17.6.10

Le guerre del Risorgimento. Un Salvemini bellicista (1915)

Nel 1915, “l’Unità”, il settimanale di Salvemini convertitosi all’interventismo (democratico), cominciò ad usare contro neutralisti e pacifisti lo stesso truculento linguaggio che usavano i lacerbiani (“La guerra è guerra per tutti” – disse la vecchietta mentre i soldati violentavano la figlia e la nipote).

Il bersaglio prediletto era quel neutralista di Giolitti. Un tempo Salvemini lo aveva denominato “ministro della malavita”; ora è diventato “il boss d’Italia”. Ma neanche i socialisti si sottraggono ad una polemica assai greve, specie nelle giornate del “radiosomaggismo”. Il 28 maggio Salvemini si arruola e “l’Unità” in due distinti articoli, entrambi redazionali, canta vittoria e annuncia la sospensione delle pubblicazioni. Il primo s’intitola Il nostro dovere. Così recita: “Abbiamo voluto la guerra: l’abbiamo imposta. […] siamo insorti, nelle città, noi, le classi cioè che si sogliono chiamare colte, intellettuali, quelle che, per abitudine, si dicono dirigenti. Così abbiamo imposto la guerra. […] Gli studenti di Torino, di Milano, di Genova, han chiesto di esser spogliati d’ogni privilegio: han domandato di arruolarsi […] noi intellettuali, “signori”, “galantuomini” – chiamateci come vi pare-, come siamo stati i primi a scender in piazza, a reclamare, a imporre la guerra, così non dobbiamo rimanere indietro a nessuno in questa gara di sacrificio…”. Il secondo Oportet studuisse è più esplicito: “Non possiamo continuare a pesare il pro e il contro, a criticare, a polemizzare, a fare opera di cultura a lunga scadenza, mentre tutte le forze della patria devono essere concentrate a un solo fine immediato: agire, vincere. Quelli fra noi, che avranno di tanto in tanto qualcosa da dire lo diranno sulla “Voce politica” di Prezzolini…”.

Salvemini con Prezzolini aveva rotto pochi anni prima, in dissenso, tra l’altro, sulla guerra di Libia; aveva scritto sulla “Voce”: “La Libia è uno scatolone di sabbia”. Ora l’interventismo li aveva riavvicinati. E mentre “l’Unità”, temporaneamente, chiudeva, tutto il gruppo radical-liberista degli “unitari”, capeggiati da De Viti De Marco, dava una mano a Prezzolini nel produrre il supplemento politico de “La Voce”, nel frattempo diventata una rivista esclusivamente letteraria.

Salvemini andò ad addestrarsi ad Arezzo, poi lo mandarono sul Carso, dove si ammalò. Ad ottobre la sua partecipazione alla guerra era finita. L’esperienza della “Voce politica” non durò molto: finì il 31 dicembre. Salvemini vi pubblicò due o tre cosette. Pessime. Quella che riporto qui sotto, pubblicata il 7 luglio e firmata g.s. è degna del peggiore Mussolini. “La guerra è guerra per tutti” e l’ideologia della guerra distrugge anche i cervelli migliori (S.L.L.).

Le guerre del Risorgimento

La presente guerra avrà tre gli altri vantaggi, quello di guarirci dalla retorica [censura].

La battaglia di Custoza del 1848 ebbe 270 morti e 497 feriti.

A Curtatone si ebbero 166 morti e 508 feriti.

A Novara, nel 1849, 578 morti e 1405 feriti.

Nella difesa di Venezia 310 morti e 688 feriti.

La troppo famosa battaglia della Cernaia ebbe 14 (diconsi quattordici) morti e 202 feriti.

A San Martino avemmo 761 morti e 3661 feriti.

A Varese 22 morti e 61 feriti.

La battaglia di Calatafimi ebbe 30 morti.

Dei Mille, ne morirono in tutta l’impresa tra Calatafimi e il Volturno, 68.

La battaglia del Volturno costò 506 morti e 2697 feriti.

Castelfidardo ebbe 61 morti e 140 feriti.

Bezzecca, 121 morti, 266 feriti.

Custoza (1866), 736 morti e 3189 feriti.

Lissa, 620 morti, 40 feriti.

Mentana, 150 morti e 206 feriti.

Le guerre d’indipendenza, fra il 1848 e il 1870, hanno avuto in tutto, 6262 morti e 19981 feriti.

La sola battaglia di Gravelotte costò alla Germania, nel 1870, 9 mila morti e 18 mila feriti.

L’intero Risorgimento italiano è costato ai nostri padri una miseria, quello che costa oggi una battaglia di mediocre importanza. Il Risorgimento italiano è stato un terno al lotto, guadagnato con molta fortuna.

La sua prima vera grande prova [censura] – la nazionalità italiana la sta dando nella guerra attuale.

Qui comincia la sua nuova storia.

g.s.

Da “La Voce politica”, anno VII, n.5, 7 luglio 1915

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