5.2.13

La rivincita degli alberi millenari (di Daniele Balicco)


Un olmo plurisecolare a Pievepelago (Modena)
Elzéard Bouffier non è mai esistito. Eppure, dopo la pubblicazione del breve racconto L’uomo che piantava gli alberi (Salani editore, 2010), per anni, moltissimi lettori scrissero a Jean Giono, che ne era l’autore, chiedendone impazientemente notizie. È realmente vissuto? Esiste davvero, nel Sud della Francia, quella sterminata foresta di querce e faggi da lui creata semplicemente piantando ogni giorno 100 alberi, per oltre trent’anni?
Nel racconto di Giono, Elzéard Bouffier è un pastore francese che, ormai cinquantenne, dopo aver perso moglie e unico figlio, decide di ritirarsi sulle montagne intorno a Vaucluse. Il narratore lo incontra una sera, per caso. Ha bisogno di riparo per la notte perché si è inoltrato in un impervio sentiero di montagna e il villaggio più vicino è ormai irraggiungibile. Ormai è sera, ma per fortuna gli viene incontro Elzéard Bouffier che gli offre da bere, un pasto e un riparo dove dormire.
Dopo cena, il pastore prende un mucchio di ghiande e le mette sul tavolo. Meticolosamente inizia a controllarle, una a una. Scarta quelle marce, quelle sane le dispone sul tavolo in dieci file da dieci. Quindi le chiude in un fagotto di tela. L’indomani il giovane, stregato da quell’uomo solitario e dal suo misterioso rituale, lo saluta, ma poi decide di seguirlo, fin quando non scopre il suo segreto. Ogni giorno Elzéard, dopo aver portato il gregge al pascolo, se ne allontana per piantare le ghiande che ha selezionato la sera prima. In tre anni, da solo, è riuscito così a coltivare più di 100.000 querce.
Arriverà la Prima Guerra Mondiale, poi la Seconda. Ma quell’uomo solitario, al riparo dai disastri della Storia, continuerà imperturbabile a piantare alberi. Ogni anno il giovane torna a trovarlo e ogni anno l’estensione del bosco aumenta, fino ad assumere dimensioni vertiginose: «se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall’anima di quell’uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre che alla distruzione».
José Saramago lesse L’uomo che piantava gli alberi nel 2007. Così annota nel suo Ultimo Quaderno (Feltrinelli, 2010): Elzéard Bouffier «ha piantato migliaia di alberi sulle Alpi francesi, migliaia di alberi che successivamente, per azione della natura stessa così assistita, si sono moltiplicati in milioni, con gli alberi sono tornati gli uccelli, sono tornati gli animali dei boschi, è tornata l’acqua, proprio lì dove non c’era stato altro che aridità. Siamo davvero in attesa che arrivino un bel po’ di Elzéard Bouffier reali. Prima che per il mondo sia troppo tardi».
A questo punto, non mi resta che dare una buona notizia e un’indicazione bibliografica. La prima. Elzéard Bouffier esiste e si chiama Felix Finkbeiner; è un tredicenne tedesco che ha già piantato, da
solo, in quattro anni, più di un milione di alberi; la sua associazione, ormai diffusa in mezzo mondo,
ha un nome inequivocabile: stop talking, start planting. L’obiettivo è quello di piantare un triliardo di alberi in un decennio. Ricevuto l’anno scorso all’assemblea dell’Onu, Finkbeiner ha detto: «Io non mi fido di voi adulti. Parlate e non fate nulla. Non c’è più tempo, svegliatevi».
Il castagno dei cento cavalli, Sant'Alfio (Catania)
Per quanto riguarda invece l’indicazione bibliografica vorrei segnalare, sullo stesso tema, l’uscita di un libro importante: Alberi Sacri. Alberi secolari in Italia (Edizioni La Pica, 2011). Il volume, curato da Mario Pianesi e dall’Associazione Patriarchi della Natura in Italia, non presenta semplicemente una scelta di documenti e di fotografie tratti dall’archivio dell’associazione che censisce, ormai da anni, gli alberi più antichi del nostro Paese. Andrebbe letto piuttosto come un atlante geografico della memoria naturale e come un vero e proprio atto di devozione alla vita che queste piante millenarie proteggono, per tutti.
Il volume è diviso in tre sezioni. Le prime due presentano i patriarchi arborei, mentre l’ultima è un’anagrafe degli alberi più importanti, suddivisi per ogni provincia d’Italia. Nella prima sezione, vengono presentati, uno a uno, quei 23 patriarchi che superano i mille anni di vita. Cinque si trovano in Sardegna, quattro in Sicilia; gli altri sono disseminati qua e là lungo tutto il territorio nazionale. Il più antico albero italiano si chiama S’Ozzastru ed è un maestoso olivo di quasi 4000 anni: si trova nella provincia di Oristano, nel comune di Luras. Il più antico castagno del mondo, invece, supera i 3000 anni di vita. Sta abbarbicato alle pendici dell’Etna, a Sant’Alfio, in provincia di Catania. Sotto la sua chioma infinita pare che la Regina Giovanna d’Aragona si riparò, sorpresa da un subitaneo temporale estivo, con tutta la sua corte di cento cavalieri. Di qui il nome: il Castagno dei cento cavalli. Se ci spostiamo a Magliano, in provincia di Grosseto, troviamo l’Olivo della Strega, un albero imponente che supera i 3000 anni di vita: storie e leggende popolari lo ritengono magico perché capace di far crescere, senza che nessuno le coltivi, piantine di fagioli sotto la sua chioma. Di notte, oltre a tutto, pare ci abiti, da sempre, una strega.
Se quest’olivo è stato piantato in età etrusca, l’olivo di Cicciano, in provincia di Napoli, che supera i 1600 anni di vita, fu invece coltivato da dei Crociati che, tornando da Gerusalemme, portarono con sé delle sementi prese direttamente dal giardino del Getzsemani. Nella seconda sezione del volume vengono descritti gli alberi più importanti, questa volta divisi regione per regione. Fra questi troviamo anche alberi illustri, come il famoso cipresso di Michelangelo, da lui stesso piantato a Roma, nelle Terme di Diocleziano. Ancora oggi visibile, il suo profilo s’innalza solitario sopra il cortile interno delle Terme. Gli alberi antichi, come per magia, ci mettono fisicamente in contatto con la storia di chi ci ha preceduto. Ma proteggono anche il nostro futuro. Come ci ricorda il volume, è proprio con il gimnosperma di questi alberi fortissimi, capaci di lottare contro il tempo, che bisognerà ricostruire, come già sta facendo Felix Finkbeiner, le foreste di domani.

alias 8 ottobre 2011

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