24.10.10

Nichi Vendola e la "fuffa buonista". L'articolo della domenica.

Tra i compagni della sinistra estrema, e talora anche tra i commentatori della destra più cinica, sento di quando in quando liquidare i discorsi di Nichi Vendola come “fuffa buonista", con un neologismo che non capisco appieno, ma immagino non significhi niente di buono. Qualcuno lo paragona a Veltroni e scommetto che domattina, tra i commentatori del discorso conclusivo del presidente pugliese al Congresso di Sel, non mancherà chi faccia riferimento al Lingotto. Vorrei, per questo, attirare l’attenzione su tre passaggi del discorso, tra i più concilianti e aperti verso il centro e perfino verso il padronato.
“Voglio dialogare da cattolico con i cattolici del family day, anche a costo di subire anatemi e incomprensioni” – dice Vendola. Lo fa dopo una requisitoria su come la destra al governo abbia aggredito in questa crisi economica le famiglie; valorizza il principio della “sacralità della vita” caro a molti cattolici, ma spiega come abbia ben poco a che vedere con il divieto di un riconoscimento giuridico per le unioni omosessuali. Dialoga dunque, si impegna nel costruire relazioni e convergenze, ma non molla su principi e  progetti.
Si rivolge poi al padronato e chiarisce subito “niente patto tra i produttori”, valorizzando il conflitto sociale, spiegando quanto sia ipocrita e strumentale una richiesta di pacificazione che, nella situazione data, sancirebbe lo strapotere padronale nella società e nei luoghi di lavoro. Ricorda ai cosiddetti “datori di lavoro” quanto negli ultimi quindici anni, con il concorso di tutti i governi, abbiano guadagnato; e quanto i lavoratori abbiano perduto. Poi entra nel vivo del declino industriale del paese, del tramonto delle attività tradizionali, del vuoto di prospettive che la stessa borghesia vive, se resta sul terreno della compressione dei diritti e dei salari, in mancanza di nuove scelte di modello sociale e produttivo. Tutta un’altra cosa rispetto alle facezie del “buonista” romano, il quale andava raccontando che anche l’imprenditore è lavoratore e proponeva pace sociale. Su questo tipo di approccio Vendola saggiamente ha esercitato la propria ironia, considerandolo una variante dell’antico apologo di Menenio Agrippa.
Il capolavoro il presidente di Sel lo ha fatto tuttavia con un passaggio che metteva insieme la grande manifestazione organizzata dalla Fiom il 16 ottobre (e la grande partecipazione di popolo che l’ha caratterizzata), il ricordo di Aldo Moro e il giudizio sul Sessantotto. “Come avrebbe commentato Aldo Moro la piazza del 16 ottobre? Lui, che aveva spiegato ai moderati come nel movimento che scuoteva le università, vi fosse il seme di un rinnovamento positivo?”. Niente a che fare con Veltroni, neanche in questo caso. L’omino del Lingotto, infatti, forse ammaliato dai successi di Sarkozy, che con il “joli mai” francese aveva proclamato la “rupture”, partecipava alla generale demonizzazione del Sessantotto e proclamava un ritorno all’ordine, seppure con qualche “ma anche”.
Io non so quanto cammino farà la proposta politica di Vendola, giacchè i tempi sono orrendi e gli ostacoli saranno molti, ma so che da Firenze parlava finalmente il leader di una sinistra consapevole ed orgogliosa delle proprie radici sociali e dei propri valori, una sinistra capace di indicare una strada comune anche a chi di sinistra non è per salvare l’Italia (e l’Europa) dalla regressione economica, culturale e civile.

Nessun commento:

statistiche