13.6.10

Haiti. Il vudu.

Ho conservato da “Qui touring”, la rivista mensile del Touring club, un lungo articolo di Adriano Zecca su Haiti e il suo clima spirituale dal titolo Un insieme di credenze magico-religiose nei riti vudu di Haiti. Nelle pagine conservate (39-50) non trovo l’indicazione dell’anno e del numero: risale quasi certamente ai primi anni 80 del secolo scorso. Riprendo qui la parte specificamente dedicata al vudu.

Il vudu, quell’insieme di credenze e di riti di origine africana che, strettamente mescolato con pratiche cattoliche, costituisce la religione della maggioranza della popolazione, non ha niente a che vedere con il carattere allucinante e morboso che certa letteratura gli attribuisce. la sua origine è intimamente legata al processo di formazione etnica del popolo haitiano e ha inizio con l’arrivo dei primi contingenti di schiavi africani. La parola vudu, che originariamente nella religione dahomeyana significava “divinità, spirito”, è passata poi a designare tutto un insieme di credenze e pratiche magico-religiose del complesso pantheon haitiano. Il culto degli spiriti e degli dei, come il ricorso alla magia, fu per gli schiavi al tempo stesso un rifugio e una forma di resistenza contro l’oppressione. Per recuperare la loro libertà fuggivano verso le montagne (nascevano così i “cimarrones”, dalla parola creola “mornes” che significa monte), scappando dalle piantagioni, si rintanarono in inaccessibili regioni all’interno, dove ricostruirono la solidarietà etnica, ricrearono tradizioni ancestrali e ritrovarono un’unità spirituale per affrontare meglio i padroni bianchi.

E’ all’interno di queste comunità di resistenza che doveva sorgere la coscienza politica e culturale degli schiavi e che li lancerà nella lotta di liberazione contro la schiavitù.

L’haitiano concilia senza problemi la chiesa con il perystile, il luogo dove si svolgono le danze o le cerimonie vudu. Cristianizzati forzatamente, gli schiavi seppero utilizzare e reinterpretare tutti i riti cattolici all’interno della loro religione. Si servirono del cattolicesimo come maschera per consolidare le proprie pratiche e credenze. Le cerimonie vudu non sono, come generalmente si pensa, né segrete né tanto meno inaccessibili, se si escludono certi riti di iniziazione e i “servizi” improntati alla magia nera.

Il vudu è una religione danzata e la danza rappresenta il momento della venerazione degli spiriti. Il poetau-mitan, il palo centrale posto al centro del peristyle, è il perno attorno a cui i svolgono le danze rituali e il cammino attraverso il quale scendono gli spiriti invocati. E’ il centro di tutto. Rappresenta il legame che unisce, a livello cosmico, il centro della terra con il centro dell’universo. Quando il ritmo dei tamburi si fa più trascinante e le danze più frenetiche, i loa, cioè gli spiriti, possono dare luogo a quel fenomeno chiamato “possessione” attraverso il quale la divinità “cavalca il suo cavallo”. La personalità del fedele rimane così annullata completamente: il loa gli presta la sua voce, lo obbliga a determinati movimenti e atteggiamenti. In alcune cerimonie petro che si distinguono da quelle rada per essere più violente, si vedono addirittura delle persone camminare sulla brace accesa, mettere le mani sul fuoco o tizzoni ardenti in bocca.

La possessione inizia con un drammatico processo di trasformazione fisico-mentale. Quasi subito i fedeli perdono il controllo e, presi da convulsioni spasmodiche, vanno aventi e indietro, girando con frenesia, per poi arrestarsi di colpo, vacillare e cadere in uno stato di semisvenimento. I loa possono cavalcare qualunque persona, senza però che questo implichi necessariamente una comunicazione con le divinità. Se si desidera farsi ascoltare dai loa è necessario ricorrere alla scienza dei sacerdoti e delle sacerdotesse, chiamati rispettivamente hungan e mambo. A loro si fa ricorso per fronteggiare tutte le circostanze della vita: sono i depositari della “conoscenza”, che gli proviene dal contatto diretto con gli spiriti. Capi di una confraternita non devono rendere conto a nessuno e per i loro adepti sono al tempo stesso preti, guaritori, esorcisti, maghi, indovini; niente, nella comunità vuduista, si fa senza il loro consenso.

Ma, oltre alla vita, anche la morte preoccupa molto l’haitiano. Il peggio che gli può accadere è di essere trasformato in zombi, morto vivente. E’ credenza generalizzata che gli stregoni posseggano il segreto, attraverso procedimenti sconosciuti, di far rivivere i morti per poi convertirli in schiavi. Lo zombi vegeta in quella zona nebulosa che separa la vita dalla morte; si muove, mangia, parla, ma non ricorda né ha coscienza della sua situazione. In preda a una vera e propria ossessione, il povero contadino haitiano arriva fino al punto di spendere i suoi pochi risparmi per pagare i “servizi” agli hungan, nella speranza di evitare al suo familiare morto una sorte tanto terribile.

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