Sul "manifesto", firmato F.L. (quasi certamente Francesca Lazzarato), questo magnifico profilo di una poetessa latino-americana di grande valore. (S.L.L.)
Molti la considerano la più grande poetessa argentina vivente, ma in italiano (lingua che conosce bene) non è mai stata tradotta, nonostante la vitalità di un'opera che il tempo non ha appannato e che, capace di elaborare il passato e di procedere verso il futuro con lievi e precisi aggiustamenti, ha continuato a svilupparsi con coerenza.
Dall'esordio nei primi anni '60 sino a un decennio fa, tuttavia, Juana Bignozzi è stata anche nel suo paese una poeta occulta, benché ammiratissima da quanti conoscevano le sue opere, in buona parte uscite da Libros de Tierra Firme, la casa editrice di José Luis Mangieri, che fu un punto di riferimento per diverse generazioni di intellettuali argentini.
A renderla in qualche modo «invisibile» sono stati anche i trent'anni trascorsi a Barcellona, dove si è guadagnata da vivere come traduttrice, finché nel 2000 la pubblicazione di tutta la sua opera, raccolta nel volume La ley tu ley (Adriana Hidalgo, pp. 278) l'ha proposta a un pubblico più ampio. Ma da qualche anno Juana Bignozzi è tornata a Buenos Aires, città dove è nata nel 1937 in una famiglia di operai anarchici di origine italiana che, nella loro quasi assoluta povertà, si ostinavano a considerare beni essenziali i libri, i giornali, il teatro («In questo, cioè nel ferreo disprezzo per l'ignoranza, consisteva l'aristocrazia operaia» dice Bignozzi in una recente intervista), ed educavano la loro unica figlia a essere padrona del proprio destino.
È stato a Buenos Aires che la giovane Juana ha aderito al partito comunista argentino (dai cui «disastri» e dalla cui «incapacità di capire il proprio paese» si è allontanata da anni, pur restando tenacemente di sinistra), ha cominciato a scrivere ed è entrata nello storico gruppo El Pan Duro fondato nel '55 da Juan Gelman, del quale facevano parte poeti molto diversi, ma uniti dalla decisione di autopubblicare le proprie opere e soprattutto di portare la poesia ovunque, prendendo contatto con sindacati, biblioteche popolari, scuole, università, per offrire conoscenza e pubbliche letture.
Personaggio straordinario e onnipresente, di grande cultura e opinioni decise, oggi la Bignozzi è forse il poeta più intensamente riletto dalle giovani generazioni insieme a Joaquín Giannuzzi e Leonidas Lamborghini (ormai scomparsi e, purtroppo, anch'essi ignoti in Italia), e la recentissima apparizione del suo ultimo libro, Si alguien tiene que ser después (Adriana Hidalgo, pp. 86) non ha fatto che confermare, secondo Jorge Fondebrider, la siderale distanza tra lei e quasi tutti i suoi contemporanei. Sostenitrice di una chiarezza e trasparenza quasi colloquiali, ma avversaria di una poesia tanto piana e scorrevole da apparire banale («voglio che quel che dico si capisca, ma non necessariamente che sia facile da capire»), Bignozzi resta fedele ai suoi temi fondanti, ossia l'arte, la poesia, il rapporto tra la storia politica collettiva e la vita privata, tra il «dentro» e il «fuori», sostenuti da uno sguardo incisivo, appassionato, ironico senza essere cinico, magnificamente originale nella sua inquisitiva ricerca di senso.
E conferma una volta di più il suo distinguo tra una poesia «politica» legata all'immediato e solo occasionalmente riuscita, e una poesia «ideologica», di idee e di riflessione, la cui necessità viene riaffermata attraverso una personalissima visione del mondo, legata ai miti dai quali è venuta («i miti tipici dell'anarchismo operaio... i miti culturali delle biblioteche, delle serate di studio dopo il lavoro... Sono cresciuta nei miti dell'arte, la cultura, i viaggi, l'opera... E da grande ho continuato a confermare o disfare i miei miti») e verso i quali torna a rivolgersi per guardarli alla «luce dell'età», la stessa che illumina i suoi versi e li rende ancora più potenti, consapevoli ed essenziali.
"il manifesto", 27 febbraio 2011
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