19.2.13

Fascismo. Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, detto "Sciupone l'Africano" (Mario Giovana)

Da L'avventura fascista in Etiopia di Mario Giovana, uscito in dispense mensili con "Il Calendario del Popolo" nel 1972, poi in volume per editore Teti, riprendo una paginetta su un tronfio gerarca ex nazionalista, quadrumviro della Marcia su Roma, governatore della colonia Eritrea nella seconda metà degli anni 20. (S.L.L.) 
12 aprile 1928, Eritrea. Cesare De Vecchi di Van Cismon (coi baffi)
sorride soddisfatto in occasione della visita del principe Umberto
(particolare da una foto dell'Istituto Luce)
Cesare Maria De Vecchi, quadrumviro della «marcia su Roma», ex nazionalista confluito nelle file fasciste, era stato mandato in Somalia da Mussolini, il quale, concordemente con il parere della maggioranza dei suoi collaboratori, lo reputava uno zotico inadatto a ricoprire funzioni di responsabilità. De Vecchi si era distinto nel 1922, al fianco del capo delle squadracce fasciste di Torino, Brandimarte, nei pestaggi e negli assassini di antifascisti, nelle distruzioni di sedi del movimento operaio e nel clima di terrore instaurato nel capoluogo piemontese dai manganellatori col fez. La brutalità di cui aveva dato molti saggi in quelle imprese, lo aveva posto in luce nello stato maggiore fascista; e il duce, volendo nel vertice degli organizzatori del suo colpo di Stato un nazionalista convertito e politicamente innocuo, se lo era preso, con Michele Bianchi, Italo Balbo e De Bono, nel «quadrumvirato» della «marcia su Roma». Ma, trascorsa la fase dello squadrismo picchiatore, la collocazione di De Vecchi andava risolta mettendolo in posti in cui la sperimentata inettitudine dello stolido individuo nuocesse il meno possibile. La Somalia veniva a taglio: era distante da Roma, con qualche problema di «pacificazione» che non reclamava uno stratega ma soltanto la crudeltà appunto di un ex comandante di squadracce. Una colonia che vivacchiava. A Mogadiscio, il capoluogo, Mussolini aveva già inviato, in una specie di domicilio coatto, Amerigo Dumini, uno degli assassini di Giacomo Matteotti, sicario di bassa lega la cui presenza in Italia disturbava il duce.
De Vecchi governatore in colonia non smentì se stesso. Afflitto da manìe di regalità, cercò di imitare il fasto dei viceré britannici, con ridicole trovate cerimoniali, ricevimenti dispendiosi e messe in scena militaresche che lo resero lo zimbello della stessa comunità bianca, procurandogli l'appellativo di «Sciupone l'Africano». La sua «conquista» dei sultanati d'Obbia e di Migiurtinia, magnificata dalla propaganda del regime come esempio di fulminea genialità bellica, fu in effetti una riedizione coloniale delle spedizioni punitive dello squadrismo delle origini: in un paio di settimane, alcune centinaia di ascari e di dubat (reparti indigeni addetti alla sorveglianza dei posti di confine), senza scontrarsi con nemici inesistenti, occuparono quelle terre bruciando e saccheggiando i villaggi, fucilando senza processi i sospetti di sentimenti antitaliani e catturando i due sultani. Il bilancio delle spese di questo raid da predoni (si mormorò che De Vecchi avesse personalmente sottratto l'argenteria delle dimore dei sultani vinti) e la pessima amministrazione di un fiduciario così prodigo, in una colonia in cui la popolazione locale a malapena aveva di che nutrirsi, fecero registrare dei passivi tali da indurre Mussolini a richiamare in patria il quadrumviro ed a rimpiazzarlo col governatore Corni.

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