14.5.18

“Emma? È soltanto una puttana”. Ottocento francese: Pinard e i processi alla letteratura (Mario Picchi)


Nei Miserabili di Victor Hugo (1862) c' è un poliziotto, Javert, che nella sua ottusa dedizione alla legge esprime tutta la convinzione della Francia ufficiale nella necessità del sistema, da preservare con ogni mezzo contro ogni attentato. Ma nella Francia reale di quel periodo c'è un altro personaggio che con altrettanta ottusità e pervicacia ha difeso la società dagli attacchi che le portava uno dei più subdoli nemici, la letteratura: Ernest Pinard, che dalla sesta camera del tribunale correzionale di Parigi scagliò i fulmini della giustizia contro capolavori come Madame Bovary di Gustave Flaubert e I fiori del male di Charles Baudelaire, in nome della moralità, del buon costume, dei buoni sentimenti, della famiglia e della patria.
Pinard è uno dei protagonisti, ma non il solo, d' un recente volume nel quale Yvan Leclerc racconta la lotta che la legge ha condotto per tutto l'Ottocento in Francia contro la letteratura colpevole di non adattarsi alle sue esigenze: Crimes écrits. La littérature en procés au 19 siècle (Delitti scritti. La letteratura processata nel secolo XIX), pubblicato dall' editore Plon (pp. 448, Ff. 2.660). Infatti la lotta fra letteratura e censura si è svolta durante tutto il secolo e sotto tutti i regimi. Il libro di Leclerc, facendo centro sui due processi a Flaubert e Baudelaire, a cui si aggiunge quello a Jules Barbey d' Aurevilly per le novelle Le diaboliche (1875), contiene ventuno altri dossier relativi ai processi intentati dallo Stato francese dal 1821 al 1892 ad altrettanti autori rei di avere offeso il re, la morale pubblica, il governo, i buoni costumi, l' esercito, l' impero, la repubblica. "I governi hanno un bel cambiare, monarchia, impero, repubblica, che importa. L'estetica ufficiale non cambia", scriveva nel febbraio 1880 Flaubert in una lettera aperta al suo discepolo Guy de Maupassant, anch'egli incappato nella rete punitiva per alcune poesie "lascive". La presenza di Pinard nella vita pubblica ossessionò Flaubert fino alla fine: diciassette anni dopo il processo, nel 1874, egli scriveva in un taccuino: "Non dimenticare Pinard". E nel 1877 il fondatore del romanzo moderno aveva una grande, una enorme soddisfazione; un' amica gli fece sapere che erano state trovate delle poesie oscene di pugno proprio del fustigatore Pinard: "Ringrazio la Provvidenza per le poesie lubriche di ser Pinard. Non mi stupisco, non c' è nulla di più immondo dei magistrati, la cui geniale oscenità viene dall' abitudine di portare la toga... Se penso che Pinard si indignava delle descrizioni di Madame Bovary!".

Uno scandalo di verità
Eppure, dal suo punto di vista di tutore della legge, Pinard non aveva tutti i torti; Pinard che persino nel nome, motivo di infiniti scherzi e scherni, porta il segno dell' imbecillità che segnò la sua vita: pine, infatti, designa in gergo l'organo genitale maschile e il suffisso -ard, in questo caso, ne diventa un peggiorativo.
Il punto più acuto del dibattito che Leclerc mette in luce nella sua analisi, profonda e precisa oltre ogni dire, consiste proprio nel confronto che oppone lo Stato, tendenzialmente conservatore e preservatore dell'ordine costituito, contro le forze nuove rappresentate dalla letteratura, che tendono alla disgregazione dei valori. Basta leggere il blocco degli articoli usciti al momento del processo alla Bovary e le lettere personali ricevute in proposito da Flaubert per rendersi conto dell' urto, dello scossone ricevuto dal pubblico nel leggere la storia dell'adultera di provincia. Perché, questo è il punto, allora si credeva che arte e moralità fossero tutt'uno, e i libri venivano giudicati secondo due criteri morali, che erano l'intenzione dell'autore e l'effetto prodotto sul lettore.
E qual era, tanto per restare al tandem Flaubert-Baudelaire, la loro intenzione, se non di dare scandalo? Una intenzione forse meno cosciente in Flaubert e più cosciente in Baudelaire, e uno scandalo non certo di oscenità ma di verità, ma non per questo meno vivi ed evidenti. L'anno del processo, il fatidico 1857, era stato premiato al concorso dell'Académie des sciences morales et politiques il libro d' un giudice, Eugène Poitou, dedicato all'influenza del romanzo contemporaneo sul costume in Francia. Scriveva Poitou: "Il romanzo dev'essere il mondo migliore. Noi tutti abbiamo bisogno di mischiare alla nostra vita una certa dose d'ideale: spesso la realtà è tanto triste" che non c'è alcun bisogno del "grossolano e volgare realismo". Flaubert dovette restar male nel ricevere una lettera datata 23 giugno 1857, da una signora inglese da lui conosciuta in gioventù: "Vi dirò francamente d' essere meravigliata che voi, con la vostra fantasia e con la vostra ammirazione verso tutto ciò che è bello, abbiate scritto, vi siate compiaciuto di scrivere una cosa così orribile come quel libro! L'ho trovato tanto cattivo! E il talento che ci avete messo è doppiamente detestabile!". Dovette restar male, ma non poi tanto, nel leggere ciò che Mrs. Tennant aggiungeva: "Perché rivelare tutto quel che è meschino e misero; nessuno ha potuto leggere questo libro senza sentirsi più infelice e più cattivo".
Non era stato proprio questo il suo scopo: comunicare una visione della vita completamente negativa e pessimista scopo: comunicare una visione della vita completamente negativa e pessimista sublimata unicamente dalla virtù suprema dello stile? E alle sue lettrici, poiché il libro si considerava diretto specialmente al pubblico femminile che cosa poteva importare lo stile? C'è di più. Come si sa, prima di ogni stesura definitiva, Flaubert preparava un abbozzo, una specie di pre-sceneggiatura. Accadeva che spesso quel che c'era nello schizzo fosse assai più e più forte di quel che entrava nel testo finale. Un esempio, fra tanti: "L'abitudine di scopare la rende sensuale, botta con Rodolphe, in camera, sul divanetto dove hanno tanto chiacchierato, piena di sperma, di lacrime, di capelli e di champagne, dopo le scopate va a aggiustarsi i capelli. Emma, un po' puttana, Léon prende un guanto, lo guarda come gli venisse un'idea, far capire che si masturba col guanto, se lo infila e dorme posandoci la testa, sul guanciale, toilette puttanesca, far vedere già un po' di porcheria, far vedere chiaramente il gesto di Rodolphe che le prende il culo nella mano...". Ben poco di questo (qualche riga di descrizione dei guanti) finì nel romanzo, ma Flaubert aveva bisogno di scrivere tutti quei particolari, per imprimerseli bene in mente, e per farli sentire al lettore, come dice Leclerc, "prima di scrivere un testo casto in superficie ma ardente di passione sotto ciò che è stato volontariamente censurato".
Flaubert scriveva alla sua amante Louise Colet il 2 luglio 1853: "C' è una scopata che mi preoccupa molto e con cui non c'è da usar sotterfugi, sebbene la voglia fare casta ossia letteraria, senza particolari piccanti né immagini licenziose: bisogna che la lussuria sia nell'emozione". Flaubert, quindi, sapeva benissimo, anzi, poneva ogni sua cura perché nel non detto trapelasse tutto quello che c'era sotto; e quello che c'era non lo sapeva soltanto lui, ma anche Pinard; il processo, e l'accanimento di Pinard, furono proprio in questo; far emergere, affinché tutti potessero vedere, quello che Flaubert aveva nascosto. Madame Bovary uscì a puntate sulla “Revue de Paris”, diretta da Léon Laurent-Pichat, a partire dal primo ottobre 1856 e fino al 15 dicembre (la rivista era quindicinale). Per Flaubert i guai cominciarono subito: gli fu chiesto dal direttore, prima della pubblicazione, di apportare modifiche o tagli in ben 71 punti, che lui non accettò; ma dovette accettare la soppressione della scena della carrozza.
Nonostante questo il gladio di Pinard si levò alto e tutta la passione vera che, sotto lo specchio dello stile, si agitava come magma, fu da lui portata alla luce e sciorinata davanti agli occhi delle future lettrici. Flaubert fece fuoco e fiamme e mise in campo quante più amicizie altolocate poté, puntando soprattutto sul prestigio che suo padre, il famoso chirurgo, s' era conquistato a Rouen e in tutta la Normandia; e da parte sua si difese invocando non tanto la moralità dell' opera letteraria, quanto la sua propria moralità. Mentì, certo, ma che cosa poteva fare con Pinard e con quell'opinione pubblica che pretendeva dal romanziere l'intenzione moralistica? A Baudelaire andò peggio. Intanto non poteva vantare un solido sfondo familiare come quello di Flaubert; il suo massimo vanto era un padrino colonnello. E poi, aveva messo tutto il suo talento, a furia di eccentricità e di oltraggi al comune buonsenso, per farsi considerare individuo asociale, turbolento, pericoloso, che andava in giro "senza cravatta, a collo nudo, testa rasata, proprio come uno che va alla ghigliottina" (Goncourt). Non era facile, per uno come lui, sostenere la moralità delle poesie in cui descriveva due lesbiche nude, dopo la voluttà, oppure offendeva la religione con empie litanie sataniche.
Ma, dopo aver messo nelle poesie tutta la sua forza provocatoria, Baudelaire era convinto che esse, da vedersi non una per una ma nell' insieme, come un solo corpo, fossero d'una "terribile moralità". Nonostante tutte le testimonianze, in forma di articoli a suo favore, portate da illustri personalità, e nonostante la lettera che il poeta scrisse all'imperatrice impetrandone l'intercessione, la condanna doveva venire e venne: sei delle tredici poesie indicate da Pinard furono soppresse. Però Baudelaire, anche nella lettera all'imperatrice, non aveva rinunciato alla provocazione e aveva scritto alla moglie di Napoleone III: "Ci vuole tutta la immensa presunzione d'un poeta per osare richiedere l'attenzione di Vostra Maestà su un caso piccolo come il mio". Ora, la parola cas, già allora, voleva dire sia caso sia quell'organo genitale maschile che appare nel nome di Pinard.

Quella vita esemplare
L'imperatrice comunque intervenne e fece ridurre l'ammenda da 300 franchi a 50, ma non poté impedire la distruzione delle sei poesie condannate, le quali furono materialmente strappate dal volume in vendita; poi, le "pièces condamnées" fecero corpo a sé, prima in opuscoli che circolavano clandestini come opere pornografiche, in attesa della riabilitazione. Nel 1925 la Société Baudelaire fece domanda di revisione del processo, il quale si rifece soltanto vent'anni dopo, e ci vollero altri quattro anni prima che la condanna fosse cancellata: 1949. Ma la cosa non è finita. Riferisce Yves Leclerc, a conclusione della sua ricostruzione della vicenda baudelairiana, di avere acquistato nel 1984, ossia trentacinque anni dopo la riabilitazione, un'edizione "integrale" dei Fiori del male della famosa casa editrice Hachette, in una collezione di "grandi scrittori scelta dall' Académie Goncourt", in cui delle sei poesie infami non c'è traccia. Quanto a Pinard, come logica vuole, seguitò trionfalmente la sua carriera degli errori: da pubblico ministero negli anni Cinquanta diventò ministro dell' Interno e condusse una lotta così ottusa contro la libertà di stampa da essere costretto alle dimissioni. Non per questo si tirò in disparte. Nel 1885 pubblicò in due volumi le sue Opere giudizarie, in cui erano raccolte le sue più feroci requisitorie, compresa quella contro Flaubert (ma con testo differente da quello che lo scrittore aveva fatto stenografare a sue spese durante il processo). E finalmente, nel 1892, venne il Diario in cui quella vita esemplare era proposta in tutta la sua integrità.

“la Repubblica”,11 aprile 1992

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