13.10.10

Victor Hugo e il mito di Parigi (di Giovanni Macchia)


In occasione dell’esposizione universale del 1867, Victor Hugo dal suo esilio di Hauteville House preparò un suo lungo scritto su Parigi che servì d’introduzione al Peris-Guide. Mi protesto, malgrado tutto, un devoto estimatore dei Hugo, ma uno scritto del genere è arma sufficiente per mettere con le spalle al muro il più cieco dei fanatici. La solitudine, il mare, il tramonto giuocano spesso dei brutti scherzi. E Hugo inoltre amava guardare all’avvenire. E nella sua fantassia buona, pia, generosa, eccitata forse da una notte serena, gli apparve il mondo del XX secolo, del nostro massacratissimo mondo, gli apparve in forma di un’unica nazione, illustre, ricca, pensante, pacifica, cordiale, che guarda con disprezzo “la gloire des projectiles coniques” e che a mala pena sapesse distinguere la porpora di un generale dal camice insanguinato di un macellaio. Dopo essersi abbandonato a una progressione di presagi da cui scaturiva la certezza che l’età dell’oro apparteneva non al passato ma all’immediato futuro, il sogno di Hugo si faceva un tantino più interessato. Una nazione “centrale” si sarebbe assunto il destino di diffondere la propria luce su tutti i continenti, inaugurando l’unità della lingua, della moneta, del codice. questa nazione ch’era la Francia, non si sarebbe chiamata Francia ma Europa, e nei secoli venturi Umanità. Avrebbe avuto per capitale Parigi.
L’europeismo delirante di Victor Hugo non ha niente a che fare, s’intende, con quello del generale De Gaulle. Ma in un momento come quello presente, in cui si parla con ironia e preoccupazione di una Francia Carolingia, non manca di una sua attualità. E’ da notare tuttavia che il sogno di Hugo nasce più che da una esaltazione della Francia nella sua funzione storica, da mito tutto poetico della città di Parigi, come si era andato formando dai tempi della Rivoluzione. Dietro quel nome luminoso egli faceva smuovere l'Europa e tutta l’umanità.
Da Il mito di Parigi, Einaudi 1965 

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