5.6.10

Di notte. Un racconto di Denise Levertov (1923 - 1997)

“Proposta” da un gruppo di donne variamente collegate alla sinistra e/o al femminismo (Boccia, Chiaromonte, Ciuffreda, Dominijanni, Forcella, Frabotta, Pitch e Rossanda) e da nessuna diretta, se non “pro forma” da Ida Dominijanni, la rivista “L’Orsa minore” durò meno di due anni, dal luglio 81 al marzo 83. Voleva costruire il luogo per un bilancio e un rilancio, per un approfondimento ed un confronto. Molti i temi: il lavoro, la psiche, il separatismo, l’identità di genere, le organizzazioni femminili e femministe, le donne nel mondo, etc.. Uno spazio molto ampio era riservato ai temi della scrittura e della letteratura femminile. Questo racconto, di una scrittrice, poetessa e militante angloamericana, apparso per la prima volta nel 1966 sulla Chicago Review, venne pubblicato sul numero 6 della rivista del maggio 1982, scelto e tradotto da Bianca Maria Frabotta. Il testo, venato da un’ironia sottile, mi è sembrato godibilissimo e, dopo tanto tempo, attuale. Sarei felice se il post ottenesse qualche commento femminile (S.L.L.).


La donna che si era coricata presto e da tempo giaceva semiaddormentata, ma non del tutto, giace immobile mentre suo marito apre silenziosamente la porta della camera da letto. Giace immobile perché si sente pesante e tarda sulla soglia del sonno. A lui dispiace molto che lei è così stanca: Ma qualche volta è stato rimproverato di non badare, in questi casi, a non svegliarla. anzi lei gli descrive perfino i suoi sforzi di non disturbarlo quando è lui a coricarsi presto. Così nella sua programmata discrezione si muove furtivo. Avanza così cautamente che neanche un asse scricchiola. Nemmeno il fruscio degli abiti che cadono a terra nel buio, dal momento che si è svestito in bagno come fa lei quando è lui a dormire. Nudo, si infila attento nel letto. Il suo corpo non la sfiora, ma lei ne sente la vicinanza. le piacerebbe abbracciarlo. Ora è completamente sveglia. Ma si vergogna di voltarsi dalla sua parte e dirgli che non dorme; si vergogna di frustrare il suo orgoglio di essere riuscito a non svegliarla. La cosa si è spinta troppo oltre. Deve rimanere immobile e far finta di dormire finché il respiro di lui non l’assicuri che si è addormentato. ma in quella posizione che prima era comoda il corpo comincia a dolerle. I pruriti dell’insonnia che partono da un punto qualsiasi del corpo, si estendono in qualunque direzione, a momenti ovunque, le cominciano ora sulla caviglia sinistra. Il respiro si fa irregolare: si chiede se lui se ne accorgerà e scoprirà che è sveglia. Prudentemente muove le gambe, come nel sonno, e si avvicina tanto da sfiorargli il ginocchio, la costola, la spalla. Lui resta perfettamente fermo: lei sente il suo respiro quieto e regolare, ma capisce che non dorme. Ora che la schiena e il fianco si incurvano nella curva del suo corpo, è un po’ meno tesa, il dolore si ferma, ma il prurito continua a vagare – guanci, dito, fianco. Fa appello alla sua forza e resta quieta. anche lui continua a respirare con regolarità, senza muoversi. Le era sembrato che il suo cuore si fosse messo a martellare, ma poi il tempo passa e se ne dimentica. I suoi pensieri non son più un solo pensiero: le si fondono insieme due pensieri: “non devo farmi scorgere di essere sveglia” e “però desidero abbracciarlo”. Poi mentre il corpo lentamente si rilassa la mente comincia a spaziare lontano. Alla fine, quasi senza accorgersene, come se si fosse veramente addormentata, cambia posizione così da essergli ancora più vicina, semigirata verso di lui, il braccio poggiato su di lui, la mano sul suo ventre soffice e piatto. Ma evidentemente è riuscita veramente a convincerlo – oh se il suo brusco respiro potesse farlo dubitare un attimo – che lei dorme davvero; così con la più grande attenzione gentilmente se ne libera e si gira sul fianco, lontano da lei. Lei spalanca gli occhi. E’ completamente buio. Intorno dalla città vengono ronzii meccanici, fruscii, ai quali sono abituati e di solito non li sentono neppure e si infilano negli angoli della stanza. Se lui si sta veramente per addormentare ormai dovrebbe dormire. senza muoversi cerca di sbirciare il suo orologio da polso luminoso: è distesa sul fianco sinistro, il braccio destro intorno alla vita di lui e il braccio sinistro sul cuscino dietro la testa. L’orologio è vecchio e pallido, ma sembra indicare:1,30.

Sa, crede di sapere,che lui non giace sveglio in quella piacevole deriva che porta al sonno, ma in un’intensa e infelice chiarezza, anzi non chiarezza, una confusione angosciosa che sembra chiara solo perché ogni elemento della confusione è sentito così intensamente. Lo sconcerto, cercare di capire, di agire, uscire dall’impasse: l’angoscia. Lei sa tutto ciò, lo ama, lei stessa prova tutto ciò. Deve dirgli subito che è sveglia, che lo ama, che sta dalla sua parte. Deve farlo parlare, fargli dire ciò che pensa. Pensa di sapere ciò che sta pensando, ma solo cavandogli fuori le parole potrà alleviare il suo peso. Ma, proprio in quel momento, l’uomo che crede sua moglie addormentata profondamente come un bimbo e lui solo è libero di sfogare l’angoscia, emette un profondo sospiro: un sospiro così intimo che lei perde coraggio: potrà parlargli senza invaderlo?

in una fabbrica vicina il suono delle macchine, come accade ogni venti minuti all’incirca si attenua subitaneo. Il suo corpo è freddo come spesso gli capita quando è infelice, anche se c’è la coperta elettrica e lei è leggermente sudata. si stringe a lui e lo abbraccia più forte. Lui resta zitto. Non vuole accettare che lei è sveglia. Lei no riesce a irrompere nella sua solitudine. Se la sua carne fosse più calda lo farebbe; ma il suo corpo freddo le toglie fiducia, fa apparire la sua idea di rivelarsi come un atto di volontà, non un impulso. I molti anni di matrimonio sembrano ormai annullati dall’angoscia, condivisa eppure non condivisa, i loro corpi così prossimi eppure inanimati l’uno per l’altro. Marito e moglie giacciono in un abisso di silenzio.

Infine nel silenzio del mondo esterno la macchina si rimette in moto con sforzo. E senza pensarci le sussurra: “Sei sveglio?”. “Pare di sì” lui risponde. E allora più forte , con una voce che non rivela nulla, lei dice che deve alzarsi a prendere un bicchiere di latte, dopo essere andata a letto così presto si è svegliata affamata. Ne vorrebbe uno anche lui? Scende dal letto, accende la luce del comodino. Tutti e due alla luce sbattono le palpebre, lui si alza a cercare un’aspirina, lei indossa la vestaglia e scende per il corridoio in cucina abbottonandosi la vestaglia. In cucina i gatti si stirano e si avvicinano al frigorifero come se fosse l’ora della colazione. Lei parla loro allegramente. Il sollievo di essere alzata, la tensione ormai sciolta, le fa dimenticare i suoi neri pensieri. Le viene in mente quando si alzava di notte a scaldare il poppatoio per la figlia bambina. La cupa fatica di quelle notti, il sonno interrotto, lo spavento di quel canto acuto, lo sbalordimento con cui in quei giorni in un luogo diverso da questo camminava inciampando verso la cucina. Riscalda il latte, lo versa nelle grosse tazze, le tiene tutte e due in una mano mentre spegne la luce, chiude la porte dietro ai gatti, ritorna giù attraversando il corridoio e passando davanti alla stanza della figlia, ora vuota tranne che durante le vacanze, entra nella camera da letto. Lui ha acceso la luce sopra il letto e legge. Lei gli passa la tazza di latte caldo, lui la prende, la ringrazia, si guardano liberamente, con calma, lui perfino sorride. Lei gli sorride a sua volta, si siede ai piedi del letto, bevono il loro latte. Prima di tornare a letto lei decide di andare al bagno. Si sciacqua la bocca con l’acqua per togliersi il sapore del latte. Quando ritorna, lui è di nuovo in piedi e si lava i denti al lavabo della camera da letto. Tutto questo andare e venire richiede tempo, continua a rompere la tensione del buio e del silenzio.

Togliendosi la vestaglia lei dà un’occhiata al lungo specchio. La sua immagine bianca e giovanile vi si riflette. Lui è già a letto: la guarda senza sorridere ma senza tensione. Lei si mette a letto. decidono di leggere un po’. Lei sente un grande interesse per il suo libro. Lui per il suo. tutta l’angoscia che provavano prima di accendere la luce sembra ora una cosa che non c’è più. Ma c’è. Non si sono detti nulla tranne banalità. C’è, non è andata via, le domande sono tutte lì, la pallida speranza, la sorda paura, sottilmente quietamente pulsano. Un attimo prima di spegnere la luce i loro occhi si incontrano per un istante. Lui solleva la mano per spegnere la luce, nel buio nuovo si adagiano uno più vicino all’altra, tra pochi minuti si addormenteranno.

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