27.5.18

L'enigma di Lawrence (Henry Miller)

All'inizio del 2007 “la Repubblica” pubblicò come “anticipazione” da un volume di inedite riflessioni su letteratura, pittura, cinema e politica (Il giudizio del cuore, Christian Marinotti, 2007) un brano del libro di Henry Miller sul mondo di David Herbert Lawrence, risalente al 1941. Lo riprendo qui come “post”. (S.L.L.)

Per avvicinarsi al mondo di Lawrence occorre avere bene a mente due cose: primo, la natura del suo temperamento individuale e, secondo, la relazione tra un tale temperamento e i suoi tempi. Poiché Lawrence è stato singolarmente unico e allo stesso tempo una figura rappresentativa della nostra epoca. Emerge tra le costellazioni come una minuscola stellina scintillante; luccica più splendente mano a mano che comprendiamo la nostra epoca. Se non fosse stato così perfettamente il riflesso del suo tempo, sarebbe stato già dimenticato. Così, la sua importanza aumenta con il tempo. Non che diventi più grande o che si avvicini alla terra.
No, rimane dov'era all'inizio: rimane come un esile puntino sopra l'orizzonte, come una stella della sera, ma quando sopraggiunge la notte - perché è proprio la notte ciò che ci viene addosso con sempre maggior forza - diventa più brillante. Lo capiamo meglio quanto più avanziamo nella notte.
Ho sparsi davanti a me gli appunti dai quali nascerà questo libro su Lawrence. Sono un mucchio enorme, sconcertante. Alcuni di essi non li capisco più nemmeno io. Altri li vedo già sotto una nuova luce. Gli appunti sono pieni di contraddizioni. Lawrence era pieno di contraddizioni. La vita stessa è piena di contraddizioni. Non voglio imporre nessun ordine più alto sull'uomo, sul suo lavoro, sul suo pensiero di quanto non lo imponga la vita. Non voglio stare fuori dalla vita, giudicandola, ma dentro di essa, sottomettendomi a essa, riverendola.
Parlo di contraddizioni. E immediatamente mi sento obbligato a contraddire quello che dico. Per esempio, voglio che sia chiaro dal principio che un uomo come Lawrence aveva ragione, aveva ragione in tutto quello che diceva, in tutto quello che faceva, anche quando ciò che diceva o faceva era ovviamente sbagliato, ovviamente stupido, ovviamente prevenuto o ingiusto. (Fa del suo meglio per provare quello che dico in opere quali i suoi studi su Poe e su Melville). Lawrence era contro il mondo come esso è. Il mondo è sbagliato, è stato sempre sbagliato e lo sarà sempre. In questo senso Lawrence aveva ragione, ha ancora ragione e l'avrà sempre. Ogni essere sensibile, consapevole del proprio potere, del proprio diritto, sente questa opposizione. Il mondo, comunque, c'è e non sarà negato. Il mondo dice NO. Il mondo scuote eternamente il capo per dire NO.
La figura più importante dell'intero mondo occidentale è stata per duemila anni l'uomo che era la quintessenza della contraddittorietà: Cristo. Era una contraddizione per sé e per il mondo. E tuttavia, coloro che erano contro di lui, o contro il mondo, o contro se stessi, hanno compreso. E compreso da tutti, ovunque, anche se rifiutato. E forse perché è stato una contraddizione? Non rispondiamo immediatamente. Teniamo questa domanda in sospeso. Qui, toccando questo punto, siamo molto vicini a qualcosa che ci riguarda tutti profondamente. Ci avviciniamo quasi all'enigma da dietro. Riflettiamo un istante con calma. Ci fu Cristo, la figura splendida e luminosa che ha dominato tutta la nostra storia. Ci fu anche un altro uomo - San Francesco d' Assisi. Fu secondo a Cristo in ogni senso. Fece una tremenda impressione al mondo - forse perché, come i Bodhisattva che hanno rinunciato al Nirvana per aiutare l'umanità, anche lui scelse di rimanere vicino a noi. Ci sono state queste due luminose figure, dunque. Ce ne sarà una terza? Ci può essere? Se mai ci fu uomo nel corso dell' epoca moderna che raggiunse quasi questo culmine, fu D. H. Lawrence.
Ma la tragedia della vita di Lawrence, la tragedia del nostro tempo, è questa - che se egli fosse stato questa terza grande figura, non l'avremmo mai saputo. L'uomo non è mai pienamente nato - perché non è mai stato opposto fino in fondo. E un busto perpetuamente impantanato nell'acquitrino. Alla fine il busto sparirà comunque.
Lawrence scomparirà con il tempo che ha così magnificamente rappresentato. Anche lui lo sapeva. Ecco perché la speranza e la disperazione alle quali ha dato voce sono così elegantemente equilibrate. Consumatum est, ha gridato verso la fine. Non sul letto di morte, ma sulla croce, mentre era vivo e in pieno possesso delle sue facoltà. Proprio come Cristo sapeva in anticipo cosa vi era in serbo per lui, accettando il suo ruolo, così anche Lawrence sapeva e ha accettato. Ognuno è andato incontro a un destino differente. Cristo aveva già svolto il suo dovere quando fu messo in croce. Lawrence si inchiodò alla croce perché sapeva che il compito non poteva essere assolto - né il suo compito né quello del mondo. Gesù fu ucciso. Lawrence fu obbligato a commettere suicidio. Ecco la differenza.
Lawrence non fu il primo. Ci furono altri prima di lui, per tutta l'epoca moderna, che dovettero farsi fuori. Ogni suicidio fu una sfida. Rimbaud, Nietzsche - tragedie che accesero quasi una scintilla. Appare Lawrence e non succede niente. Vende meglio, e questo è tutto. Ho detto un momento fa che la contraddittorietà di Cristo ci ha portati molto vicino a qualcosa di vitale, a una paura che ci attanaglia. Lawrence ci ha reso di nuovo consapevoli di ciò - sebbene sia stata quasi istantaneamente congedata. Quale è l'essenza di questo enigma? Essere nel mondo senza essere del mondo. Approfondire la concezione del ruolo dell'uomo. Come si fa?
Negando il mondo e proclamando la realtà interiore? Conquistando il mondo e distruggendo la realtà interiore? In ogni caso vi è sconfitta. In ogni caso vi è trionfo, se volete. Sono la stessa cosa, sconfitta e vittoria - è solo questione di cambiare la propria posizione.
C'è un mondo della realtà esteriore, o azione, e il mondo della realtà interiore, o pensiero. Il fulcro è l' arte. Dopo lungo uso, dopo infinite altalene, il fulcro si logora. Allora, quasi fossero elette divinamente, sorgono figure, solitarie e tragiche, di uomini che offrono le loro nude spalle come fulcro per il mondo. Periscono sotto il peso opprimente di questo fardello.
Ne nascono altri, sempre più numerosi, fino a che dai molti sacrifici eroici si costruisce un fulcro di carne viva che può di nuovo tenere in equilibrio il peso del mondo. Questo fulcro è l' arte, che all'inizio era carne grezza che era azione, che era fede, che era il senso del destino.
Oggi il mondo dell'azione è esausto, e così anche il mondo del pensiero. Non c'è senso storico né una realtà interiore, metafisica. Nessun uomo, oggi, può chinarsi a offrire le proprie nude spalle come supporto. Il mondo si è dilatato a tal punto che la schiena più possente non sarebbe ampia a sufficienza per sostenerlo. Oggi sta albeggiando su uomini che, se vogliono trovare la salvezza, devono tirarsi in piedi solo con le proprie forze. Devono scoprire da sé un nuovo senso di equilibrio. Ognuno deve, per se stesso, ritrovare il senso del destino.
In passato una figura come Cristo poteva creare un mondo immaginario abbastanza potente nella sua realtà da renderlo la leva del mondo. Oggi ci sono milioni di esseri disposti al sacrificio, ma non abbastanza forza in molti di loro per sollevare un granello di sabbia. Il mondo è guasto, e gli uomini, individualmente, sono guasti. Siamo sulla strada sbagliata, tutti noi. Un gruppo, quello più numeroso, insiste nel cambiare il modello esterno - la configurazione sociale, politica, economica. Un altro gruppo, molto piccolo ma di maggiore potere, insiste nello scoprire una nuova realtà. Non c'è speranza in alcun modo. L'interiore e l'esteriore sono una cosa sola. Se ora sono separati è perché un nuovo modo di vita sta per essere introdotto.
C'è un solo regno nel quale l'interiore e l'esteriore possono ancora essere fusi, ed è il regno dell'arte. La maggior parte dell'arte rifletterà la morte che sta avendo luogo, ma solo gli spiriti più precoci possono fornire un' indicazione della vita che verrà. Proprio come i popoli primitivi continuano in mezzo a noi la loro vita di cinquanta o centomila anni fa, così gli artisti. Stiamo affrontando una condizione di vita assolutamente nuova. Un cosmo interamente nuovo dev'essere creato, e dev'essere creato dalle nostre isolate, separate parti viventi. Siamo noi, i bocconi indistruttibili di carne vivente, a formare il cosmo. Il cosmo non è fatto nella mente, da filosofi o metafisici, né è fatto da Dio.
Una rivoluzione economica non lo creerà certamente. E qualcosa che portiamo dentro di noi e che costruiamo intorno a noi: noi siamo parte di ciò e siamo noi che dobbiamo trasformarlo in essere.
Dobbiamo capire chi e che cosa siamo. Dobbiamo portarlo a compimento, sia nella creazione sia nella distruzione. Quello che facciamo la maggior parte del tempo è negare o desiderare. Mai, dall'inizio della nostra storia, della nostra storia occidentale, siamo stati desiderosi che il mondo fosse qualcosa di diverso da quello che è. Ci modifichiamo per adattarci a un' immagine che è stata un miraggio. Questa volta è giunta a esaurimento nel dubbio supremo. Siamo paralizzati; roteiamo sul perno del sé come dervisci ubriachi. Niente ci libererà se non una nuova conoscenza - non la veggenza socratica, ma l' accorgimento, che è conoscenza divenuta attiva.
Infatti, come Lawrence ha predetto, stiamo entrando nell'era dello Spirito Santo. Stiamo per abbandonare lo spirito del nostro io morto e stiamo per entrare in nuovo campo. Dio è morto. Il Figlio è morto. E noi siamo morti proprio perché questi ci hanno abbandonato. Non si tratta, in realtà, di vera morte, ma di Scheintot. Di Proust è stato detto da qualcuno che «era il più vivo tra tutti i morti». In quel senso siamo ancora vivi. Ma gli assi si sono rotti, i poli non funzionano più. Non è né notte né giorno. Né è crepuscolo. Siamo trasportati alla deriva con il flusso.

“la Repubblica”, 5 gennaio 2007

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