27.3.18

La grande boxe. Lezione di civiltà da Ray Sugar Robinson (Beniamino Placido)


La più bella trasmissione dell'ultimo week-end? Per me, non ci sono dubbi: La grande boxe di Canale 5, dove Rino Tommasi ha commemorato degnamente, sabato sera, la figura e l' arte del grande, grandissimo Ray Sugar Robinson. Rino Tommasi ha fatto vedere e capire molte immagini, poche parole appropriate perché consideriamo questo valoroso, elegantissimo negro morto tristemente pochi giorni fa il più grande pugile di tutti i tempi. Dall'esordio a vent' anni, nel 1940. Lo stesso anno in cui Chaplin fa Il Dittatore (che RaiTre ha opportunamente riproposto, domenica sera, nel centenario della nascita di Charlot). E sono due gesti di libertà diversi, diversamente efficaci.
Con Il Dittatore, Charlot annuncia che i piccoli omini di tutto il mondo sanno mancare di rispetto agli omoni che fanno la voce grossa. Con il pugilato, e con il jazz, i negri d'America hanno saputo imporre un certo rispetto (non quanto basta: un certo rispetto) anche ai bianchi più riottosi. Non siamo degli esseri inferiori. Sappiamo suonare, e ballare e boxare come voi. Meglio di voi.
Ray Sugar Robinson è stato un grande pugile, ma anche un buon cantante; ma anche un eccellente ballerino. Ritiratosi una prima volta, nel 1952, dopo il fallito tentativo di conquistare anche il titolo dei mediomassimi, per due anni e mezzo andò in giro per il mondo: suonando danzando e cantando. Tornò sul ring per restarci fino al 1965, affrontando delle vere e proprie rocce: Carl Bobo Olson, Gene Fullmer, Carmen Basilio. Sgretolandole una alla volta, mandandole in pezzi. Non con la forza soltanto. La forza non serve a molto nel pugilato. Con la mobilità, la coordinazione, la leggerezza di piede, la prontezza di riflessi. Con l'intelligenza: che nel pugilato serve moltissimo.
Il pugilato è uno sport bellissimo. È certamente violento; ma serve anche ad estrovertere, a sublimare la violenza selvaggia. Quella che è esplosa a Sheffield in Inghilterra sabato pomeriggio. E che ha scoppiettato nei nostri stadi anche domenica. Alla fine di ogni incontro, i due pugili si abbracciano: ed è un abbraccio vero, sincero, anche se si sono odiati e magari massacrati per quindici riprese sul ring. Si abbracciano convinti perché sanno di aver partecipato ad un rito più grande di loro. Hanno espresso e al tempo stesso esorcizzato la violenza che avevano dentro (che abbiamo dentro) imbrigliandola dentro regole severe. Ed umane.
Mi dispiace che la televisione di stato non abbia saputo far nulla di significativo in questa circostanza. Lasciando a Canale 5 ed a Rino Tommasi (bravissimo, come sempre) l'onere e l'onore di ricostruire un tratto significativo della nostra civiltà: sportiva e non. So bene che chiediamo troppe cose alla nostra Rai-Tv. Le chiediamo sempre tutto. Qualche volta troppo. Ma questa volta mi permetto di insistere. So di chiedere cose che la Rai-Tv ha dimostrato di saper fare. Lo dimostra anzi ogni giorno. Per esempio, con Zuppa e noccioline. L' intelligente trasmissione che ogni pomeriggio alle 18,05 (RaiUno) ci accompagna in un viaggio attraverso l' America con il cinema dei grandi comici. È lì che abbiamo visto nei giorni passati i pugni scherzosi, semiseri di Charlot a riscontro dei pugni seri, degli avvenimenti seri e tragici della storia americana recente. Sarebbe piaciuto a me (non a me soltanto) che la nostra Rai-Tv ci avesse presentato utilizzando i suoi ricchissimi archivi la bellissima storia di Ray Sugar Robinson facendola entrare in combinazione, in comunicazione con i fatti della storia politica, sociale, letteraria americana. Anche letteraria: perché no? C' è stato un giorno in cui Ernest Hemingway ha tentato di imprigionare il coraggio e lo stile in una formula. La formula è felice: Grace under pressure. La capacità di conservare una dignitosa leggerezza, una consapevolezza, una grazia, anche sotto la pressione dell'attacco dell'avversario; o del destino avverso.
Ray Sugar Robinson contro Jack La Motta
Sabato sera ne La Grande Boxe di Rino Tommasi, abbiamo visto questa formula hemingwayana in azione. È stato durante il sesto ed ultimo incontro di Robinson con Jack La Motta. Chicago, 14 febbraio 1951. L' indomito Toro scatenato mette Robinson alle corde e lo bombarda selvaggiamente. È la pressione. Robinson reagisce come può. Poi d'improvviso esce dall'assedio ed ecco che sgancia (si dice in gergo) uno due tre colpi: con lo stesso pugno, con lo stesso braccio, dalla stessa spalla. È la grazia. Che non viene dal cielo. Robinson si era preparato a quell'incontro correndo all'indietro (all'indietro) per miglia e miglia. Per essere pronto ad arretrare sempre, quando necessario, ma senza disperare. Ed a scattare, non appena possibile, di nuovo all'attacco. A Rino Tommasi: grazie.

“la Repubblica”, 18 aprile 1989

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