23.3.18

26 luglio 1943. Il grande spogliarello politico (Fruttero & Gramellini)


L'uomo al balcone è a tavola con la moglie, ma non tocca cibo. «Li hai almeno fatti arrestare tutti?» chiede donna rachele. No, non l’ha fatto. È sicuro che Grandi e gli altri gerarchi che la notte prima lo hanno messo in minoranza nel Gran Consiglio del fascismo si pentiranno dell’errore. «Vado a Villa Savoia. Il Re mi vuole vedere.» «Prima falli arrestare tutti», insiste lei, invano.
Alle cinque della sera del 26 luglio 1943 l’Alfa del dittatore attraversa una Roma intontita dall’afa e dallo choc per le bombe americane dei giorni precedenti. Intanto a Villa Savoia si danno gli ultimi ritocchi al colpo di Stato. Esercito, carabinieri e polizia sono in mani fidate. E il successore designato Badoglio ha già controfirmato la lettera di licenziamento del Duce. I fascisti dissidenti si illudono ancora che Vittorio Emanuele affidi il governo a loro. Hanno votato contro il capo per prenderne il posto, senza rendersi conto che con lui stavano seppellendo il regime. Mussolini, l’uomo più sospettoso del mondo, non sospetta alcunché. Il Re lo saluta con faccia di circostanza: «Caro Duce, l’Italia va in tocchi...La guerra è perduta e il voto del Gran Consiglio tremendo.» «Possiamo ancora farcela.» «Gli alpini non vogliono più battersi per voi.» «Si batteranno per voi, Maestà.» «Le mie decisioni sono state già prese. Il nuovo capo del governo è il maresciallo Badoglio.» «Ma io resto il capo del fascismo!»urla un Mussolini invecchiato di colpo.
Il Re cerca di calmarlo e lo accompagna verso l’uscita con piccole spinte. Mussolini muove qualche passo in giardino, dove un ufficiale dei carabinieri lo prega di seguirlo «per la sua incolumità». Lo fanno salire su un’ambulanza lercia che parte sgommando. L’ex dittatore si spaventa: «Qui andiamo a sbattere contro un muro!». È convinto che alla notizia del suo arresto l’Italia fascista insorgerà. Invece si assiste al più colossale spogliarello politico della storia: tutti i funzionari dello Stato, persino i fascistissimi della Milizia, buttano la camicia nera e ne indossano un’altra immacolata, professando fedeltà al Re. I dissidenti del Gran Consiglio scappano per paura di essere arrestati: non più da Mussolini, adesso, ma da Badoglio. «È fatta», sussurra Vittorio Emanuele all’orecchio della regina Elena, l’unica in questa storia a conservare un po’ di dignità. «Far arrestare il primo ministro in casa propria non è un gesto da sovrano.» Il marito cerca di prenderla sotto braccio, ma la figlia del pastore montenegrino si ritrae e corre a chiudersi in camera, non prima di avergli urlato: «Mio padre non lo avrebbe mai fatto!»

Della serie Storia d'Italia in 150 date, La Stampa, 19 agosto 2010

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