9.2.13

Poeti. Il pionere e l'epigono (Cesare Pavese)

In poesia l'inventore di un genere, di uno stile, di un tono, lo scopritore di una terra incognita, riesce - è cosa nota - più esauriente ed efficace dei suoi epigoni, dei molti o dei pochi che su questo stile e tono, su questa terra incognita dovrebbero ormai saperla più lunga del pioniere, e certo continuano l'opera sua con facile confidenza e più raffinati strumenti. Avviene qui un fatto che non ha riscontro in nessun'altra attività umana. Il primo che getta lo sguardo e si avanza in una nuova provincia è anche il suo più efficiente sfruttatore, e più che un diboscamento e una messa a coltura la sua si direbbe un'incursione mongolica, uno di quei saccheggi sulle orme dei quali non ricresce l'erba. Non mancano i casi di creatori che letteralmente soffocano in culla gli epigoni e non sorge il secondo a raccoglierne l'eredità. A costoro, di solito, si ritorna soltanto dopo secoli, quando cioè la vicissitudine delle ideologie e dei gusti ha fatto della loro opera quasi un oggetto, una creazione della natura - come le intemperie fanno di certi monumenti - e si può ispirarsene con un senso di scoperta genuino, come rifacendosi a un dato naturale.
Il pioniere e l'epigono. Il primo inventa, comprende e passa oltre; il secondo, toccato dall'evidente ambiguo fascino della terra fino a ieri sconosciuta, ci ritorna e indugia, ci costruisce la casetta, pianta il frutteto e fa le conserve. Qualche volta vive tutta la vita, tra il rispetto e l'applauso del prossimo, senz'accorgersi che alle sue conserve manca il gusto della terra — dell'acqua e del cielo. È un letterato. Quasi sempre lo sa e se ne vanta…

Da Poesia è libertà (1946) in Saggi letterari, Einaudi 1968

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