23.12.12

Milano anni 60. Le rose rosse della mafia (di Maurizio Maggiani)

Sul “Secolo XIX” il 14 ottobre di questo 2012 c’era un polemico articolo di Maurizio Maggiani dal titolo assai esplicito Mentre la mafia regna, ci si occupa di scippi.
L’articolo, assolutamente condivisibile, ricorda come una certa “cultura” nordista continua a non voler vedere la presenza minacciosa e pervasiva delle mafie nelle regioni del Nord: è quella stessa che ha enfatizzato i temi della “sicurezza”, chiedendo poliziotti dappertutto, telecamere, ronde.
Maggiani, di fronte allo stupore che accompagna le inchieste della magistratura o quelle giornalistiche di Saviano scrive indignato:
“Il sistema, l’apparato dei grandi media popolari e gli uomini che hanno governato e ancora governano il sistema, non si vergognano di palesare stupore e indignazione? Nell’ultimo decennio hanno insieme orientato e governato la sensibilità della pubblica opinione perché fosse costantemente all’erta, vivesse piegata nella paura, terrorizzata dal pericolo. Abbiamo avuto un “ministero della paura” che ha sostituito quello degli Interni, e l’apparato mediatico ne è stato il diligente ed efficacissimo megafono… Un popolo terrorizzato fino alla paranoia – comunque e nonostante chi ci osserva ci dica che riguardo ai delitti che ci ossessionano, l’Italia sta assai meglio di molte nazioni europee - ha lasciato che si trasformasse davvero il Paese in una favela, ma di tutt’altra suburra, pervasa di ben altri delitti”.
Sulla natura di questi “ben altri delitti” Maggiani non mostra dubbi:
“Da cosa e da chi è minacciata la santa pace dei bravi cittadini? Forse dai corrotti che hanno fatto sterco della Repubblica? Forse dagli acquirenti di voti mafiosi? Forse dai maiali che hanno grufolato nel bene pubblico? Quando mai, quando mai uno dei loro rivoltanti delitti è stato compreso nei reati “di grave allarme sociale”? Quando mai la comunità è stata messa in allarme per la disgregazione del sistema democratico, per l’avvelenamento di quello economico, per il mercimonio simoniaco del bene collettivo?”.
L’articolo non mi pare solo condivisibile, ma assolutamente encomiabile, perché accanto a Saviano ricorda i giornalisti che per primi si occuparono di infiltrazioni mafiose al Nord, a Milano in particolare, uno addirittura 60 anni fa, Giancarlo Fusco. Credo che nell’articolo ci sia una marginale imprecisione: a chiamare al “Giorno” il geniale giornalista di origine ligure penso che non sia stato Italo Pietra, ma il primo direttore del quotidiano milanese, il “famigerato” Gaetano Baldacci. Fu invece certamente Pietra a dare a Fusco l’incarico di cui Maggiani scrive nel brano del suo articolo che qui riporto. (S.L.L.)
Milano. La sede dei mercati generali tra gli anni 50 e 60
Il troppo e troppo stupidamente dimenticato Gian Carlo Fusco, fulgido esempio di uomo di cultura e pugilato, rarissimo esemplare di spezzino che abbia messo il naso fuori dal Golfo senza rimanerne segnato dallo sconforto e dalla depressione, fu chiamato a Milano da Italo Pietra.
Il leggendario direttore del “Giorno” lo chiamò per far valere il suo temperamento di pugile, il suo sguardo acuto e la sua bella scrittura come giornalista di inchiesta. Si era all’inizio degli anni ’60, nel cuore del boom economico e di Milano capitale morale, la città era il punto di incontro delle esperienze culturali e artistiche più avanzate d’Europa e incubatrice delle politiche progressiste del Paese.
Eppure, eppure… Gatta ci covava, e Fusco fu incaricato di un’inchiesta ai mercati generali, tanto per cominciare, dove forte era il sospetto che qualcosa non andasse. Uscì un suo memorabile reportage che raccontava con vividi dettagli le infiltrazioni mafiose nella rete di distribuzione all’ingrosso e al dettaglio.
Il giorno dopo la pubblicazione, di prima mattina, si presentò alla porta della stanza d’albergo dove Fusco alloggiava una bella bambina dai ricci neri che gli offrì una rosa rossa. A quel tempo non si usava la protezione e la scorta per i giornalisti e lo stesso giorno Italo Pietra ficcò Fusco sul rapido per Roma, città da dove cominciò daccapo il suo lavoro di giornalismo. Il dono di una rosa rossa era all’epoca cavalleresca della mafia il pronunciamento di una condanna a morte...

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