10.2.13

Il «Mein kampf» del signor Adolf: antisemitismo e anticomunismo (Arno J. Mayer)

Nel Mein Kampf Hitler additava gli ebrei come i portatori principali del «bacillo mortale» che stava consumando la Germania. Già prima del 1914 gli ebrei avevano concorso a diffondere — scriveva — «il putrido virus delle idee marxiste», il più pericoloso di tutti i veleni. Se la Germania durante la guerra avesse avuto «un governo   responsabile»,   esso avrebbe «messo da dodici a quindicimila di questi ebrei corruttori del popolo sotto i gas asfissianti, che centinaia di migliaia di nostri migliori lavoratori tedeschi... sul campo di battaglia avevano dovuto sopportare». Anzi, l'eliminazione tempestiva di poche migliaia di «traditori, parassiti, usurai e truffatori» avrebbe potuto salvare cento volte tanti «veri Tedeschi di grande valore per il futuro». Al contrario, gli «avvelenatori» ebrei erano stati lasciati liberi di continuare a diffondere la loro pervasiva contaminazione. Gli ebrei erano «portatori di malattie della peggior specie» anche nel mondo culturale, giacché producevano «immondizia letteraria, paccottiglia artistica e assurdità in campo teatrale». Infettavano il popolo «con una pestilenza intellettuale peggiore dell'antica Morte Nera».
Nel mondo attuale, gli ebrei erano pericolosi soprattutto perché erano fondatori e organizzatori del marxismo Che aveva riportato il suo più grande trionfo con la Rivoluzione e l'instaurarsi del regime bolscevico in Russia. Secondo il manifesto di Hitler, come un tempo gli ebrei «si erano serviti della borghesia come di un ariete contro il mondo feudale», così ora «si servivano dei lavoratori contro la borghesia». E naturalmente, attraverso il «parlamentarismo» che era altrettanto «sporco e infido» degli stessi ebrei, la democrazia borghese forniva un terreno fertile alla «piaga mondiale» e alla «pestilenza marxista». Ma questa volta gli ebrei si servivano del marxismo organizzato per la loro lotta volta a sostituire il dominio della democrazia con quello della dittatura del proletariato. In quest'ultimo assalto al potere, «l'ebreo democratico popolare si era trasformato nell'ebreo sanguinario e tiranno del popolo»… Hitler additava «la lotta degli ebrei per l'egemonia in Russia» come un monito per le élites, insistendo sul fatto che «con l'aiuto della Rivoluzione bolscevica le classi elevate russe e... l'intellighenzia della nazione venivano assassinate e totalmente distrutte tra sofferenze e atrocità disumane». La conseguenza ultima era la «de-nazionalizzazione» e parimenti la «degenerazione promiscua» del popolo russo. Facendo risuonare l'allarme sul pericolo di questa «sanguinosa bolscevizzazione» che stava invadendo il continente, Hitler osservava che «dopo la morte della vittima, lo stesso vampiro (ebraico) prima o poi sarebbe perito».
A suo giudizio, «i due pericoli... quello del marxismo e quello dell'ebraismo» erano inseparabilmente fusi. Insieme, costituivano il polo opposto e il nemico capitale della fede e del dogma nazionalsocialista.
«La dottrina ebraica del marxismo nega il principio aristocratico della natura e sostituisce la massa e il peso morto dei numeri all'eterno privilegio della forza e del potere. Nega perciò il valore della personalità nell'uomo, contesta il significato di nazione e razza e in tal modo priva il genere umano di uno degli elementi essenziali alla sua sopravvivenza e civilizzazione. Il marxismo, se assunto a fondamento dell'universo, significherebbe la fine di ogni ordine immaginabile per l'uomo...».
Conforme a questa sua visione apocalittica e al suo bisogno di un unico nemico, in Mein Kampf Hitler ammoniva che «se con l'aiuto di questa fede marxista l'ebreo conquisterà i popoli del mondo, la sua corona sarà la corona funebre dell'umanità (e) il nostro pianeta ancora una volta come milioni di anni fa girerà deserto nell'etere». Come per conferire una sanzione sacra alla propria missione, invocava «lo spirito del Creatore onnipotente» affermando: «Opponendomi all'ebreo io mi batto in difesa dell'operato del Signore».
Secondo Mein Kampf, la precondizione per l'inizio della civiltà era la «disponibilità..., conquista (e) sottomissione... delle razze inferiori». In un passato lontano, «l'uomo conquistato... guidava l'aratro» per l'ariano, nel quale l'istinto di conservazione era associato alla volontà di subordinare e sacrificare «il proprio ego alla vita della comunità». Da sempre «la politica internazionale è stata una lotta per la vita e per la morte nella quale il trionfo di una nazione significa la devastazione e la conquista di un'altra».

Da Soluzione finale, Mondadori 1990

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