8.7.10

I Savoia, la parabola e il magazine moralista.

Ai Savoia della storia fu dedicato da Einaudi nel 2007 un corposo volume che raccoglie una serie di saggi che ricostruiscono la vicenda dinastica della dinastia alpina dalla sua fondazione, intorno al Mille, fino all’indecorosa fuga a Brindisi l’8 settembre 1943 e alla sconfitta nel referendum istituzionale, pur concentrando la sua attenzione sui “secoli d’oro”, dal Cinquecento all’Ottocento, quelli dei Savoia-Savoia esauritisi con Carlo Felice e con l’avvento di Carlo Alberto della linea cadetta dei savoia-Carignano. Due ne ho trovato più degli altri interessanti: quello di Alberto Conte e Livia Giacardi su Scienza, tecnologia e politica, che verifica come nel Piemonte sabaudo l’assetto militare prepari quello industriale nel nesso tra il sostegno agli studi scientifici e l’introduzione di nuove tecnologie nell’artiglieria; quello dello storico americano Geoffrey Symcox su Dinastia, Stato, amministrazione che si cimenta in una complessa verifica del rapporto costi-benefici nelle feste del ducato nel XVII secolo.

La tesi fondamentale intorno a cui è stato costruito il libro è esposta nell’introduzione di Walter Barberis, lo storico dell’Università di Torino che ne è il curatore, dal titolo emblematico: I Savoia. Quattro storie per una dinastia. Le quattro storie, o meglio i quattro tempi della storia, sono: 1) la fase fondativa, delle strategie matrimoniali e diplomatiche che danno peso alla piccola contea alpina; 2) il tempo della riforma dell’esercito (base della locale aristocrazia) strumento di costruzione dello Stato e della sua specificità; 3) la fase risorgimentale, già di decadenza sotto il profilo delle grandi personalità; 4) il periodo del regno italiano in cui i “meriti” dei Savoia sono scandali bancari e violente repressioni di moti popolari fino all’abbraccio mortale con il fascismo.

Questi i Savoia della storia.

Ai Savoia attuali, nella stessa chiave della decadenza, ha dedicato pagine su pagine pochi giorni fa, il numero del 24 giugno di “Sette”, il magazine del “Corriere della sera”. Contiene due lunghi articoli corredati da belle foto, preceduti e commentati dall’editorialino nella pagina del sommario, firmato da Giuseppe Di Piazza.

Il primo articolo lungo, di Enrico Mannucci, è un colloquio con Amedeo, quello del ramo Aosta che ora si vuole “capo della casata”, perché quegli altri, Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto, sono leggerini e oltre tutto il primo, il celebre sparatore, sarebbe fuori dalla famiglia perché il babbo (l’ex-re Umberto II) mai autorizzò il matrimonio con marina Doria.

Il secondo pezzo, Dal trono allo strip, di Luciano Regolo, volgarizza la tesi della “parabola involutiva” della dinastia e la chiude con la notizia che la moglie di Emanuele Filiberto, l’attrice Clotilde Coureau, si esibirà al Crazy Horse nella parte della spogliarellista Dita Von Tesee. Il bravo e buon Regolo, una specie di Catone in sessantaquattresima, così commenta: “E dire che entrambe le due precedenti Clotilde di Savoia, la settecentesca consorte di Carlo Emanuele IV e l’ottocentesca figlia di Vittorio Emanuele II vissero in odore di santità, la prima dichiarata addirittura venerabile dalla Chiesa. Dalla gloria dell’altare a quella dello strip”. Insomma il magazine del “Corsera” ha tutta l’aria sostenere la “maestà” dell’Aosta, che ha i lombi regali (il padre, il duca dell’Amba Alagi lo generò in coppia con una Borbone-Orlèans) contro l’Emanuele Filiberto che non si sa da dove nasce imbastardito, involgarito, ingaglioffito: l’“Oggi” degli anni Cinquanta non arrivava a tanto moralistico livore piccolo-borghese.

Ci aspetteremmo che nell’editorialino Giuseppe Di Piazza dica: “Tranquilli ragazzi, stiamo scherzando”. E invece no: già il titolo sembra accentuare il fetore di piccola borghesia: Casa Savoia, Casa Italia. E la tirata finale è proprio da impiegato del dazio, di quelli che dopo aver menato ogni possibile scandalo non sanno fare a meno di sparare sull’Italia e sugl’Italiani: “E’ il destino della dinastia: oppure è il destino del nostro Paese. Possibili re fatti in questo modo non sono altro che il nostro specchio. Si sa, nel bene e nel male, ogni Paese ha i governi (e le famiglie reali) che si merita”. Ma va!

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