Nel 2004 Tiziano Terzani pubblicò Un altro giro di giostra, qualche mese prima che "il malanno" se lo portasse via, in luglio. Edoarda Masi lo recensì sul "manifesto" in aprile, ancora vivo l'autore, per cui il suo ragionare ha anche il carattere di un dialogo. Negli anni che da allora sono trascorsi ci ha lasciati anche la nostra cara compagna Edoarda, la sinologa cui siamo profondamente debitori di una lezione di intelligenza, di coraggio e di intransigenza. Proviamo perciò una nostalgia assai profonda per l'assenza dalla nostra vita culturale di due intellettuali coraggiosi e controcorrente, diversamente scomodi ed ugualmente onesti, merci rare in un tempo di conformismo e oppotunismo dilaganti. (S.L.L.)
Tiziano Terzani |
Dopo Lettere contro la guerra (2002), Tiziano Terzani ritorna con un grosso volume, Un altro giro di giostra (Longanesi, pp. 585, € 18,50): un lungo viaggio - in senso proprio e figurato; da Bologna a New York, in India, Thailandia, nuovamente negli Stati Uniti, a Hong Kong, e ancora in India, Filippine, Himalaya. Fino all'«Arrivo»: attraverso New York e Firenze, il ritorno in Himalaya. Nella storia di una malattia - punto forse il più sensibile e «privato» nella vicenda personale di ciascuno - l'autore si espone per intero: «Signor Terzani, lei ha il cancro». La soluzione ricercata è non necessariamente la guarigione definitiva, quanto piuttosto una via di pace con sé e nel mondo. Il soggiorno a New York è in funzione della cura in uno degli istituti più moderni e attrezzati a opera di eccellenti superspecialisti. Il resoconto analitico restituisce l'atmosfera dell'ambiente e coinvolge il lettore nella vicenda intima del protagonista. L'iniziale smarrimento di identità, il rovesciamento del proprio vedersi nel mondo, la ricerca di sé; nello stesso tempo, gli occhi aperti sulla realtà circostante, sulle persone che l'autore incontra, come sempre rappresentate con affetto e ironia (questa volta sono in primo luogo i medici e gli altri pazienti); e intorno, la città. Sono le pagine forse più belle del libro. Il dolore e la nozione della morte sono nel fondo, ma la narrazione appartiene alla vita, ci si ritrova partecipi fino all'identificazione. Nulla che si avvicini ai moralismi, stoicismi, piagnistei e melensaggini, o sadismi, che spesso accompagnano queste tematiche. È assente l'elemento morboso (fino al compiacimento) legato al soggetto, che conosciamo in pur grandi scrittori come Thomas Mann o Thomas Bernhard. Qui è l'uomo che si presenta con umiltà e semplicità, con le sue incertezze i suoi problemi, la pulsione a vivere e l'angoscia sotterranea.
Curato nel migliore dei modi e grato a quelli che chiama i suoi «aggiustatori» nuovayorkesi, è tuttavia insoddisfatto. E intraprende il lungo viaggio nei paesi asiatici che ben conosce, apparentemente alla ricerca di altri tipi di cura, «alternativi» rispetto alla medicina moderna convenzionale. La rappresentazione del «malanno» è concreta eppure figura d'altro; il viaggio vuole essere a un tempo metafora di un itinerario di trasformazione interiore, della visione del mondo e del modo di essere. E senza dubbio il lettore accompagna il protagonista per una strada di liberazione da molta zavorra, «occidentale» e «orientale», verso una condizione (relativamente) pacificata. Ma lo scrittore Tiziano Terzani appare fedele al sé di sempre, all'«anima fanciulla» (per dirla con un grande pensatore cinese) del reporter sincero e generoso che riesce a parlarci assai al di sopra della cronaca, già dai suoi grandi libri sul Vietnam, Giai Phong e Pelle di leopardo.
Ecco allora un grande reportage per mezzo mondo, ora drammatico ora quasi umoristico, su medici, santoni, guaritori, guru, istituti di cura i più svariati, diversi nei diversi paesi; e sulla numerosa e colorata fauna dei pazienti, in gran parte europei e nordamericani, ora visti con simpatia, ora messi in ridicolo. Una descrizione di luoghi e paesi e personaggi, a volte con momenti di vera poesia (specie nel rapporto col mondo della natura), a volte con divertimento (per esempio nelle pagine sulla commercializzazione dei rimedi tradizionali a uso del pubblico occidentale - che raggiunge l'apice dell'umorismo in alcuni brani sulle cure «alternative» in Thailandia).
In qualche misura la malattia e la ricerca di cure sono un pretesto per il resoconto-narrazione - come la predizione della possibile morte in aereo lo era stata per il viaggio attraverso mezza Asia in Un indovino mi disse. Ma il vero tema che sottostà all'intero racconto è quello del disagio nella società presente, dell'intollerabilità di un sistema di vita che ha disintegrato l'unità della persona e l'unità del complesso sociale di cui le persone fanno parte. La ricerca di una via d'uscita dal dominio esclusivo della totale mercificazione di ogni aspetto della vita, incluse le acquisizioni della scienza e della tecnica che pure ci rendono la vita più comoda e consentono anche di curare con una certa efficacia le malattie.
La ricerca si indirizza alla sfera che Terzani definisce «spirituale», o del «dominio della mente sul corpo». Non conta molto se (come accade a chi qui scrive e come accadrà a molti altri) non si è d'accordo sui concetti espressi in questi termini. E andrebbero trascurate dal lettore alcune imprecisioni, il dare per scontato un «Occidente» che, secondo la moda attuale, non distingue fra Europa e Stati uniti e omette la distanza, nonostante tutto, fra la civiltà europea e la sua figlia degenere Usa - nonostante il processo di colonizzazione in corso; e trascura che per resistere alla colonizzazione occorre puntare anche sul fatto che la grande tradizione culturale del vecchio mondo è euroasiatica - Europa e Asia inscindibilmente collegate. Sembra poi eccessivo l'atteggiamento di Terzani un po' troppo acritico verso il Tibet - a differenza dei suoi giudizi sull'India, dove l'amore non ostacola la critica. Si trova pure qualche battuta inaccettabile, come l'associazione di Mao e Pol Pot. Quanto al discorso su spirito e materia, anima e corpo, andrebbe osservato che nella civiltà cosiddetta moderna la dialettica dell'illuminismo (la «ragione», nel linguaggio dello stesso autore, che produce mostri non meno del suo sonno) conduce al punto estremo della razionalizzazione astratta, che si qualifica come una forma di esasperato idealismo, non certo come materialismo. Mentre in quel mondo asiatico preindustriale, dove (nonostante le diverse e divergenti visioni indiana e cinese) l'individuo è elemento del cosmo, e poi della comunità umana, e la mente è indirizzata a controllare il corpo, il pensiero di fondo è il più materialistico che possa darsi.
La separazione (o liberazione) della mente è l'aspetto contraddittorio e negativo proprio del buddhismo, religione della morte quanto il cristianesimo è religione della vita: proprio quello che Terzani alla fine riconosce non suo, in quanto occidentale moderno; ma che in realtà non necessariamente include l'intera visione del mondo «asiatica», specie se fra le civiltà dell'Asia consideriamo quella cinese (taoismo incluso). Tutto questo non conta molto (anche se amerei discuterne con Terzani). Giacché non tocca il senso profondo di questo libro, dove è molto chiara la percezione - già presente in Lettere contro la guerra - che la storia degli ultimi secoli, caratterizzata dall'espansione per tutto il globo del dominio (intellettuale, oltre che economico-politico-militare) europeo e poi nordamericano, ci ha portati al limite dell'autodistruzione - nonostante la parvenza del «progresso». Urge imboccare altre strade.
Nella ricerca appassionata di un'alternativa al vicolo cieco dove siamo giunti, Terzani chiede alle società tradizionali dell'Asia una salvezza che per quella via gli si rivela infine impossibile: o perché sono già coinvolte nel peggio della «modernità» e del «mercato», o perché le percepisce soggettivamente estranee al suo modo di essere di uomo «moderno». E continua, ripetutamente, in una oscillazione senza risultato fra quella «modernità» e quella «tradizione». Giacché non si tratta di una questione solo soggettiva. Se ne rende conto e lo riconosce esplicitamente, con grande onestà intellettuale. Come negli anni tardi la nozione di quanto di umano viene distrutto ci porta a volte a guardare con nostalgia agli anni dell'infanzia, così accade - in assenza per il momento di un'alternativa praticabile - di immaginare un ritorno (inutile e impossibile) al tempo precedente, quello del mondo contadino e del mondo magico. Ma Terzani mostra (e ridicolizza) la mercificazione nella quale la società industriale coinvolge lo stesso mondo magico, negandogli la sua stessa ragion d'essere. E arriva a chiedersi se non sia lui stesso parte di quella umanità che mette in ridicolo.
La via d'uscita va cercata con urgenza, ma chiaramente non può essere nella risurrezione delle società agricole tradizionali, ormai assorbite nel sistema del capitale, e tanto meno del mondo magico che esse esprimevano. Quanto all'ultimo rifugio nella solitudine, può offrire una pace solo temporanea a chi - come dice il grande poeta Nazim Hikmet - «ha il cuore di un peso rispettabile». Alle notizie di quanto accadeva in Afghanistan, Terzani è tornato fra gli altri col suo combattivo messaggio di pace.
"il manifesto", 23 aprile 2004
Nessun commento:
Posta un commento