22.5.18

Medicina e Shoah. Scienza di morte (Vittorio Lingiardi)

Joseph Mengele

Il quinto volume della collana «Sapienza per tutti» (Sapienza Università Editrice) raccoglie, per la cura di Silvia Marinozzi, quattordici contributi, lucidi e documentati, sul tema Medicina e Shoah. Tema dolorosissimo e necessario per portare conoscenza in quel luogo, mai abbastanza esplorato, dove i principi della medicina incontrano quelli della dignità umana. Raccontando la storia della sperimentazione nazista su soggetti umani, il libro documenta l’orrore delle teorie e delle pratiche eugeniche e consegna la tenebra di queste pagine di storia al dibattito bioetico e biopolitico. Come ricorda nell’introduzione il Rettore Eugenio Gaudio, il progetto del volume nasce con l’inaugurazione della mostra itinerante Medicina e Shoah. Dalle sperimentazioni naziste alla bioetica, organizzata presso il Museo di Storia della Medicina della Sapienza.
Un’iniziativa a sua volta collegata a un percorso didattico e formativo rivolto agli operatori sanitari e aperto agli studenti delle Facoltà mediche. Grande merito dunque ai colleghi, storici della medicina e medici, che, accettando di pensare l’impensabile, ci descrivono le sperimentazioni condotte nei lager nazisti e l’attuazione del programma Aktion T4. Oltre 200mila persone affette da malattie genetiche incurabili o disabilità mentale vennero uccise e 400mila furono sterilizzate senza consenso. Un sistema organizzato in cui gli umani erano trasformati in cavie per esperimenti e lo sterminio era legittimato dal fine di «purificare» la razza ariana e acquisire nuovi «dati empirici» per potenziare la preparazione bellica del nazismo.
Il processo di Norimberga, spiegano gli autori, ha avuto un ruolo importante nella normazione dell’attuale etica medica e della bioetica applicata. Il Codice di Norimberga, scrive Marinozzi, sancì i criteri di liceità della ricerca e mise a fuoco il concetto di consenso volontario come presupposto essenziale per una condotta moralmente accettabile nella sperimentazione su soggetti umani. Il Codice di Norimberga costituisce una sezione fondamentale della sentenza emessa dal tribunale militare americano che il 19 agosto 1947 condannò 23 medici nazisti, sette dei quali a morte, per aver condotto esperimenti rischiosi e letali sui detenuti nei campi.
Sulla base di un lavoro condotto soprattutto dallo psichiatra americano Leo Alexander - continua Gilberto Corbellini - il Consiglio degli Stati Uniti per i Crimini di Guerra propose «dieci criteri per giudicare l’ammissibilità della sperimentazione medica sull’uomo. Il primo, che è anche il principale, afferma che il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale». Impossibile render conto in poche righe della ricchezza e profondità dei contributi presenti in questo volume. Cito, tra gli altri, quelli di Umberto Gentiloni Silveri (Il nazismo e la soluzione finale) per la parte storica e di Livia Ottolenghi (Memoria ed Educazione) sul ruolo e il valore formativo della memoria. Medicina eugenica e Shoah insegna ai più giovani che la persecuzione degli ebrei durante il nazismo non può essere ridotta a una “pagina buia” della Storia; al contrario, può essere letta solo all’interno della lunga storia dell’antisemitismo e della disumanizzazione dell’altro.
Sono passati ottant’anni dal quel famigerato 1938 in cui il Gran Consiglio del fascismo pronunciò la dichiarazione sulla razza, annunciando le norme di persecutorie degli ebrei, e le rotative di Mussolini stampavano il primo numero della rivista “La difesa della razza”, dove Almirante scriveva: «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza». Oggi il concetto di «razza», peraltro del tutto infondato dal punto di vista scientifico, ricompare tristemente nel dibattito politico. Accompagnato da un lievitar di vendite del Mein Kampf, dove Hitler annunciava: «Lo Stato nazionale deve porre la razza alla base dell’esistenza generale». «A quanti hanno fatto della medicina una scienza della morte – scrive Gaudio nell’introduzione al volume – abbiamo risposto il 27 gennaio 2015, in occasione del settantenario della liberazione di Auschwitz, promuovendo la proposta di abolizione del termine razza da ogni lavoro scientifico e dalla nostra stessa Costituzione». La stessa richiesta stata rilanciata da Liliana Segre, sopravvissuta ai campi e da poco nominata senatrice a vita.

Il Sole 24 Ore Domenica, 25 febbraio 2018

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