21.3.18

Carlo Cattaneo. Un lombardo sfortunato (Nicola Tranfaglia)


Il convegno scientifico che si chiude oggi a Milano nei locali dell'Umanitaria su Carlo Cattaneo e il Politecnico. Scienza, Cultura, Modernità merita attenzione e qualche riflessione; non soltanto perché ha ospitato relazioni di studiosi attenti e significativi del grande lombardo (da Piero Treves a Ettore Rotelli, da Giuseppe Armani a Luigi Ambrosoli, da Luciano Cafagna a Carlo Tullio Altan e a Giorgio Cosmacini, per citarne alcuni) ma anche perché ne trae le conclusioni Norberto Bobbio, che al creatore del Politecnico ha dedicato uno studio durato mezzo secolo e costante nel tempo. Per di più, il seminario ha analizzato in particolare il lavoro svolto da Cattaneo negli anni in cui pubblica la rivista presa a modello nel dopoguerra da Elio Vittorini e in cui chiarisce assai bene il suo metodo e la sua concezione del mondo. Qualche mese fa, infatti, l'editore Bollati Boringhieri ha ripubblicato integralmente Il Politecnico, 1839-1844 con un ampio saggio introduttivo di Luigi Ambrosoli, e si è ripetuta ancora una volta una storia consueta nel nostro paese: grandi lodi per il lombardo, ma scarsa attenzione da parte della stampa quotidiana e settimanale e, nella sostanza, vera e propria indifferenza per i bellissimi volumi della casa editrice torinese. Una prova ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, di quello che Bobbio diceva già ventun anni fa pubblicando in Una filosofia militante (Einaudi) i suoi saggi su Cattaneo e sulla sua sfortuna in Italia. Di fronte a quest'ennesima prova della scarsa compatibilità tra la cultura italiana contemporanea (o almeno tra le sue correnti prevalenti) e il filosofo milanese, gli interrogativi che vengono spontanei sono almeno due; e si sono riproposti più volte in questi anni senza che le risposte siano mai risultate del tutto persuasive. La prima domanda è ovvia: perché questa incompatibilità che dura da più di un secolo pur con il passaggio delle ideologie e delle mode che di volta in volta caratterizzano e affliggono i nostri intellettuali? Rispondendo a una domanda dell'“Espresso” l'8 agosto 1982, proprio Bobbio diceva che la responsabilità della sfortuna di Cattaneo è stata di tanti e in particolare dell'idealismo astratto e metafisico prima, e in seguito del marxismo, che lo trattò, a torto, come l'ideologo della borghesia. Niente da dire sulla diagnosi di Bobbio, che condivido; ma quel che non è chiaro è perché quella sfortuna sia proseguita anche in questi ultimi anni, dopo che l' idealismo e il marxismo sono entrati in una crisi profonda, si è affermata una tendenza neopositivista e sono stati riscoperti autori che hanno da dire assai meno di Cattaneo a tutti noi. La seconda domanda che si porrà il lettore riguarda l'attualità o meno di un autore che qualche volta i giovani incontrano a scuola o all'università, ma che di rado nel dibattito culturale corrente viene richiamato o indagato, almeno sui grandi mezzi di comunicazione (non penso solo a quotidiani e settimanali, ma anche alla radio e alla televisione). Anche qui le risposte non mi hanno mai convinto: non è vero, infatti, come hanno scritto molti che non lo conoscono, che la sua vita fu piena di studi e povera di avvenimenti o di ideali. Né è vero che i metodi che egli usò nell'indagine scientifica e nelle sue pubblicazioni siano superati e poco interessanti. Al contrario, a me pare che da Cattaneo gli italiani abbiano molto da imparare, e che ancora una volta Bobbio abbia colto nel segno nella sua tenace e subalpina insistenza. Vorrei spiegare brevemente perché, nonostante gli evidenti limiti di spazio, e magari di pazienza del lettore. Procederò per punti, riferendomi in particolare ai volumi del Politecnico appena ripubblicati, che contengono in abbondanza esempi del modo di scrivere e di ragionare del lombardo.
Primo punto, forse il più importante. Cattaneo è un autore che rifugge dall'astrattezza e dall'accademia, due mali ancora tenacemente diffusi nella nostra cultura. La rivista che diresse negli anni Quaranta dell'Ottocento è piena di esempi di questo genere: Cattaneo prende a pretesto sempre episodi o personaggi precisi, magari poco importanti, per analizzare, chiarire, approfondire problemi generali che altrimenti sarebbero ostici per i suoi lettori. Voglio dire che parte dalle notizie, come fanno i giornalisti che conoscono il loro mestiere. Volete un suggerimento? Ebbene, andate a leggere un articolo dall'apparenza dimessa come la Notizia economica sulla provincia di Lodi e di Crema e vi troverete un modello di analisi interdisciplinare che interessa nello stesso tempo chi vuol capire la storia della Lombardia e chi è appassionato al carattere dei lombardi o ai loro costumi. E così via dicendo.
Secondo punto, non meno importante. Cattaneo crede al progresso e alla scienza. Qualcuno gli ha rimproverato di non essersi reso conto del fatto, sperimentato da noi uomini del tardo Novecento, che il progresso scientifico e tecnico spesso non va di pari passo con quello morale, come dimostra il caso per fare un esempio di quel che avvenne nella Germania di Hitler. Ma si tratta, senza alcun dubbio, di una critica anacronistica, giacché Cattaneo, al pari dei suoi contemporanei, non ebbe modo di osservare le contraddizioni della società industriale. Resta il fatto, tuttavia, che egli intuì con grande chiarezza che sempre più si imponeva la prospettiva di una società aperta, pluralistica, in due parole democratica. E in questo mostrò di essere uno degli scrittori più avanzati e consentanei alle tendenze del futuro, anche di quello più lontano.
Terzo ed ultimo punto. Lo stile di Cattaneo è l'esplicitazione più chiara e conseguente della sua concezione del mondo e del suo metodo scientifico e culturale. Cattaneo odia le perifrasi, gli incisi lunghi, i discorsi indiretti. La sua prosa, a distanza di quasi un secolo e mezzo (pur con tutti gli inevitabili arcaismi di uno scrittore che si era formato nei primi vent'anni del diciannovesimo secolo), regge alla prova: è una lettura che consiglierei senza esitazione a uno studente di Lettere che si prepari alla tesi di laurea e non sappia come scriverla. Se infatti legge con attenzione gli articoli e le notizie del Politecnico, quello studente potrà impararvi la sobrietà necessaria per arrivare rapidamente al punto, la limpidezza del pensiero che non ama i fronzoli e fa seguire concetto a concetto verso la conclusione del discorso, la competenza tecnica adatta a parlare di economia, di filosofia, di storia, di geografia senza far sentire al lettore che si passa da una disciplina all'altra, da un ramo del sapere all'altro. E questo perché Cattaneo, a differenza degli uomini del Novecento, ma anche di molti del suo secolo, sa che il sapere è unico e siamo noi, per ragioni che all'inizio erano didattiche e poi sono diventate accademiche, a sminuzzarlo il più possibile.
A questo punto, però, devo tornare alle domande iniziali e offrire un mio modesto tentativo di spiegazione al perché Cattaneo continui ad avere sfortuna in Italia e al perché non lo si consideri attuale. È mia convinzione, ormai, che non siano stati tanto l'idealismo e il marxismo a impedire che Cattaneo diventasse un autore non solo stimato, ma studiato e conosciuto a fondo. Ho l'impressione (potrei sbagliare, s'intende), che esista una ideologia italiana che si sovrappone o sottostà alle varie ideologie che si succedono e che è davvero incompatibile con il pensiero del grande lombardo. E non sto a descriverla perché chi mi ha seguito finora non può non aver capito che l'ideologia italiana è fatta principalmente delle cose che in Cattaneo non si trovano: di una grande retorica e di una grandissima spocchia, per incominciare. Quanto al non ritenerlo attuale, l'idea nasce, a mio avviso, dal fatto che si mette l'accento sui contenuti contingenti piuttosto che sul metodo o sullo stile: che invece a me sembrano gli aspetti più importanti dell'opera cattaneana, a centocinquant'anni dalla sua pubblicazione.
Che aggiungere a queste sparse considerazioni? Nient'altro, salvo la convinzione che, anche dopo l'importante convegno di Milano, la sfortuna di Cattaneo continuerà senza interruzioni. Sono troppo pessimista? Spero proprio di sì.

“la Repubblica”, 25 novembre 1989

1 commento:

Unknown ha detto...

Cuneo, 8 giugno 2018
Per farsi un'idea della refrattarietà delle masse - organizzate in quanto tali da religioni e scuole politiche, economiche filosofico-istituzionali - basta leggere l'epigrafe citata da Mario Albertini al suo sito MFE "The Federalist":
"Sperare in una permanenza di armonia tra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andar contro l'esperienza accumulata dal tempo."
Hamilton, The Federalist"
Bene: Carlo Cattaneo pretendeva di sperarci, era la sua "religione civile".
Contro Hamilton e i suoi pseudo-federalisti europei è la nostra sfida!
Francesco Inrozzi
f.introzzi@alice.it

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