27.7.10

Chi l'ha detto? (di Roberta Carlini - per "Rocca" di Assisi)

"La democrazia dei contemporanei è diversa da quella “classica”, e questa a sua volta era diversa dalla democrazia della agorà”.

“La scienza muta l’esistenza”.

“Se cambia la geografia, la politica non può restare uguale”.

“La crisi postula la salita, e non la discesa nella scala dell’etica, e se vuole anche dell’estetica”.

“Ci può essere reato senza peccato, come ci può essere peccato senza reato”.

“Qui vale la dialettica tesi, antitesi, sintesi”.

Chi l’ha detto? Frasi a caso dalle tracce della maturità, citazioni da bignamini a buon mercato, gioco di società sotto l’ombrellone? No, le frasi appena citate sono contenute in una lunga intervista che il nostro ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha dato a uno dei più importanti quotidiani nazionali, la Repubblica, nel mezzo di una delle più gravi crisi economiche e morali della nostra storia recente. I giornali trasudano di notizie su patti segreti tra uomini vicinissimi al potere per spartirsi le prebende di governo e sottogoverno; ministri e sottosegretari cascano uno dopo l’altro come birilli sotto i colpi delle inchieste giudiziarie; la disoccupazione è a livelli record; la crisi economica non accenna a finire; il parlamento si appresta a varare una manovra correttiva che congela stipendi pubblici, allunga l’età di pensione per molti, taglia fondi alle regioni e ai comuni; per non parlare del tracollo politico della maggioranza che sostiene il governo in carica. E in tutto ciò, il ministro dell’economia fa l’oracolo; inanella slogan, battezza formulette, cita, fraseggia. Dietro e dentro le centinaia di righe del tenore di quelle citate all’inizio di quest’articolo, gli esperti di fatti politici hanno letto due o tre notizie: un ri-posizionamento del ministro più forte della maggioranza più debole; un suo avvertimento a Berlusconi (nel sottile distinguo: la corruzione non è solo problema di una mela marcia, ma quantomeno di “una cassetta di mele marce”); un suo messaggio all’opposizione, attraverso il giornale-leader dell’opinione pubblica antiberlusconiana; addirittura, un suo messaggio ammiccante allo stesso gruppo editoriale che edita quel giornale antiberlusconiano. Movimenti importanti, per carità, nel dibattersi angosciato e angosciante di un regime che sembra sempre agli ultimi giorni. Che uno dei suoi esponenti più importanti, autore e protagonista indiscusso di quell’asse con la Lega Nord che è il vero azionista di riferimento del governo, si salvi dal diluvio precostituendosi una strada per il dopo, può anche essere segno di lucidità politica. Certo però che “le parole sono importanti” (come diceva Nanni Moretti in una sceneggiatura passata alla storia), e soprattutto è importante capire perché il ministro dell’economia della quinta o sesta potenza mondiale, quello che deve convincere i mercati e sostenere borse e monete, iniettare fiducia e dirigere la barra del timone, parla per frasi fatte, immaginette a effetto, citazioni a raffica. Per nascondere un vuoto, o un pieno che non si vuole mostrare?

La vittoria più grande che il ministro dell’economia può vantare, nell’intervista citata, riguarda la rapidità di approvazione della sua manovra economica: quella varata in maggio, quando dalla Grecia è partito il nuovo corso dei governi europei, improntato a un rientro rapido e doloroso dai deficit pubblici contratti per salvare l’economia dallo choc finanziario dell’anno precedente. Dunque, dopo aver fatto pochissimo (al contrario degli altri governi) per contrastare la crisi finanziaria ed economica, il governo italiano si è messo tra i primi della classe nelle misure anti-deficit. “Al parlamento è bastato un mese per fare la manovra”. Il miracolo sta nel voto di fiducia, che ha stroncato sul nascere qualsiasi trattativa, dialogo, discussione. O meglio, ha stroncato trattative e discussioni alla luce del sole: poiché le lobby più vicine al governo o ai suoi clientes sono invece state rapidamente accontentate, o almeno non penalizzate. Hanno vinto i pochi allevatori che non hanno pagato le multe per le quote latte, riuscendo a spostare il peso del loro debito su tutti noi; e hanno vinto i camionisti per i quali si è avuta, come tutte le estati, l’ennesimo comma ad-hoc per evitare il blocco dei Tir sotto il solleone. Due piccoli esempi, che però mostrano uno stile: nessuna discussione con la platea dei dipendenti pubblici i cui stipendi sono stati congelati, nessun dialogo con il mondo della scuola disseccato e prosciugato di risorse, nessuna trattativa con i livelli istituzionali di regioni e comuni. Ma intanto, sottobanco, ognuno cerca -e a volte trova – il suo piccolo tesoretto. Chi può si mette in salvo, o addirittura ci guadagna qualcosa: poco importa che alla fine, della grande promessa di ridurre le tasse, non sia rimasto niente (la pressione fiscale è al 43,2%) e la solenne promessa del federalismo fiscale sia ancora tutta da scrivere, mentre ai protagonisti dello stesso federalismo, regioni e comuni, è stato finora trasferito solo il potere di litigarsi i tagli: a loro infatti Tremonti ha affidato l’onere di ripartirsi il grosso della manovra, ossia il taglio dei trasferimenti dallo stato centrale. Questo è, per ora, il solo “potere” supplementare che è stato trasferito agli enti locali dal governo che aveva fatto del federalismo la sua bandiera.

Dettagli, quel che conta è portare a casa uno slogan, che Tremonti trova nelle “Due P” da contrapporre allo scandalo della P3. “Nella manovra è stata fatta la riforma delle pensioni più seria d’Europa in questi anni e pari data c’è stata Pomigliano, con il lavoro che non esce ma torna in Italia e nel Mezzogiorno. E forse queste due, pensioni e Pomigliano, sono due P più importanti della P3”, dice il ministro. La “riforma delle pensioni più seria d’Europa” consiste nella somma di due misure: le cosiddette “finestre mobili” (con uno slittamento di 12 mesi per i dipendenti e 18 per i lavoratori autonomi) e lo scalone per le donne del pubblico impiego, che potranno andare in pensione di vecchiaia non più a 60 ma a 65 anni. Tutte e due gli interventi vanno nella direzione di un aumento strutturale dell’età pensionabile: quindi una modifica delle precedenti riforme, nella direzione di ottenere un risparmio previdenziale e lasciare la gente a lavoro più a lungo. Il vantaggio per le casse pubbliche è evidente, mentre si discute molto (e con pareri opposti) sull’effettiva portata “paritaria” di questa misura, ossia se si tratti davvero di un passo avanti contro la discriminazione di genere (sull’argomento, il sito www.ingenere.it ospita un dossier con pareri diversi). Mentre non c’è traccia, nella discussione parlamentare e politica sulle pensioni, di proposte e misure per l’emergenza vera che si creerà nei prossimi anni, quando arriveranno all’età di pensionamento le generazioni cresciute solo con il sistema contributivo, e con redditi bassi e saltuari: in altre parole, quando arriverà la prima generazione di pensionati che sono poveri pur avendo lavorato per tutta la vita. Quanto alla vertenza di Pomigliano, chiamata in causa per coincidenza temporale, tutti i meriti (o le colpe, dipende dai punti di vista, ed è evidente che quello del ministro-frasologo è abbastanza lontano da quello degli operai campani) sono della Fiat, alla quale il governo di Tremonti si è limitato a dare un appoggio entusiastico ma non richiesto, e forse neanche tanto gradito.

Tutto ciò, nella retorica del ministro, vale a oscurare la P3, ossia la montagna di scandali che sta sommergendo la politica. Qualcun rubacchia, noi facciamo, sembra mandare a dire il ministro. Non mettendo in connessione in alcun modo quel che invece in connessione è: la crisi della politica economica e quella della politica tout court; la sostituzione della contrattazione sottobanco al dialogo trasparente; il passaggio dalle procedure faticose della democrazia ai metodi spicci della contrattazione tra poteri (più o meno puliti); lo spostamento dalla cittadinanza alle clientele, dai diritti ai favori. Tutto ciò è evidente nell’Italia del 2010, appena si diradino un po’ i fumi dell’illusionismo in cui l’allievo – il ministro-prodigio, quello che governa l’economia italiana, con qualche temporanea interruzione, da sedici anni – ha superato il grande maestro, al quale i giochi di specchi sembrano non riuscire più.

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