20.5.18

Tarda antichità. La disperata resistenza dei pagani (Eva Cantarella)

Sant'Agostino nella rappresentazione di Antonello da Messina
Lidia Storoni Mazzolani, ricostruendo l'incontro di Sant'Agostino con i pagani, propone all'attenzione e alla riflessione un problema storiograficamente trascurato e assai spesso sottovalutato, ma di fondamentale importanza nella storia occidentale quello dello scontro fra cristianesimo e paganesimo nei secoli della decadenza (e quindi della caduta) dell'Impero romano quando tutti, pagani e cristiani conoscevano l'angoscia di vivere in un mondo In cui erano crollate certezze che sembravano incrollabili (la grandezza di Roma e il suo destino di reggerei il mondo), e in cui la ricerca di nuovi valori era condizione della sopravvivenza sia individuale sia politica.
A partire dall'atteggiamento di Agostino verso i pagani, Lidia Storoni Mazzolani pone nella sua interezza, il problema di una società che a ben vedere, nonostante il cristianesimo fosse ormai religione ufficiale, era rimasta pagana in misura assai maggiore di quanto si sia soliti credere.
Le costituzioni imperiali non consentono molti dubbi in proposito. La loro lettura conferma che il paganesimo, come del resto è ovvio non scompare da un giorno all'altro: gli antichi culti continuarono ad essere praticati e la durezza della repressione imperiale sta a testimoniare della loro vivacità e - agli occhi del potere - della loro pericolosità.
Da un canto c'era chi accusava il cristianesimo di essere la causa principale della decadenza di Roma, dall'altra chi credeva che esso fosse la sola possibilità di riscatto collettivo. Agostino fu appunto colui che propose Cristo come fondatore della «nuova città», come risposta a tutti gli interrogativi dell'epoca, leggendo il suo messaggio (e questa fu la sua grandezza) in chiave non solo religiosa ma anche e soprattutto politica. Nessuna meraviglia, quindi, che Agostino pensasse che il paganesimo dovesse essere annientato. E nessuna meraviglia che la stessa cosa pensasse il potere imperiale, che da tempo tentava di imporre con la forza del diritto la nuova religione. Già nel 331 Costanzo aveva ordinato che contro «la demenza dei sacrifici» si applicassero le «pene adeguate» stabilite da suo padre Costantino. Nel 346 si stabilì più esplicitamente che chi osava compiere sacrifici fosse abbattuto «con la spada vendicatrice» (gladio ultore) Ma evidentemente la minaccia della pur definitiva sanzione non fu sufficiente: la pena di morte venne ribadita del 385, il divieto dei sacrifici (anche i più innocenti come «cingere un albero di sacre bende») venne riconfermato nel 392 e nel 399. Il 9 aprile del 399 Arcadio, Onorio e Teodosio stabilirono che «i pagani che sussistono, benché ormai riteniamo che non ve ne siano siano, tenuti a freno dal rigore delle leggi già promulgate». Ma evidentemente i pagani sussistevano. Due mesi dopo 18 giugno gli stessi imperatori furono costretti a ripetere «i pagani che tuttora esistono se colti nell'atto di compiere sacrifici benché passibili della pena capitale siano costretti alla confisca dei beni e all'esilio». Dietro le scarne disposizioni di legge si coglie la disperata «resistenza» pagana al tentativo di imporre il culto di Stato e i principi della mora le cristiana reprimendo ferocemente ogni comportamento contrario ai nuovi precetti. E a dimostrarlo basterà un esempio la durissima repressione dell omosessualità maschile tradizionalmente consentita e largamente praticata a Roma, colpita a partire da una costituzione di Costanzo e Costante del 342 da pene severissime come la castrazione e la vivicombustione comminate in nome della «natura» e di Dio che voleva il sesso limitato al solo rapporto eterosessuale in funzione procreativa.
Il libro di Lidia Storoni Mazzolani (Sant'Agostino e i pagani, Sellerio, 1988) è più di un libro dedicato alla pur rilevantissima figura di Agostino ricostruita in tutta la sua complessità. Come dicevo esso propone alla riflessione un problema fondamentale nonostante le ricerche di Brown, nonostante gli studi raccolti da Arnaldo Momigliano con il titolo Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV (traduzione italiana 1967), nonostante un libro come Paganism in the Roman Empire di MacMullen (1981). Esiste tuttora una lacuna storiografica una zona d'ombra nella quale è difficile cogliere le condizioni che da un tanto consentirono a una fede umile nata fra i poveri di conquistare le maggiori personalità dell'epoca e dall'altro tennero in vita (assai più a lungo di quanto si sia soliti pensare) la credenza in divinità antiche che non promettevano né resurrezione né immortalità ma continuarono ad essere adorate ad onta dei rischi che «la demenza del culto».

l'Unità, 27 gennaio 1988

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