21.7.10

Quello che Vendola non dice.


Vendola stamattina era da Corradino Mineo, su RaiNews 24 e, nel rispondere alle domande dell’intervistatore, è sembrato sicuro e rassicurante, come sempre più spesso gli capita di essere da quando ha esplicitato la sua sfida nel centrosinistra.

E tuttavia un passaggio del suo proporre e argomentare mi è parso debole, scontato e reticente. Quando Mineo lo ha sollecitato a parlare di tasse Vendola ha, giustamente, fatto riferimento all’evasione, all’elusione ed, ancor più, ai processi di finanziarizzazione, a una economia cartacea che s’è gonfiata ed esplosa soffocando il lavoro, i suoi redditi e i suoi diritti. Sul piano propositivo l’indicazione più netta che ne ha ricavata è l’introduzione dell’imposta sulle transazioni finanziarie (la cosiddetta Tobin tax).

Nel mese scorso sul “manifesto” la tassa in questione è stata oggetto di una discussione abbastanza accesa tra economisti si sinistra: c’è chi l’ha definita “inutile”, chi ne ha sottolineato l’importanza pratica e simbolica e chi s’è collocato in mezzo (“misura utile, ma non risolutiva”). Non avendo le idee chiare e competenze sulla questione posso solo augurami che il dibattito giunga ad esiti soddisfacenti ed ampiamente condivisi. Una cosa credo però di poterla dire: a me la tassa in questione pare un surrogato, forse necessario ma un surrogato. Voglio dire che una politica redistributiva seria non tassa tanto le transazioni (cioè la compra-vendita di azioni, obbligazioni e altri ammennicoli finanziari), quanto le rendite, quelle che una volta efficacemente designavamo come “parassitarie” e che oggi invece si sogliono eufemisticamente denominare “plusvalenze”. La tassa sulle transazioni ha, inevitabilmente, elementi di iniquità: tanto per fare un esempio retrospettivo essa avrebbe colpito indifferentemente sia i “ladri delle borse”, cioè quelli che sia dai rialzi sia dalle vertiginose cadute hanno ricavato enormi utili, sia le loro “vittime”, quei risparmiatori, a volte tutt’altro che ricchi, truffati con i titoli “tossici” dai fratelli americani, dalle banche italiane, dai Tanzi d’ogni tipo.

S’introduca pure dunque, con i necessari accorgimenti, se si ritiene che abbia più vantaggi che svantaggi, l’imposta sulle transazioni finanziarie, ma si sappia che resta aperto il problema di una tassazione delle rendite, progressiva possibilmente, o almeno proporzionale (e non iniquamente forfettaria come accade oggi).

C’è tuttavia un altro non detto, a mio avviso più grave, nel ragionare di Vendola. La sua denuncia dell’impoverimento dei lavoratori, dei pensionati, dei ceti popolari, di pezzi di ceto medio, dell’intero Mezzogiorno d’Italia, nei quindici o sedici anni della cosiddetta “seconda repubblica”, è sacrosanta. Ma questa, per l’economia italiana, è stata una fase di crescita, lenta quanto si vuole ma crescita. Bisogna perciò saper dire quali ceti sociali, quali categorie produttive o professionali, quali territori si arricchivano a spese degli operai e degli impiegati, dei pensionati e del Sud; e mi pare improbabili che si tratti soltanto dei rentiers finanziari.

Le politiche della destra (condoni fiscali ed edilizi, scudi, tolleranze e connivenze verso il lavoro nero e l’evasione fiscale, sostegni legislativi all’elusione) e, a nvolte, anche quelle sviluppate dal centrosinistra rendono impossibili gli accertamenti retroattivi e le conseguenti sanzioni. E tuttavia qualcosa si può e si deve fare.

Dicono in Sicilia che amuri, biddrizzi e dinari su’ tri cosi ca nun si ponnu ammucciari (“amore, bellezza e denari sono tre cose che non si possono nascondere”). Vale soprattutto per i denari. Quelli dei deputati e dei manager che eludevano il fisco decretandosi una parte consistente degli emolumenti come “rimborsi” non tassabili, o dei commercianti che hanno partecipato alla grande rapina del passaggio dalla lira all’euro, o di tanti “grandi” medici, dentisti eccetera che non rilasciano fattura, quelli di tanti industrialotti del Nordest e così via, non si sono affatto volatilizzati, si sono in gran parte trasformati in palazzi, ville, appartamenti, poderi, barche, all’estero ed anche in Italia. Il governo di destra che organicamente rappresenta questi ceti ed i centrosinistri moderati che da un ventennio li blandiscono tacciono, ma Vendola non dovrebbe tacere.

Credo che, se lo ha fatto finora, è perché su di lui pesa una paura, collegata a non dimenticate vicende del partito in cui militava fino al 2008, il Prc.

Alla vigilia delle elezioni del 2006, Fausto Bertinotti, allora segretario, in una Tribuna elettorale litigò con l’alleata Emma Bonino sulla reintroduzione della tassa sulle successioni ereditarie. Gli esperti raccontano che la cosa fece perdere qualche centinaio di migliaia di voti all’Unione guidata da Prodi. Le elezioni furono vinte con una maggioranza risicatissima di voti alla Camera e con la maggioranza di appena 2 seggi, ma non di voti popolari, al Senato.

Successivamente Rifondazione affrontò un tema analogo, con un manifesto che suscitò tante polemiche, favorevole alla tassazione delle rendite: quello con lo slogan Anche i ricchi piangano. Io ero e resto convinto che fossero sbagliate quelle scelte comunicative, ma non l’esigenza di far pagare chi, nell’impoverimento dei poveri, ha accumulato patrimoni ingenti. L’errore non stava nel dire quelle cose, ma nel non collegare immediatamente quegli introiti a misure popolari ed urgenti. In questo, davvero, i compagni di Rifondazione avrebbero dovuto imparare da Berlusconi che vinse un’elezione dicendo “porterò a un milione di lire le pensioni minime” e un’altra promettendo “abolirò l’Ici”. E invece no: si volevano tassare i grandi patrimoni ereditari o le rendite senza dire cosa si sarebbe fatto con quei denari, oppure dicendo troppe cose (salari, pensioni, provvidenze per gli studenti bisognosi, crediti alle imprese), che è più o meno la stessa cosa.

Fatto sta che il Prc di Giordano, che sosteneva proposte assolutamente ragionevoli e moderate di tassazione, al di sotto di qualsiasi seria socialdemocrazia, venne tacciato di estremismo, avventurismo, terrorismo e chi più ne ha più ne metta. Credo che la reticenza di Vendola, la sua resistenza a pronunciare la parola bandita, “imposta patrimoniale” o anche la perifrasi meno compromettente “tassa sui grandi patrimoni”, nasca da questa esperienza.

E tuttavia lì bisognerà arrivare, anche perché tanti che ieri titubavano e temevano, oggi saluterebbero con entusiasmo un discorso di giustizia sociale, specie se collegato a misure immediate di redistribuzione.

Qualche idea su come usare le risorse ricavate io ce l’ho, ma non mi permetto di suggerirla. Affido la cosa alla fantasia e alla saggezza di Nichi e di quelli che lavorano con lui. L’importante è che il ricavato delle tasse sulle rendite e sui grandi patrimoni si trasformi subito in denaro contante per i disoccupati, per i lavoratori, per i pensionati, per le famiglie meridionali, per i tanti (troppi) che con la crisi non arrivano alla quarta settimana e talora neanche alla terza. Sarebbe anche, con il rilancio dei consumi popolari, un contributo alla ripresa dell’economia produttiva.

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