13.6.10

13 Giugno 1860. Discorso per Garibaldi (Victor Hugo)

Victor Hugo nella celebre foto di Nadar

Il discorso che qui sotto riporto quasi integralmente fu tenuto da Victor Hugo a Jersey il 13 giugno 1860 in occasione di una manifestazione in onore di Garibaldi e per l’Indipendenza della Sicilia organizzata dagli Amici della Sicilia. L’invito a Victor Hugo era anche un omaggio allo scrittore che nella grande isola mediterranea aveva trascorso il primi anni del suo esilio.
L’allocuzione di Hugo fu premessa all’edizione francese delle Memorie di Garibaldi, tradotte (e un po’ romanzate) da Alexandre Dumas, vietate in Francia dal regime di Napoleone il piccolo e pubblicate a Bruxelles con una introduzione di George Sand. 
In Italia il testo è stato pubblicato nel numero 32 della rivista “Alfabeta”, del gennaio 1982, con la traduzione di Isabella Pezzini (S.L.L.).
Giuseppe Garibaldi nel 1860
Signori, eccomi a rispondere al vostro appello. Ovunque venga innalzata una tribuna per la libertà e mi reclami, io vi giungo, è mio istinto, e vi dico la verità, è mio dovere.
La verità, eccola: è che in quest’ora non è permesso ad alcuno di essere indifferente i grandi avvenimenti che si stanno compiendo, è che all’opera augusta di liberazione universale cominciata oggi è necessario l’impegno di tutti, il concorso di tutti, il colpo di mano di tutti; che non un orecchio solo deve essere sordo, non un solo cuore deve tacere; che là dove si innalza il grido di tutti i popoli dev’esserci un’eco nell’animo di tutti gli uomini; che chi non ha che un soldo lo deve donare ai liberatori, che chi non possiede che una pietra deve gettarla contro i tiranni.
Gli uni agiscano, gli altri parlino, tutti si diano da fare! Sì, tutti all’opera! Il vento soffia. L’incoraggiamento pubblico agli eroi sia gioia per gli animi! Le moltitudini si facciano rosse di entusiasmo come una fornace!
Coloro che non combattono con la spada combattano con l’idea! Non una sola intelligenza resti neutrale, non un solo spirito rimanga inoperoso! Coloro che lottano si sentano guardati, amati e appoggiati! Intorno a quest’uomo, che è in piedi laggiù a Palermo, ci sia un fuoco su tutte le montagne della Sicilia e una luce su tutte le cime d’Europa.
Ho appena pronunciato questa parola:i tiranni! Ho esagerato? Ho forse calunniato ingiustamente il governo napoletano? Niente parole, eccovi i fatti.
Fate attenzione questa è storia vissuta, si potrebbe dire che è storia sanguinante.
Il regno di Napoli – quello di cui ci occupiamo in questo momento – possiede un’unica istituzione, l polizia. Ciascun distretto ha la sua “commissione di bastonatura”. Due sbirri, Ajossa e Maniscalco, regnano dopo il re: Ajossa bastona Napoli, Maniscalco bastona la Sicilia. Ma il bastone è solo il mezzo turco, mentre questo governo possiede il procedimento dell’inquisizione: la tortura. Sì, proprio la tortura.
Ascoltate: uno sbirro, Bruno, tiene gli accusati legati con la testa fra le gambe finché non confessano. Un altro sbirro, Pontillo, li fa sedere su di una griglia e vi accende sotto il fuoco, e questo si chiama la “poltrona ardente”. Un altro sbirro, Luigi Maniscalco, parente del capo, ha inventato uno strumento in cui si introduce il braccio o la gamba del “paziente”, si fa girare un ingranaggio e le membra si spezzano: questa si chiama la “macchina angelica”.
Un altro sospende un uomo per le braccia a due anelli fissi nel muro, e per le gambe al muro di fronte: fatto ciò gli salta sopra fino aslogarlo. Ci sono delle pinze che spezzano le dita della mano, c’è il mulinello serra testa, cerchio di ferro compresso da una vite, che fa uscire e quasi sprizzare gli occhi.
Qualche volta si riesce a fuggire: un uomo, Casimiro Arimano, è fuggito; sua moglie, i suoi figli e le sue figlie sono stati presi e messi a sedere al suo posto sulla poltrona ardente. Il capo Zafferana confina con una spiaggia deserta: su questa spiaggia degli sbirri trascinano dei sacchi, in quei sacchi ci sono degli uomini: si immerge un sacco nell’acqua e ve lo si tiene finché non si agita più: a quel punto lo si solleva e si ordina si confessare all’essere che vi si trova dentro. E se rifiuta lo si reimmerge. Giovanni Vienna, di Messina, è morto in questo modo. A Monreale un vecchio e sua figlia erano sospettati di patriottismo: il vecchio è morto sotto la frusta, e sua figlia, che era incinta, è stata denudata ed è morta anch’esse sotto la frusta.
Signori, è un giovane di vent’anni che ordina queste cose. Questo giovane si chiama Francesco II. Questo accade nel paese di Tiberio. E’ possibile? è vero. La data? il 1860, l’anno in cui ci troviamo. Aggiungete a tutto ciò i fatti di ieri, Palermo schiacciata sotto i proiettili, annegata nel sangue, massacrata – aggiungete questa tradizione spaventosa della distruzione delle città, che sembra la rabbia maniaca di una famiglia, e che, nella storia, battezzerà orrendamente questa dinastia e cambierà Borbone in Bomba. Sì, un uomo di vent’anni commette tutte queste azioni sinistre. Signori, io vi dichiaro che mi sento preso da una pietà profonda, quando penso a questo piccolo miserabile re. Che tenebre!
E nell’età in cui si sa, si crede, si spera, si ama che questo disgraziato tortura e uccide. Ecco ciò che il diritto divina fa di un’anima infelice. Il diritto divino sostituisce tutte le forme di generosità dell’adolescenza e dell’inizio con i terrori della fine, pone come una catena sul principe e sul popolo la tradizione sanguinaria, accumula sul nuovo venuto al trono le influenze della famiglia. Toglieta Agrippina da Nerone, cancellate Caterina de’ Medici da Carlo IX, e forse non avrete più né Carlo IX né Nerone.
Nello stesso istante in cui l’erede del diritto divino prende lo scettro, vede venire verso di sé questi due vampiri, Ajossa e maniscalco, che la storia conosce bene, che altrove si chiamano Narciso e Pallante, o Villeroy e Bachelier. Questi spetti si impadroniscono del triste fanciullo coronato, la tortura gli dice di essere il governo, la bastonatura gli dichiara di essere l’autorità, la polizia gli dice “Vengo dall’alto”, gli si mostra da dove viene, gli si ricorda il suo bisnonno Ferdinando I, quello che diceva: “Il mondo è retto da tre F: Festa, Farina e Forca; suo nonno Francesco I, l’uomo degli agguati; suo padre Ferdinando II, l’uomo delle mitraglie.
Potrà rinnegare i suoi padri? Gli si dimostra che deve essere feroce per pietà filiale ed egli obbedisce; l’abbrutimento totale del potere assoluto lo instupidisce. E’ così che, fatalmente, i giovani re continuano le vecchie tirannie. Bisognava liberare questo popolo, quasi dirò che bisognava liberare questo re. Garibaldi se n’è fatto carico.
Garibaldi! Cos’è Garibaldi? E’ un uomo, nient’altro. Ma è un uomo in tutta l’accezione sublime del termine. Un uomo della libertà, un uomo dell’umanità. Vir, direbbe il suo compatriota Virgilio. Possiede un’armata? No. Delle munizioni da guerra? Niente affatto. Della polvere da sparo? Qualche barile appena? Dei cannoni? Quelli del nemico. Qual è dunque la sua forza? che cosa ha dalla sua parte? Che cosa lo fa vincere? L’anima dei popoli. Egli va, corre, la sua marcia è l’avanzata di un incendio, il suo manipolo di uomini sbalordisce i reggimenti, le sue deboli armi sono incantate, le pallottole delle sue carabine tengono testa alle palle di cannone, egli ha dalla sua la Rivoluzione; e di quando in quando, nel caos della battaglia, nel fuma tra gli scoppi, si vede dietro di lui la dea, come se fosse un eroe di Omero.
Per quanto accanita sia la resistenza, questa guerra sorprende per la sua semplicità. E’ l’assalto di un uomo a una monarchia; il suo sciame vola intorno a lui, le donne gli gettano fiori, gli uomini si battono cantando, l’armata del re fugge. Tutta questa avventura è epica, è luminosa, formidabile e affascinante come un attacco di api.
Ammirate queste tappe radiose. E vi dico che non una di esse verrà meno nelle scadenze infallibili dell’avvenire. Dopo Marsala, Palermo; dopo Palermo, Messina; dopo Messina, Napoli; dopo Napoli, Roma; dopo Roma, Venezia; dopo Venezia tutto.
Signori, è da Dio che viene il terremoto di questa Sicilia al di sopra della quale ora si vede fiammeggiare il patriottismo, la fede, la libertà, l’onore, l’eroismo, e una rivoluzione da eclissare l’Etna!
Sì, doveva essere così, ed è magnifico che l’esempio venga dato al mondo dalla terra delle eruzioni. Oh, quando l’ora è giunta, com’è bello un popolo! Che cosa questo mirabile rumoreggiare, questo sollevarsi, questo oblio per gli interessi bassi e vili dell’uomo, queste donne che spingono alla battaglia i loro mariti e che combattono anch’esse, queste madri che gridano “Va!” ai loro figli, questa gioia di correre alle armi, di respirare e di essere, questo grido di tutti, questa immensa luce sull’orizzonte.
Non si pensa più ad arricchire, all’oro, al ventre, ai piaceri, alla bestialità dell’orgia, si prova vergogna e d orgoglio, ci si raddrizza, l’atteggiamento fiero delle teste provoca i tiranni, le barbarie se ne vanno, i dispotismi crollano, le coscienze rigettano la schiavitù, i partenoni scuotono coloro che stanno crescendo, la Minerva austera si leva nel sole, con la sua lancia in mano.
Le fosse si aprono: ci si chiama di tomba in tomba. Resuscitate! E’ più che la vita, l’apoteosi! Oh! E’ un battito divino di cuori, e gli antichi eroi vinti trovano pace, e gli occhi dei filosofi proscritti si riempiono di lacrime, quando chi era decaduto si rialza, quando gli splendori eclissati riappaiono affascinanti e terribili, quando Instanbul ritorna Bisanzio, quando Sitinia ritorna Atene, quando Roma ritorna Roma!
Tutti noi applaudiamo l’Italia. Glorifichiamola questa terra di grande progenie, Alma parens. E’ in simili nazioni che certi dogmi astratti appaiono reali e visibili; esse sono vergini nell’onore e madri nel progresso.
Voi che mi ascoltate, riuscite a vederla questa splendida visione? L’Italia libera! libera! libera dal golfo di Taranto alle lagune di San Marco, poiché, te lo giuro sulla tua tomba Manin, a Venezia vi sarà festa! Dite, riuscite a figurarvi questa visione, che domani sarà realtà. […]
Signori, se vogliamo renderci conto di quanto si prepara e si realizza, non dimentichiamo che Garibaldi, l’uomo di oggi, l’uomo di domani, è anche l’uomo di ieri. Prima di essere il soldato dell’unità italiana, è stato il combattente della repubblica romana, e, ai nostri occhi come a quelli di chiunque sappia comprendere i necessari meandri del progresso che corre verso il proprio scopo, e le metamorfosi dell’idea che si trasforma per riapparire, il 1860 continua il 1849.
I liberatori sono grandi. L’acclamazione riconoscente dei popoli li segua nelle loro fortune! Ieri erano le lacrime, oggi sono gli osanna: La Provvidenza opera questi ristabilimenti di equilibrio: John Brown soccombe in America, ma Garibaldi trionfa in Europa. L’umanità costernata dinanzi all’infame patibolo di Charlestowne, si rassicura davanti alla spada fiammeggiante di Calatafimi. […]
L'abolizionista John Brown
Guardate Napoli: la lotta è vana. Il passato agonizzante perde il suo tempo. Questi esseri chiamati Lanza, Landi, Aquila, sono dei fantasmi. In questo momento Francesco II forse crede di esistere, ma si sbaglia, io gli dico che non è che un’ombra. Avrebbe un bel rifiuto ogni capitolazione, assassinare Messina come ha assassinato Palermo, aggrapparsi all’atrocità: è finito. Ha regnato. I tristi cavalli dell’esilio battono con gli zoccoli alla porta del suo palazzo. Signori, non v’è che il diritto, vi dico. Volete paragonare il diritto alla forza? Giudicate da queste cifre. L’11 maggio, a Marsala, sbarcano 800 uomini. Venti giorni dopo, il 7 giugno, 18 mila uomini, terrorizzati, si imbarcano a Palermo. Gli ottocento uomini sono il diritto, i diciottomila la forza.
Oh si consolino ovunque coloro che soffrono , si rassicurino coloro che sono incatenati. Tutto ciò che accade in questo momento è logico.
Sì, ai quattro venti, speranza! Il mugik, il fellah, il proletario, il paria, il negro venduto, il bianco oppresso, tutti devono sperare. Le catene formano una rete, si tengono tutte insieme. Ma rottane una la maglia si disfa. Di qui la solidarietà dei dispotismi: il papa è più fratello del sultano di quanto lui stesso non creda. Ma, vi ripeto, è finita.
Che bella cosa è la forza delle cose! c’è nella liberazione qualche cosa di sovrumano. La libertà è un abisso divina che attira: l’irresistibile è al fondo delle rivoluzioni. Il progresso non è altro che un fenomeno di gravitazione: chi potrebbe ostacolarlo? Una volta dato l’impulso, comincia ciò che non è più controllabile.
Despoti, vi sfido a sfidare la pietra che cade, il torrente, la valanga, l’Italia, l’89, il mondo precipitato da Dio nella luce!

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