5.2.18

Adriana Zarri tra battaglie di avanguardia e uscite inopportune (Enzo Bianchi)

Leggo spesso con piacere le riflessioni di Enzo Bianchi, il monaco laico che ha fondato la comunità di Bose, e simpatizzo per lui quando viene, anche ferocemente attaccato dai cattolici più tradizionalisti per talune sue libertà di giudizio e per la volontà di portare più avanti il dialogo tra le religioni e quello tra i religiosi e i credenti in altro. Ma questo suo ricordo, che “posto” come esempio negativo, non mi è piaciuto affatto. In morte di Adriana Zarri, la teologa e l'eremita che ricordo assidua collaboratrice del “manifesto”, quotidiano comunista, Bianchi si vanta di non voler nascondere i dissensi, ma è come se lo facesse visto che non entra nel merito. Anche la reticenza può essere peccato mortale. (S.L.L.)

L’uscita, a poche settimane della morte di Adriana Zarri, del suo Un eremo non è un guscio di lumaca è l’occasione per fare memoria di questa cristiana scomoda, che ha saputo fare della propria esistenza una voce acuta e chiara nella chiesa degli ultimi sessant’anni.
Avendo avuto con lei molti scambi, soprattutto negli Anni Settanta e i primi Anni Ottanta del secolo scorso, desidero testimoniare innanzitutto la sua qualità di donna cristiana che ha saputo vivere la povertà evangelica in una vita sobria, senza lusso né accumulo di beni. Per sostenersi si è sempre affidata al suo lavoro - che non le consentiva certo agiatezze - e all’amicizia di chi l’aiutava nella gratuità a tenere bella e accogliente la sua casa.
La sua esistenza è stata quella di una «eremita» ancor prima di raggiungere una dimora solitaria: la sua incapacità di vivere in una comunità le veniva da un carattere di grande autonomia, di spiccata singolarità che rendevano difficile la convivenza quotidiana. Quando agli inizi degli Anni Settanta abbozzò in tentativo di vita comune con un prete di profonda spiritualità e profezia, l’idea naufragò prima ancora di prendere forma. Semplicemente, la solitudine era necessaria ad Adriana per «vivere dentro»; secondo le sue parole, per essere se stessa nel faccia a faccia con Dio e con il mondo: la solitudine era il suo modo di sentirsi in comunione con gli altri.
Nei lunghi anni che visse non lontano dal mio monastero - ad Albiano prima e poi a Crotte - non mancarono le occasioni di incontro da cui emergevano la sua passione per una chiesa fedele al Vangelo e la sua lucidità critica. Non nego che, pur nutrendo un grande rispetto per la sua qualità cristiana, non condivisi molte sue posizioni e la franchezza reciproca ci portò anche a scambi davvero vivaci...
Era soprattutto la diversa sensibilità ecclesiale a provocare attriti: il nostro modo di vivere nella chiesa e di criticare le non evangelicità di cristiani e istituzioni avevano timbri e accenti a volte profondamente dissonanti. La consapevolezza della sua «anomalia» di essere donna e teologa la portava a esprimere istanze a volte graffianti come i suoi amati gatti, altre volte tenere come un filo d’erba; la conduceva a battaglie di avanguardia e a uscite inopportune. Ma la sua vita e la sua persona, così ricche di intelligenza e sensibilità cristiana autentica, meritano un grande rispetto e un ascolto libero da pregiudizi.
Si è soliti celebrare le persone morte solo con elogi e quando si condivide tutto quello che hanno fatto e detto; altrimenti si sceglie il silenzio. Io credo invece che la chiesa sia una comunità plurale e che le vie per vivere il Vangelo al suo interno siano diverse: ciò che mi porta al silenzio non sono quindi le divergenze o le posizioni che sento contraddittorie alle mie, bensì gli atteggiamenti di chi non si guarda dal «lievito dei farisei», l’ipocrisia.
Da questo lievito Adriana Zarri è sempre rifuggita e per questo ne faccio memoria volentieri! Il suo libro, che alle pagine più antiche ne aggiunge altre, non meno aspre e critiche, contiene tutto il mondo di Adriana, le sue attese e le sue delusioni, l'indignazione e le speranze... Proprio per questo rivela ancora oggi un animo che ha sempre anelato a essere cristiano e a desiderare una chiesa degna del suo Signore.


“Tuttolibri – L a Stampa”, 5 marzo 2011

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