27.3.18

Primo Novecento: sport e socialismo. Atleti di tutto il mondo unitevi (Pasquale Coccia)

La dirigente del partito socialista olandese Henriette Roland Holst

L'internazionale sportiva futura umanità. Nell'Europa di inizio Novecento lo sport era diventato terreno di conquista delle giovani generazioni, affascinate dalla nuova e dirompente attività del loisir. Al congresso dell'Internazionale socialista svoltosi nel 1900 a Parigi, fu Karl Kautsky a parlare di una necessità di «rigenerazione fisica» del proletariato. Lo sport viene individuato come occasione per diffondere i valori dell'antimilitarismo e del pacifismo in risposta alle società ginnastiche borghesi, che ispiravano i giovani ai principi del nazionalismo e del militarismo. Le direttive dell'Internazionale sono chiare: fondare associazioni sportive autonome e invitare i militanti socialisti a uscire dalle società sportive borghesi. In Germania nasce la Arbeiterturnerbund, la più grande associazione sportiva europea, forte di una iniziale iscrizione di 4mila aderenti, raggiunge in poco tempo oltre 300mila iscritti, tanto che il suo organo d'informazione “Arbeiter Tunzeitung” raggiunse la vendita di 119mila copie, a Lipsia il quindicinale “Jungen und Sport” vende 15mila copie e a Magdeburgo “Die Athletik” circa 10mila. La Germania non fu un caso isolato, tra il 1907 e il 1909 il partito operaio cecoslovacco passa da 175 a 372 società sportive e il giornale associativo da 4.419 abbonati a 19mila, risultato di quel lontano 22 agosto del 1897 quando fu costituito il movimento sportivo operaio cecoslovacco. In Austria e in Svizzera furono costituiti gruppi di ciclisti socialisti, come pure in Bulgaria e in Finlandia. A Londra sorge il club ciclistico Clarion, i cui iscritti si mobilitavano in occasione di campagne elettorali del partito laburista. Il modello del Clarion anticipò un terreno di conquista sul fronte del tempo libero da parte del movimento operaio europeo: l'uso della bicicletta. Il velocipede allontanava gli operai dalla fabbrica per aprire nuovi orizzonti verso il progresso e il futuro, la sua appropriazione rappresentò un mezzo di emancipazione che a lungo era stato privilegio esclusivo della borghesia e dell'aristocrazia.
Dove il movimento operaio aveva conquistato diritti come in Germania, Austria, Svizzera e Belgio, era riuscito a imporre un modello di sport che rientrava nelle rivendicazioni del movimento operaio, mentre nei paesi dove la rappresentanza socialista in parlamento non aveva sortito effetti sulle condizioni di vita operaie, lo sport era osteggiato perché considerato espressione delle classi agiate.
In Francia solo nel 1908 si costituisce la Federazione sportiva atletica socialista, il cui segretario Henry Kleynhoff tenne un rubrica su “L'Humanité” fino al 1910, quando dette vita al periodico “Sport et Socialism”, che aggiornava i lettori sull'esito del primo campionato di calcio socialista promosso dalla Federazione, forte della partecipazione di 65 squadre. Tutto si deve alla olandese Henriette Roland Holst, dirigente del partito socialista del suo paese, che alla prima conferenza internazionale della gioventù socialista dichiarò: «La felicità che ci procurano il movimento e il gioco all'aria aperta possono diventare, accanto all'entusiasmo morale una radice di sensibilità estetica del proletariato». La risoluzione della Holst, approvata all'unanimità, fu riproposta due anni dopo alla seconda conferenza internazionale di Copenaghen. In occasione di manifestazioni sportive operaie e di reciproci inviti, le organizzazioni sportive operaie tedesche, francesi e belghe, maturarono l'idea di dar vita a un organismo sportivo internazionale e nel 1913 a Gand in Belgio dettero vita all'Associazione socialista internazionale di educazione fisica (Asiep). Il belga Bridoux, dirigente del movimento sportivo socialista del suo paese, salutava la costituzione del nuovo organismo come «l'inizio di una età nuova di forza, di grazia, di virilità della gioventù». Molti interventi denunciarono la sostanziale indifferenza degli operai verso lo sport, altri di un'aperta ostilità, un delegato belga disse: «Durante lo sciopero generale avevamo allestito alcuni spazi per i giochi, ma ci accorgemmo che gli operai non sapevano giocare. Gli operai restano indifferenti verso lo sport e l'educazione fisica».
All'assise di Gand, il dibattito tra le organizzazioni sportive operaie si infervora e ruota intorno a un dilemma: dar vita solo a società di ginnastica o promuovere anche associazioni sportive che comprendono più sport? Alimentare i giochi sportivi di squadra inglesi di vittoriana impostazione o convergere sulla sana e ormai rodata ginnastica? La pratica della ginnastica nelle organizzazioni sportive operaie era prevalente, quasi esclusiva nei circoli socialisti di educazione fisica della Germania del Belgio e della Boemia.
L'intervento dell'operaio sportivo Papin spacca il congresso: «Dove si riscontra iniziativa individuale e disciplina collettiva, in una gara di corsa, di nuoto o in bicicletta, oppure in una squadra dove un componente deve sacrificarsi per il bene della collettività? Solo attraverso tutte le moderne pratiche sportive di squadra voi avrete un essere umano sano e solido, pronto alla lotta per l'emancipazione integrale della classe operaia». La questione sollevata costrinse i delegati europei convenuti a Gand a rinviare la soluzione al congresso dell'Internazionale sportiva di Francoforte nel 1914, che avrebbe definito gli aspetti organizzativi delle prime Olimpiadi operaie da tenersi a Herstal, in Belgio, se non fosse scoppiata la prima guerra mondiale.

Alias il manifesto, 31 agosto 2013

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