenti fatti della zona Partanna-Pallavicino-San Lorenzo a Palermo.
Si è così caduti nella confusione da parte delle forze dell'ordine; si sono fatte delle teorizzazioni su seconde, terze e perfino quarte mafie e si è arrivati alla equazione mafia delinquenza urbana.
L'esplodere della mafia a Milano e in altri centri del Nord, il moltiplicarsi dei sequestri di persona a scopo di riscatto (nuovo terreno di attività della mafia ma non solo di essa) hanno portato argomenti a queste tesi. Ora è indubbio che nell'esplodere della criminalità al Nord vi è un elemento tipico di tutte le realtà urbane, delle grandi metropoli capitalistiche; ma non v'è dubbio che in questo quadro un posto specifico ed autonomo appartiene alla mafia, il che non esclude che possano aversi intrecci dei fenomeni mafiosi con fenomeni puramente delinquenziali, particolarmente sul terreno del reclutamento della « manovalanza ».
Il modo assurdo con cui si sono scelte le località di soggiorno obbligato per i mafiosi ha favorito il loro inserimento al Nord ed una certa facilità di reclutamento di nuove leve fra gli strati più emarginati e disperati di emigrati siciliani, una facilità di presa su attività quali il racket della manodopera, la speculazione edilizia, certe attività commerciali, oltre al contrabbando di droga e i sequestri di persona.
In questo quadro che ha elementi di intreccio complesso la specificità mafiosa specie dei «gruppi dirigenti» rimane intatta. La mafia si presenta oggi come una grande trama che dalla Sicilia si estende al Continente; le sue radici, il suo humus, il suo terreno di accumulazione finanziaria, -di reclutamento e di selezione dei migliori quadri ed infine il rapporto con certo mondo politico continuano però a rimanere la Sicilia.
Come la mafia si trasferì negli Stati Uniti con l'ondata emigratoria, così è avvenuto con il suo trasferimento al Nord, favorito anche dai soggiorni obbligati.
Ma la «centrale», non solo in termini «ideali» o di tradizioni, ma di terreno di continua riproduzione, rimane la Sicilia. Ciò non esclude che lo strato superiore, lo «stato maggiore» si distribuisca fra la Sicilia, il Nord e perfino Paesi stranieri, e sia ricco di enormi mezzi finanziari, incrementato, particolarmente negli ultimi anni, col traffico di droga e con i sequestri, e quindi di grandi possibilità di spostamenti e di collegamenti.
L'arresto di Leggio e la scoperta delle connessioni tra i sequestri in Sicilia e alcuni grossi sequestri al Nord, la personalità e l'attività di alcuni dei mafiosi arrestati, confermano questa valutazione.
A fianco della mafia siciliana un peso crescente assume oggi la mafia calabrese come dimostrano i recenti arresti collegati ai sequestri di persona a Roma e al Nord. Lo sviluppo impetuoso della mafia calabrese (pur nella diversità dei connotati storici rispetto a quella siciliana), mentre testimonia un preoccupante processo di disgregazione economica e sociale della Calabria, dimostra, in pari tempo, una insufficiente vigilanza e mobilitazione della opinione pubblica e di tutti gli organi dello Stato. La presenza della Commissione parlamentare d'inchiesta ha, invece, stimolato tale mobilitazione in Sicilia.
I mafiosi costituiscono oggi una grande potenza finanziaria. L'enoteca Borroni, scoperta a Milano, aveva un deposito di vini pregiati per un valore di oltre un miliardo di lire. Il Guzzardi, implicato nei sequesti, è anche un grosso appaltatore edile (ha avuto anche un appalto nella costruzione della metropolitana di Milano). Il commercialista palermitano Pino Mandalari (candidato del MSI alle elezioni politiche del 1972) ospita nel suo studio le società finanziarie 'di alcuni fra i più noti gangsters tra cui 'Salvatore Riìna, braccio destro di Leggio, e il Badalamenti di Cinisi, nonché quelle di padre Coppola. Tali società intestate a dei prestanome si occupano delle attività più varie (dall'acquisto dei terreni ed immobili come beni di rifugio alla speculazione edilizia, alla sofisticazione dei vini).
Ma lo sviluppo di una rete mafiosa a carattere nazionale per controllare alcuni traffici e per organizzare i sequestri non significa che ci troviamo di fronte a un pugno di gangsters sradicati dalla realtà locale che li ha espressi. La denunzia-confessione del giovane Leonardo Vitale (il cosiddetto Valachi siciliano) ha offerto un vero e proprio spaccato di che cosa è, ancora oggi, una cosca mafiosa in un rione o in una borgata di Palermo. La cosca mafiosa di Altarello di Baida-Boccadifalco, a cui era affiliato il Vitale, era dedita ad attività tradizionali come quella dell'estorsione (il Vitale ha comunicato alla Polizia un elenco di estorsioni sino ad allora del tutto ignorate e successivamente confermate dai costruttori edili che le avevano subite) e di tipo nuovo come la speculazione sulle aree. Non solo, ma permane la divisione delle zone di influenza tra le varie cosche. (Il Badalamenti è intervenuto recentemente da arbitro tra la mafia di Altarello e quella della Noce per una questione di competenza territoriale).
Il recente attentato al vecchio boss Vincenzo Nicoletti, subito dopo il suo rientro dal soggiorno obbligato, e la sequenza di delitti che ne è susseguita nella zona (il quadrilatero Pallavicino-Partanna-Mondello-Tommaso Natale) mette in evidenza l'esistenza di una realtà analoga in quel gruppo di borgate rispetto a quanto denunziato per la zona di Altarello-Boccadifalco. La recrudescenza di attività criminali nella zona Cinisi-Carini-Partinico-Roccamena in relazione all'attività del gruppo mafioso legato alla famiglia di padre Coppola indica che anche in zona della provincia permane e si sviluppa l'attività delle cosche mafiose locali. Tutto ciò indica la ricostituzione (nonostante la repressione degli ultimi anni) di un potere mafioso su base territoriale con l'aggiornamento delle strutture tradizionali nonché dei campi di attività… Ma continua l'attività tradizionale tipo abigeato, controllo della guardiania, dell'acqua di irrigazione, dei consorzi di bonifica e degli appalti.
Questi fatti dimostrano il permanere di connivenze fra potere mafioso, amministrazioni locali, funzionari pubblici, uomini politici. La denunzia del Vitale lumeggiava anche questi aspetti, confermando come il potere DC nelle borgate di Palermo sia, ancora oggi, fondato largamente sulla compenetrazione con la mafia.
Lo «stato maggiore nazionale» della mafia stabilisce un suo rapporto di influenza e di intervento diretto, di volta in volta, sulle singole cosche locali che, pur conservando (come è nella tradizione della mafia) una loro autonomia, si comportano ancora come cellule di una organizzazione articolata pronte a rendere servizi allo «stato maggiore nazionale», nella attuazione delle varie imprese…

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