26.7.10

La caserma e il coraggio. Da "Una nobile follia" di Iginio Ugo Tarchetti (1839-1869)

Nel 2007 gli Oscar Mondadori rieditarono un romanzo dello scrittore scapigliato Igino Ugo Tarchetti (1839-1869) Igino Ugo Tarchetti, Una nobile follia, del 1867.
Il romanzo racconta la storia di Vincenzo D., giovane colto e sensibile, amante della natura e dell'arte, innamorato di una donna, incapace di violenza, che viene chiamato a prestare il servizio militare e ben presto trasformato in una macchina per uccidere. Vincenzo parte per la guerra di Crimea (1852 – 1855) e partecipa alla battaglia del fiume Cernaia, che Tarchetti rappresenta per quello che probabilmente fu: un massacro insensato, assolutamente privo di elementi eroici.
La pubblicazione di Una nobile follia suscitò scandalo e valse al suo giovane autore una certa fama. La denuncia intransigente del militarismo trovava qualche riscontro dopo la cosiddetta “terza guerra d’indipendenza” del 1866, segnata dalle catastrofiche sconfitte di Custoza, per terra, e di Lissa, per mare. Il libro più celebre di Tarchetti è rimasto tuttavia Fosca (1869), storia “perturbante” di un amore morboso, le cui ultime pagine vennero redatte sui suoi appunti dall’amico Salvatore Farina, per la morte di tifo del Tarchetti. Proprio Farina ci racconta come questo ottocentesco stravagante, che andava agli appuntamenti galanti con i topi bianchi in tasca, avesse elaborato un vero e proprio programma “antimilitarista”, da diffondere tra le caserme. Qui ho postato da Una nobile follia due brani di esplicita denuncia (S.L.L.).
La caserma
Incominciò la mia notte: notte immensa, tenebrosa, terribile… Fui soldato. Questa parola esprime tutto. Affetti, memorie, doveri, aspirazioni, diritti, indipendenza, dignità conculcata – assoldato, tenuto a soldo, venduto. Così si uccide un uomo e si forma un soldato. La nazione lo tollera, vi ha di più, la nazione vi applaude, illusa come un fanciullo insensato dalla vista dei pennacchi azzurri, delle sciabole lucide, e del suono delle trombette: i pochi onesti fremono e tacciono.
Quel giorno in cui un uomo ha posto il piede in una caserma, conosce che tutto è finito per lui; quelle mura hanno delle terribili rivelazioni: assorbono le vite ne mostrano le larve come al di là di un velo trasparente. Ciò che vi ha di più orribile nella caserma è la tirannia delle abitudini militari, è lo scherno della virtù, la derisione di ciò che è delicato e gentile, la prevalenza della forza brutale. La caserma ha le sue associazioni occulte, il suo gergo come le galere, le sue tradizioni, le sue gerarchie, i suoi regolamenti segreti; quando si è soddisfatto alle esigenze della disciplina generale, rimane ancora l’obbligo di soddisfare a quelle delle discipline parziali. La caserma possiede e favorisce le abitudini e i vizi di tutte le comunanze: il giuoco, la crapula, il vino, la prostituzione del principio morale, la prepotenza, la violenza, l’oppressione del debole, il diritto della forza, la vendetta privata, la collisione pronta e feroce: tutto ciò vive nelle caserme e vi si perpetua da individuo in individuo; è un legato che si trasmette dal veterano al coscritto; entra nelle caserme dei novizi, e vi si dilata e si spande come un miasma contagioso; è il vaso fatale della leggenda, nessuno può sfuggirne le esalazioni morali, i forti e i cattivi vi resistono, i deboli e gli onesti soccombono.

Il coraggio
Nulla di più assurdo del coraggio nelle battaglie, nulla di più comune di un eroe sul campo. Tutti i soldati lo sono del pari, tutti agiscono eccitati da un istinto: non vi ha coraggio oltre il coraggio civile. L’arte militare ha usurpato quanto vi era di sacro nella famiglia per coprirne le sue nudità ributtanti, ha pure contaminato queste grandi virtù del cuore umano; le ha travisate; le ha tolte all’affetto domestico, alla povertà laboriosa, all’onestà sventurata, al genio operoso, alla virtù sconosciuta, per tributarle all’omicidio freddo, calcolato, impassibile, dell’omicidio ben riuscito. Turpe mistificazione! Tutti coloro che hanno preso parte a una battaglia sanno che cosa è un eroe; comprendono come colui che ha fatto sacramento (benché sacramento imposto) di esporre la propria vita e di attentare a quella degli altri, non compia che un semplice dovere annuendovi; intendono agevolmente come l’istinto della conservazione ci porti all’atto della difesa, come la difesa sia più energica quanto è più ostinato l’istinto, e come questo istinto faccia i più grandi eroi di coloro che sarebbero stati i codardi più volgari nella vita civile.

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