23.7.10

Una dama triste alla corte degli Han. Le poesie di Cai Yan.

Dalle Diciotto stanze per flauto barbaro

3.

Ho oltrepassato il paese dei Han,

sono entrata nei borghi dei barbari,

perduta la casa violato il mio corpo,

meglio sarebbe non esser nata.

Ruvidi panni e pelli le mie vesti, il corpo vi ripugna,

montone rancido il cibo, violenza ai miei sensi.

Tamburi che rullano, dal cader della notte fino al giorno,

tra i barbari il vento è potente, ottenebra il campo.

Soffro il presente, piango sul passato, la terza stanza è compiuta,

la pena che nutro, quando si placherà?

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16.

Sedicesima stanza, sconfinato è il rimpianto,

io e i miei figli, chi di qua chi di là.

Il sole a oriente la luna a occidente, si cercano invano,

non c'è modo di rivederci, sterile il tormento.

Nemmeno il giglio dell'oblio dissipa la mia pena,

pizzico la cetra sonora, quanta tristezza.

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Nota

Queste due struggenti, intense poesie furono scritte, in tempi diversi, da una figura mitizzata della cultura cinese nei secoli a seguire. Dama di alto lignaggio alla corte della dinastia Han (206 a. C. - 220 d. C.) Cai Yan (pron. Tsai Yan) era nata intorno nel 177 o nel 178 dopo Cristo e morì dopo il 206. La sua vicenda, in Cina, è stata rievocata e reinterpretata da molti letterati e artisti. Fu artista di grande sensibilità lirica famosa anche per la sua abilità nell'uso del qin (pron. cin), un liuto pentacordo orizzontale, tipico dei poeti. Qualche anno fa Anna Bujatti ha tradotto e curato le Diciotto stanze per flauto barbaro, uno dei tre poemetti attribuiti a Cai Yan e le ha pubblicate nei tipi della Tipografia dell’Istituto Salesiano di Roma, in una edizione fuori commercio. Io ne ho avuto notizia dalla recensione sul supplemento domenicale de “Il Sole 24 Ore” del 29 giugno di Gian Carlo Calza, di cui riporto qui una parte, anche come guida ai testi riportati.

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Sposata a sedici anni in un'importante famiglia Cai Yan restò vedova dopo poco e, prima dei venti, era divenuta merce di scambio della traballante dinastia con i Xiongnu, un ceppo barbarico degli Unni che sconfinava spesso nel territorio cinese. Sposata a un capo barbarico da cui ebbe due figli visse in un ambiente a lei ostile per cultura e gusti. Ella pertanto si rivolse alla poesia e al grezzo flauto dei barbari il cui suono dolente si adattava alla condizione del suo spirito. Un grande letterato e potentissimo dignitario, Cao Cao (pron. Tsao Tsao), la fece poi riscattare dalla corte imperiale e dare in sposa a un alto funzionario. Essa ritornò così all'adorata capitale, Chang'an la splendida (l’odierna Xi'an), ma senza poter portare i figli con sé. Questo ripetuto straniamento, questa violenza alla cultura prima e all'amore materno poi, risuonarono, e risuonano ripetutamente, nell'anima della Cina tradizionale, quella degli han, l'etnia dominante che prese il nome da quella celebre, classica, dinastia. E' la Cina che da sempre percepisce la presenza dei barbari ai confini come una minaccia costante; che dai barbari fu spesso conquistata, mai dominata. Le Diciotto stanze sono un capolavoro di introspezione ed esposizione dei propri sentimenti sviluppata lungo un percorso musicalmente raffinato, con immagini colme di suggestione e risonanze fra natura e stati d'animo. Guo Moruo (1892 - 1978), tra i massimi letterati del Novecento, considerava Cai Yan tra i grandi della letteratura di ogni tempo e delle Diciotto stanze curò l'edizione critica di cui questa è la prima traduzione filologicamente impegnata in lingua occidentale.

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