1.2.18

La morte di Ferraris. Compagno Pino, quanto ci hai insegnato (Valentino Parlato)

Pino Ferraris con il nipote Francesco
Nelle prime ore di ieri se ne è andato Pino Ferraris, un maestro della classe operaia.
Originario del biellese, centro dell’industria tessile tradizionale, ha avuto il suo primo ruolo pubblico di assoluto rilievo come segretario della federazione torinese del Psiup (partito socialista di unità proletaria). Ispiratore e sostenitore dei primi consigli di fabbrica alla Fiat, ebbe una sorta di ostracismo dal fortissimo Pci locale e all’inizio del 1970 arrivò a Roma, esiliato all’ufficio studi della Cgil, su invito di Vittorio Foa.
Vittorio ha sempre raccontato che Pino arrivava per primo in Confederazione e nelle successive due ore inventava proposte, strategie, lotte sulle quali l’ufficio lavorava a pieno ritmo per il resto della giornata. Nel frattempo l’autore era in giro, a parlare, a imparare, a organizzare. Autunno caldo, stragi come risposta, elezioni anticipate come rimedio universale. È il 1972, il Psiup manca il quorum e così “il manifesto”, il Psiup si smembra e una componente di sinistra forma insieme a una componente di sinistra dell’Mpl (movimento politico dei lavoratori, braccio elettorale delle Acli) il Pdup (Partito di unità proletaria), Pino è tra i massimi dirigenti del nuovo organismo che tempo due anni si fonde con “il manifesto”, formando il Pdup per il comunismo,
Il primo congresso del nuovo partito è anche l’ultimo, Alternativa o alternanza? Cosa è meglio? Non è un problema nominalistico. Le alleanze per trasformare il paese devono comprendere o meno la sinistra extraparlamentare? Ci si deve allineare al Pci o cercare di cambiarlo? Intanto Luigi Pintor si è dimesso da direttore del “manifesto” e per molti mesi lo sostituisce una direzione collegiale con Pino, insieme a Vittorio Foa, Luciana Castellina, Rossana Rossanda e chi scrive. Le elezioni anticipate del 1976 vedono liste unitarie della sinistra – Pdup - Avanguardia operaia con Lotta continua - con un risultato mediocre e una lunga coda di risentimenti.
Pino è posto di fronte a un’improbabile candidatura in Calabria; sa bene di non avere prospettive, ma accetta la richiesta dei compagni. Qui finisce il lavoro politico o meglio partitico di Pino Ferraris, Non ha più partito, non ha sindacato, non ha lavoro e ha ormai più di quarant’anni. Ha però alle spalle un bel po’ di esami universitari e ha mantenuto l’iscrizione. Un fuori corso assai sfigato, come si dice oggi. Ricomincia a studiare, tra manuali inutili, per apprendere cognizioni stracotte, in breve si laurea e già nel 1977, richiamato da Luigi Ferrajoli, arriva a Camerino dove insegnerà per poco meno di trent’anni, in piena monotonia. Tra i giuristi, gli scienziati della politica, i sociologi, i filosofi di Camerino era arrivato finalmente un altro punto di vista, Pino era quello che aveva studiato i fatti, gli operai e i padroni, le mondine e le tessitrici per poi confrontarli con la teoria, L’università non era una sinecura, ma un lavoro di studio, di insegnamento, di passione soprattutto: un lavoro politico, se l’espressione ha ancora un senso,
Era intelligente Pino, nel senso che capiva e sapeva spiegare con chiarezza quello che aveva capito; questo valeva tanto per il pensiero dei classici quanto per la modernità. Ed era anche molto entusiasta. Gli raccontavi che eri stato in discoteca e lui ti spiegava, senza esserci stato, perché rumore, luci, abbigliamenti delle ragazze fossero come erano, come non potessero essere diverse da così, insomma dava un senso a quello che avevi visto. Oppure parlava di Parigi, amata nel 68, della sua montagna, di Mosca dove aveva disimparato a bere, di certi luoghi di Sardegna - le spiagge di Rosa, il Lungofiume, il Castello Malaspina - raccontando meglio di un film, con passione, con parole che significavano una vista più attenta, più accurata, più libera,
Non smetteva mai di studiare. Diceva di farlo con fatica e in effetti aveva un tale rispetto per il lavoro, anche intellettuale, degli altri che prima di scrivere anche una sola frase di commento, aveva letto gli interi testi di quell’autore e anche i testi che l’autore avesse eventualmente studiato. Sembrava disordinato e aveva una scrittura impossibile, ma teneva la sua merce, i libri, gli appunti, i ritagli, l’archivio nell’ordine efficiente di un bravo piccolo negoziante. Come la mamma. L’università intesa come ricerca e insegnamento non gli bastava, temeva di inaridire il suo discorso, di non meritare più il suo salario; anche per questo aveva cominciato negli anni ottanta a partecipare alla formazione sindacale dell’Flm, il sindacato unitario dei lavoratori metalmeccanici; ciò gli consentiva di offrire qualcosa che aveva elaborato agli operatori sindacali e di ricavare in cambio l’esperienza in atto del lavoro di fabbrica, nel suo divenire al tempo dell’introduzione delle nuove tecniche produttive. La sua esperienza di lavoro e di insegnamento si è poi riversata nelle settimane, per lui decisive, dei corsi all’Università di Campinas in Brasile, pubblicate nel 1992 da Ediesse e recentemente dalle edizioni dell’Asino (Quattro lezioni all’università di Campinas in Ieri e domani), Pino Ferraris spiega così il suo metodo nel presentare Campinas: «Il sottotitolo Quattro lezioni all’Università di Campinas indica il vincolo di “scritto d’occasione” che costringe questo testo. “Quattro lezioni” dedicate alle tumultuose, variegate e cruciali vicende di più di mezzo secolo di sindacalismo europeo costituiscono un limite drammatico, che impone selezioni drastiche che obbligano a una temeraria torsione interpretativa. Resta nell’ombra il lavoro analitico e risultano fortemente mutilate le possibilità narrative.
Nelle “lezioni” rimangono poi fissati e cristallizzati i nodi storici e logici proposti alla discussione, isolati da quegli svolgimenti ulteriori, da quegli arricchimenti e aggiustamenti che si sviluppano nel corso del concreto lavoro seminariale, “Università di Campinas”: gli interlocutori previsti, i destinatari di queste “quattro lezioni” ne hanno condizionato la stesura; studenti, docenti universitari, dirigenti sindacali hanno costituito un’area intellettuale di riferimento che è profondamente coinvolta nella fase di “stato nascente” del giovane e militante sindacalismo brasiliano. Gli interrogativi che in essa urgono vertono sui nodi essenziali, sulle opzioni di fondo: rappresentanza di interessi e orientamento ai valori, forme associative e metodi di lotta e di negoziato, relazioni tra classe operaia e popolo, rapporto tra azione sindacale e lotta politica...».
Campinas fa parte di una raccolta di tre scritti di Pino, uno dei quali è Un protagonista dimenticato, Osvaldo Gnocchi Viani. Con esso l’autore intende risarcire una figura dimenticata della lunga vicenda del movimento operaio italiano, il fondatore della Camera del lavoro di Milano. E nel farlo, Pino scrive un saggio storico e politico di altissimo livello per far conoscere un’altra storia e riflettere sulle origini di quello che oggi rischiamo di perdere.
Il Volume dell’Asino ha anche una dedica, «a mio nipote Francesco». Francesco è un bellissimo bambino di quattro anni che da ieri non ha più il nonno. Pino, persona rustica e poco incline ai sentimentalismi, per suo nipote si lasciava andare. Aveva rinunciato, nel tempo della lotta politica, a gran parte delle gioie della paternità. Poiché non aveva imparato, allora, come fare, tutto assorbito nel grande progetto, ora stava riprendendo con grande impegno il tempo perduto, per mano a un bimbetto.


“il manifesto”, 3 febbraio 2012

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