11.2.13

Brasile. La cultura è un buon investimento (di Francesco Restuccia)


San Paolo del Brasile, Sesc Pompéia, opera dell'architetto Lina Bo Bardi (foto Kok)

Dal Brasile Francesco Restuccia, su “alias” del “manifesto”, racconta, sotto il titolo Investire nella cultura con profitto, una storia su cui riflettere, di un grande paese che, pur subendo – almeno in parte – gli effetti della grande crisi finanziaria, investe con generale soddisfazione nella cultura, ottenendo perfino successi economici e, dimostrando per questa via, che di cultura si mangia e bene. L’articolo non è del tutto chiaro sull’argomento e il titolo originario che parla di “profitto” a proposito di organizzazioni no profit non aiuta, ma il segreto, da quel che ho compreso, consiste nella gestione autonoma, affidata alle associazioni di categoria, di una quota detratta per legge dal reddito d’impresa e finalizzata alla realizzazione di servizi culturali, sportivi e ricreativi. Spero che anche su questo spazio possa intervenire con chiarimenti e link di approfondimento qualche lettore che ne sappia di più.
Le foto che corredano il post, di Pedro Kok, sono tratte dal sito del Secs Pompéia di San Paolo, opera dell’architetto Lina Bo Bardi. (S.L.L.)   

San Paolo del Brasile. Sesc Pompéia, uno degli ingressi (foto Kok)

San Paolo, Brasile
“In questa foresta di cemento, la più grande metropoli dell’emisfero sud, dove «nulla si cristallizza, i paesaggi cambiano, le persone si mescolano» (M. Hatoum, Corriere della sera, 22/12/12), si è realizzato un miracolo. La prova che si sbagliava chi riteneva che la cultura non fosse un buon investimento. Il Sesc ha fatto quadrare un’offerta culturale senza paragoni per ampiezza e qualità con un incredibile successo economico, senza dimenticare l’accessibilità dei suoi eventi, quasi gratuiti. Si tratta del Servizio Sociale del Commercio, un’entità privata, no profit, il cui finanziamento è regolato già dalla Costituzione.
La vita culturale brasiliana è sempre più dinamica, soprattutto a San Paolo, dove oltre alla biennale di arte contemporanea e di varie mostre del cinema, si trovano una vivacissima scena musicale, compagnie sperimentali di danza, teatro... Se si fa attenzione all’elenco dei finanziatori dei progetti, si noterà la presenza fissa, spesso prima ancora delle grandi banche e del municipio, di questa istituzione unica. Come afferma Larry Rother, in un articolo uscito in prima pagina sul “New York Times” il 27 marzo, in un momento in cui le organizzazioni culturali in tutto il mondo diminuiscono il loro budget, il Sesc lo aumenta del 10% annuo. Questa organizzazione non solo finanzia eventi, ma ne ospita innumerevoli nelle 397 sedi disseminate in tutto il Paese, di cui 19 solo nella città di San Paolo, così che ognuna di queste unità è diventata il punto di riferimento dell’area che serve. In questi spazi, spesso capolavori dell’architettura contemporanea, si svolgono concerti, spettacoli teatrali, proiezioni, conferenze, corsi, mostre, si possono trovare ristoranti, complessi sportivi, piscine: il tutto gratis o a prezzi stracciati.
L’articolo del “New York Times” ha mostrato il successo internazionale di questo modello, che sta cominciando ad essere imitato ed è sicuramente già invidiato: «Il modello Sesc è un esempio che dovremmo avere in tutto il mondo», ha affermato Nan van Houte, direttore del Netherlands Theater Institute. Il Sesc sta già finanziando diversi artisti americani, sponsorizzando un festival jazz e una compagnia teatrale negli Stati Uniti, oltre ad aver concluso un accordo di collaborazione a lungo termine con il regista teatrale Bob Wilson. Il successo testimoniato da Rother è stato probabilmente una sorpresa per i brasiliani, che abituati a questo sistema non avevano molta coscienza della sua unicità: l’articolo è stato ripreso dai principali giornali di San Paolo e di Rio, rispettivamente l’“Estadao” e il “Globo”, con un po’ d’incredulità nel vedere la loro istituzione considerata «un modello unico, che si occupa di dividere la ricchezza». Tutto ciò va posto nel contesto di un Paese che sta investendo nella sua immagine all’estero, soprattutto in quanto produttore di cultura: il ministero degli esteri ha un programma di finanziamento dei tour all’estero di musicisti brasiliani e lo stesso si sta organizzando per la distribuzione di film. Secondo il direttore del Sesc, Danilo Miranda, il budget, adesso di circa 600 milioni di dollari all’anno, è raddoppiato all’incirca ogni sei anni.
Ma come ciò è possibile? Per comprenderlo bisogna fare un passo indietro. Questa istituzione, infatti, fa parte del cosiddetto «Sistema S», un sistema di Servizi legati ciascuno alla propria categoria professionale, come viene descritto sul blog dell’“Estadão” da Alcides Leite, professore di economia e ispettore-analista della banca centrale del Brasile. Oltre al Servizio Sociale del Commercio esiste un servizio dell’apprendistato rurale, dell’apprendistato del commercio, del cooperativismo, dell’industria, dei trasporti, e un servizio di appoggio alle micro e piccole imprese. Questi enti sono organizzati a partire dalla categoria a cui fanno riferimento e non del modo in cui investono il loro budget, il che significa che sono offerti servizi molto differenti, da istituzioni universitarie a incentivi economici alle imprese. Ciascuno di questi servizi è indipendente, privato e no profit ed è finanziato attraverso una tassa speciale, prevista dalla costituzione brasiliana dell’88, chiamata «contribuzione di interesse delle categorie professionali o economiche». In pratica lo Stato
impone alle imprese una tassa del 1,5% sulle spese del libro paga, cioè proporzionalmente alla forza lavoro impiegata nel Paese, il cui introito viene raccolto dalla categoria a cui ogni impresa appartiene e gestito direttamente dal Servizio di riferimento. In questo modo, quanto più cresce la forza lavoro brasiliana, tanto più ciascuno di questi enti è capace di offrire un servizio ricco e disponibile a tutti.
In questi anni l’economia brasiliana è in crescita, ma la forza lavoro sta crescendo ancora più velocemente, il che spiega in parte l’incredibile sviluppo economico del Sesc, in gran parte dovuto al concreto successo di partecipazione alle sue iniziative. Per avere un’idea delle possibilità di questa istituzione, il budget del Sesc del solo Stato di San Paolo, il più ricco e popoloso dei 23 stati del Brasile, è pari a quello che il Sovvenzionamento Nazionale per le Arti degli Usa spende per tutta la nazione. Dal momento che si tratta di un ente no profit, ciò che non viene speso per programmi culturali e altre attività, all’incirca un quarto del budget complessivo, è investito per l’espansione e il rinnovamento dei suoi centri.
Secondo il professor Leite ciò che distingue il Sesc dal servizio pubblico è l’efficienza dei suoi centri, caratterizzati da istallazioni moderne, pulite e confortevoli e dalla loro ottima manutenzione: questo perché si salva dai tagli del bilancio pubblico e dalla burocrazia. Certo rimane una qualche tendenza al corporativismo e possibilità di corruzione, ma finora l’unico caso notevole è stato il licenziamento del presidente del Sesc di Rio accusato di sovrafatturazione, un dato ben al disotto della media brasiliana in fatto di corruzione.
Il Sesc fu fondato nel ’46, quando il governo e il settore commerciale erano preoccupati che i lavoratori potessero essere attratti dal comunismo: si offriva così un servizio di svago, un dopolavoro, con eventi culturali e pasti a basso costo o gratuiti.
Molti anni dopo, con la fine della dittatura e il governo democratico dell’88, il Sesc ha cominciato a riempire il vuoto lasciato dal potere pubblico, tanto che il suo ruolo è stato riconosciuto nella costituzione ed è diventato quasi uno strumento di politica culturale, per quanto sia rimasto indipendente. Così gli eventi e gli spazi si sono moltiplicati e sono diretti a tutti e a prezzi molto bassi, con sconti del 50% per studenti e anziani e del 75% per i lavoratori del settore commerciale.
Questi spazi, oltre ad eventi culturali e artistici come mostre, rassegne cinematografiche e concerti, hanno una vera e propria funzione sociale: ospitano cliniche mediche, centri sportivi e ricreativi (con piscine olimpioniche all’interno e parchi acquatici all’esterno, accessibili illimitatamente con una ventina di euro all’anno), attività per bambini e anziani, gite fuori città organizzate, corsi teorici (dalla storia dell’arte al marketing) e pratici (musica, danza, pittura), mense con cibo di qualità a prezzi sociali, librerie, biblioteche… Inoltre il Sesc ha una sua casa editrice, una casa discografica e un canale satellitare.
San Paolo del Brasile. Sesc Pompéia, la biblioteca. (Foto Kok)
Nello stesso spirito si può comprendere la legge di vent’anni fa che concede riduzioni fiscali alle imprese che investono nella cultura. Questo ha permesso al Brasile di ottenere la grande dinamicità della sua vita culturale, grazie alla facilità di ottenere finanziamenti, notevole considerando che sarebbe stato molto difficile per un’economia come quella brasiliana elargire altrettanti finanziamenti pubblici. Dati i successi, il governo attuale del Partito Trabalhista vorrebbe addirittura rafforzare questi incentivi. Tutte le principali banche, per esempio, hanno adesso un loro centro culturale, che possono gestire loro stesse.
Questo sistema non è solo appoggiato dal governo e apprezzato dalla popolazione. Le stesse imprese, che pagano le imposte che finanziano il Sesc, lo supportano. Abram Szajman, presidente della camera di commercio dello Stato di San Paolo, ha affermato: «È importante, per noi uomini d’affari, che la società veda che stiamo partecipando. Ma c’è anche un ritorno pratico: i nostri lavoratori vanno a lavoro come cittadini più informati, più istruiti e più felici, il che li rende più produttivi». Il Sesc ha compiuto quindi un ulteriore miracolo: non esiste apparentemente alcun settore della società che non supporti questa istituzione e persino sul piano politico nessuno tra i più di venti partiti brasiliani, al governo o all’opposizione, lo ha criticato fino ad ora.
Al di là di tutto ciò, la struttura mantiene la caratteristica di essere indipendente da ogni organizzazione a fini di lucro. Questa indipendenza garantisce un importante pregio dal punto di vista della qualità artistica della produzione. Data la grande ampiezza dell’offerta, la sicurezza di un ricco budget alle spalle e soprattutto il fatto che il Sesc non debba ottenere un profitto, che non debba vendere al massimo e a ogni costo i suoi prodotti, incoraggia incredibilmente il lavoro sperimentale. Per gli artisti si tratta di un riparo dalla domanda commerciale, uno dei pochi luoghi dove si possa elaborare un progetto nuovo senza essere costretti a fare compromessi; e, forse proprio per questa libertà, poi il successo arriva comunque. Secondo il regista Bob Wilson «concentrandosi sul coinvolgimento della comunità nelle arti e nella cultura, (il Sesc ndr) rimuove la pressione promozionale e del marketing, che si verificherebbe con uno sponsor aziendale».
Gli stessi spazi si prestano a sperimentazioni. Nel Sesc Belenzinho la piscina è coperta da una lastra di vetro che è il pavimento di un enorme sala alta quattro piani. Morena Nascimento e Andreia Yonashiro stanno approfittando di questo spazio con lo spettacolo di teatro-danza «estudos para clarabóia», che si svolge su questo pavimento di vetro, giocando con lo spazio e con la luce: gli spettatori possono assistere allo spettacolo nella sala stessa, dall’alto di uno dei quattro piani vedendo la piscina in trasparenza sotto i ballerini, o immersi nell’acqua della piscina osservando da sotto i ballerini danzare sulla lastra di vetro.

San Paolo del Brasile. Sesc Pompéia, il teatro (foto Kok)

Il Sesc Pompéia, capolavoro dell’architetto italo-brasiliana Lina Bo Bardi del ‘77, ospita un teatro il cui palco è posto al centro tra due spalti: in questo modo gli attori recitano in uno spazio tridimensionale, senza schiacciarsi sulla «quarta parete». Un sistema di amplificazione permettere di sentire anche chi in quel momento parla di spalle. Lo spettatore, scegliendo il suo posto, sceglie già un punto di vista, e assisterà così a uno spettacolo diverso rispetto a chi è seduto dall’altra parte. Le poltrone sono state progettate dall’architetto appositamente di legno, leggermente scomode, per costringere lo spettatore a prestare attenzione al lavoro degli artisti, pensando a un teatro partecipativo, che non sia un semplice svago.
Il centro, fino agli anni ’70 una fabbrica, fu ristrutturato conservando la struttura generale dell’edificio precedente, cercando di mantenere così la vivacità delle attività spontanee che gli operai organizzavano con le famiglie in quei locali nei fine settimana. Oggi si può notare la continuità e l’integrazione totale degli spazi di attività e di circolazione, un aspetto centrale del progetto stesso del Sesc. «Integrare tutto, avere teatri, piscine, biblioteche, ristoranti, laboratori e musei tutto insieme è molto intelligente. Rende la cultura parte della vita di ogni giorno e non qualcosa di separato», ha dichiarato il direttore del Netherlands Theater Institute, Nan van Houte.
L’integrazione di diverse attività non comporta un accentramento, ma presentando una rete di centri in ogni città questa istituzione riesce ad essere parte della vita quotidiana, adattandosi ai bisogni differenti di ogni quartiere. In questo senso si può dire che il Sesc svolga una funzione sociale. In un Paese dove il sistema di istruzione pubblica è tra i meno sviluppati al mondo, in cui l’istruzione di qualità è quasi esclusivamente privata, l’accessibilità alla cultura offerta da questa istituzione, diventa un vero strumento di educazione.

"alias - il manifesto", 9 febbraio 2013

Nessun commento:

statistiche