6.2.13

Violenza di genere. Quando la vittima collabora (Luisa Betti)

La recensione che segue si conclude consigliandolo a psicologi e ad avvocati, ma dopo un terribile anno di “femminicidi”, il particolare approccio al tema della violenza sulle donne può interessare anche militanti femministe e persone di sinistra, per un approfondimento culturale e politico. (S.L.L.)
La psicologa Elvira Reale
Francesca è sposata e ha due figli, ma la sua vita matrimoniale è stata un incubo perché veniva picchiata dal marito ogni volta che disattendeva la sua volontà, con una sequenza di schiaffi al volto, presa alla gola, e alla fine stupro.
Costretta ad avere rapporti violenti con il marito anche durante le gravidanze, episodi che hanno provocato serie minacce d’aborto, Francesca ha subìto il controllo dell’uomo per anni: «Non contavo nulla – dice – ero un oggetto nelle sue mani». Una vita, quella di Francesca, simile a quella di milioni di donne che nel mondo subiscono violenza in casa. Ma perché una donna rimane in una prigione con il suo aguzzino?
Lo spiega in un libro di due tomi, Maltrattamento e violenza sulle donne (Franco Angeli, 2011), Elvira Reale, che dirige il Centro clinico sul maltrattamento delle donne a Psicologia clinica di Napoli, e che ha trasformato in un manuale l’esperienza dello sportello antiviolenza del pronto soccorso dell’Ospedale San Paolo.
Oltre a sottolineare come «il profilo delle donne maltrattate sia un profilo normale» e che «la violenza contro le donne è un problema di salute pubblica universalmente diffusa in tutte le culture dominanti attuali», Reale analizza i casi di violenza domestica incontrati sul campo. Lo fa attraverso una nuova lente: la sindrome di Stoccolma, in cui la vittima per sopravvivere simpatizza con il suo carceriere, e gli studi di Albert Biderman sulle tattiche di lavaggio del cervello, con cui il sociologo analizzava i metodi per ottenere l’adattamento alla prigionia nella guerra in Corea.
«Una donna che sopporta la violenza per anni – spiega l’autrice – non lo fa perché ha un profilo fragile o instabile, ma perché ha una dipendenza economica, emotiva o fisica dall’abusante, una dinamica non molto diversa da quella che può colpire un uomo mobbizzato sul lavoro senza alternative o un sequestrato che per sopravvivere empatizza con chi lo minaccia».
Nel libro si analizzano le pratiche di manipolazione della vittima, per cui una donna maltrattata può «modificare radicalmente il modo di essere». «Come si legge in un report di Amnesty International – conclude Reale – lo studio dei mezzi psicologici di controllo, necessari a ottenere la collaborazione delle persone soggette a prigionia o a restrizioni, è il modo più efficace per ottenere cooperazione, e passa attraverso la manipolazione della mente e dei sentimenti della vittima che diventa così un prigioniero psicologico, oltre che fisico». Un valido strumento per psicologi e per chi giudica in Tribunale.

"Le Monde diplomatique", edizione italiana, dicembre 2011

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