10.5.18

Europa del Sud, il gioco al massacro contro le Ong. La frontiera liquida come arma delle destre (Andrea Palladino)


Migrazioni. Dietro la lotta alle organizzazioni umanitarie c'è un livello istituzionale, una convergenza parallela di interessi
È liquida la frontiera sud dell’Europa. È una linea più politica che geografica, un’arma brandita dalle destre identitarie europee e una moneta di scambio tra i governi securitari. Con l’Italia e la Francia in prima fila e con le milizie libiche pronte a contrattare.
Occorre partire dall’estate del 2017. La macchina della propaganda anti migrazione era pronta da mesi. Da marzo il comitato Schengen, presieduto nella XVII legislatura dalla forzista Laura Ravetto, aveva aperto il gioco al massacro contro le organizzazioni umanitarie impegnate nei salvataggi nel Mediterraneo centrale. Quando convoca il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro – il magistrato che sostiene giudizialmente l’esistenza di una complicità tra le Ong e i trafficanti libici – nello speech iniziale cita il video di un blogger ventitreenne, Luca Donadel, che ipotizzava il ruolo di «taxi del mare» delle navi umanitarie.
Tesi, questa, a sua volta proposta dal Thinktank sovranista nell’autunno del 2016. Subito dopo la commissione Difesa del Senato avvia un’indagine conoscitiva sulle Ong – con una competenza curiosa, vista la natura ovviamente pacifista delle organizzazioni umanitarie – dando ulteriore palco al procuratore Zuccaro.
Siamo a maggio. Il gruppo di estrema destra Generazione identitaria esordisce sullo scenario del Mediterraneo, tentando di bloccare con un gommone la partenza della nave Aquarius, di Sos Méditerranée. È l’inizio della campagna Defend Europe, che entrerà nel vivo nel luglio successivo.
Nel frattempo il ministro dell’Interno Marco Minniti prepara il codice di condotta per le Ong. È un insieme di norme quasi di natura privatistica – non passeranno mai per il vaglio parlamentare – che impongono alle navi umanitarie una serie di regole più simili alle forche caudine che a regole sensate. Nel sottotesto politico si legge la volontà di Minniti di battere i pugni sul tavolo, di far capire alle Ong che non sono gradite.
In questi ultimi mesi lo scenario si è ulteriormente aggravato. La frontiera sud dell’Europa di fatto viene affidata alla cosiddetta Guardia costiera libica, forza militare apertamente accusata dalla Nazioni unite di violazione dei diritti umani.
La consegna è talmente palese da rivelarsi goffa: sui fax dei libici appare il numero di telefono di un interno della Marina militare italiana, collegato direttamente con la nave Capri, di stanza fino allo scorso marzo nel porto di Tripoli. Sempre più spesso la Guardia costiera italiana affida ai libici i salvataggi dei migranti nel Mediterraneo centrale e la Ong Open Arms, che si rifiuta di consegnare i naufraghi, si ritrova con l’imbarcazione sequestrata dal procuratore Zuccaro. Con un’accusa pesante – poi caduta, almeno per il momento, davanti al Gip di Catania – quella di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I magistrati di Ragusa, che ereditano il fascicolo da Catania, decideranno per il dissequestro della nave fermata da Zuccaro, ma le indagini proseguono.
Mentre riprendono i naufragi, mostrando la fragilità della Libia, il concetto di frontiera come fortezza si sposta al nord. I migranti che tentano di attraversare le valli innevate diventano i nuovi nemici della destra identitaria, legata a doppio filo con la Lega di Matteo Salvini, da una parte, e con l’organizzazione di estrema destra francese Les identitaires, erede dell’Unione radicale sciolta nel 2002. Parte la seconda missione di Defend Europe, con due elicotteri, un aereo, suv e una logistica da milizia molto ben finanziata.
In Francia in queste ore si sta discutendo della revisione delle norme su asilo e migrazione e le azioni della destra radicale sulle Alpi punta a dettare l’agenda politica e a influenzare le scelte parlamentari. Timing, forte comunicazione e tanti soldi. Nel contempo in Italia si discute di alleanze e governi, con il Movimento 5 Stelle perno centrale. Anche in questo caso la pressione identitaria – che ha una sponda diretta in Matteo Salvini, ripresa e amplificata dalla stampa di destra – ha l’obiettivo immediato di influenzare politiche e decisioni degli stati.
Dietro i movimenti dell’estrema destra identitaria c’è però un livello molto più profondo, istituzionale. Una sorta di convergenza parallela di interessi. L’8 luglio 2016 il Consiglio d’Europa, la Commissione europea e il segretario generale della Nato firmano a Varsavia una dichiarazione congiunta, con le basi per una stretta collaborazione su temi ritenuti strategici.
Ancora una volta è la frontiera – a est e a sud – il tema politico, e militare, centrale. I migranti diventano questione di sicurezza nazionale: «Espandere e adattare il nostro coordinamento operativo al mare e sulla migrazione», scrivono il presidente del Consiglio europeo Donald Tunk, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg nell’accordo. L’esodo dai paesi africani, la fuga dalle guerre perdono ogni aspetto umano, l’Europa diventa la fortezza da difendere, gli umanitari il nemico interno.

“alias – il manifesto”, 5 maggio 2018

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