Nel segno dell'uncino
alla fine del novembre 1945, William L. Shirer, che negli anni Trenta
era stato il corrispondente del Columbia Broadcasting System da
Berlino e che nel 1941 aveva pubblicato in America un bellissimo
Diario berlinese, tornò in Germania e si recò a Norimberga
per assistere al processo a carico di ventun gerarchi del Reich
millenario appena sprofondato. Il processo era cominciato il giorno
20, esattamente quarant'anni fa. "Li avevo spesso osservati",
annota Shirer, "nell'ora della gloria e del potere, alle
riunioni annuali del partito che si tenevano in quella città. Al
tribunale internazionale, sul banco degli accusati essi presentavano
un aspetto assai diverso: avevano subito una vera metamorfosi. In
abiti piuttosto lisi, rannicchiati sui loro sedili e in preda a
un'agitazione nervosa, avevano di certo ben poco degli arroganti capi
di un tempo. Sembravano piuttosto un gruppo abbastanza uniforme di
esseri mediocri. Riusciva difficile immaginare che questi uomini,
l'ultima volta che li avevo visti, avevano nelle loro mani un potere
così mostruoso da dominare la propria nazione e conquistare gran
parte dell'Europa".
Chi fruga oggi, a
quarant'anni di distanza - una distanza che sembra siderale fino
all'irrealtà - nei materiali relativi a quel processo, ha la stessa
sensazione: un gruppo uniforme di esseri mediocri; e non ha voglia di
ricordare. Eppure in certi casi ricordare è doveroso, soprattutto ad
uso di coloro che allora non calcavano ancora questa terra. E dunque:
alle 22,10 del 21 maggio 1945 - la primavera del '45 fu tenera e
radiosa - la radio di Amburgo interruppe la trasmissione della
Settima sinfonia di Bruckner. Si udirono rullare tamburi
militari, e poi uno speaker annunciò: "Il nostro Fhrer, Adolf
Hitler, è caduto per la Germania questo pomeriggio nel suo quartier
generale delle operazioni, alla Cancelleria del Reich, combattendo
fino all'ultimo respiro contro il bolscevismo. Il 30 aprile il Fhurer
ha nominato come suo successore il grand'ammiraglio Doenitz. Il
grand'ammiraglio, successore del Fhurer, ora parlerà al popolo
tedesco...". Il popolo tedesco non venne a conoscenza, nei venti
giorni successivi, di ciò che stava succedendo; né sapeva che già
da tempo alcuni dei suoi capi, per esempio Goering e Himmler, stavano
in tutti i modi trafficando per contattare il comando alleato con lo
scopo principale di salvare la propria pelle personale. Ho riletto
ora nelle Memorie di Albert Speer la cronaca di quei venti
giorni: è una risibile e umiliante cronaca di intrighi e di
bassezze, non immaginabile nè a Londra nè a Mosca. Il popolo
tedesco seppe però che alle 2,41 del mattino del 7 maggio, nella
scuoletta di Reims, dove Eisenhower aveva installato il suo quartier
generale, l'ammiraglio Friedenburg e il generale Jodl avevano firmato
la resa incondizionata della Germania. Nelle due settimane
successive, il governo Doenitz si vanificò.
Siamo al 20 novembre: la
radiosa primavera è ormai lontana; sul cielo nero incombe il nero
inverno del Nord. A Norimberga, nella storica città di Norimberga,
contro il cielo nero si erge ancora il greve edificio di tre piani
chiamato Justizpalast, a cui è accostata la prigione. Al primo piano
c'è una grande sala decorata di marmo verde e di bassorilievi; le
finestre sono chiuse da saracinesche. Su un palco, in fondo, il lungo
tavolo dei giudici presieduti da Lord Lawrence; a destra i banchi dei
Pubblici ministeri delle quattro potenze vincitrici: Robert Jackson
(Usa), Roman Rudenko (Urss), Hartley Shawcross (Regno Unito), Franois
de Menthon, poi Champetier de Ribes (Francia). Dietro di loro, i
giornalisti e gli operatori delle "attualità"
cinematografiche. Il Tribunale militare internazionale sta per
cominciare i suoi lavori. Tuttavia, prima che il primo imputato sia
fatto entrare, prima che la prima parola sia pronunciata, bisogna
dire qualcosa su questo tribunale. L'idea di un tribunale
internazionale era già contenuta nell' articolo 227 del trattato di
Versailles e avrebbe dovuto funzionare contro i "criminali"
della prima guerra mondiale. Poi non funzionò, perché il primo di
quei criminali, Guglielmo II, si era rifugiato in Olanda; e gli
olandesi rifiutarono sempre di consegnarlo agli alleati. L'idea fu
ripresa a Londra nel 1941, poi formalizzata solennemente il 30
ottobre 1943, e infine prese corpo nello statuto (controfirmato l'8
agosto del 45) di un tribunale internazionale, che avrebbe dovuto
giudicare i "crimini contro la pace", i "crimini di
guerra", i "crimini contro l'umanità" commessi sia da
persone ("capi, organizzatori, istigatori e complici"), sia
da sei "organizzazioni" (dal governo del Terzo Reich alla
Gestapo). Questa iniziativa suscitò una lunga discussione e una
sterminata letteratura sulla sua legittimità giuridica. "Sì",
spiega Norberto Bobbio, "perché indubbiamente si applicava il
principio della retroattività, si applicava cioè una legge che non
era scritta al momento in cui i presunti crimini erano stati
commessi. Tuttavia bisogna dire che di fronte a certi misfatti
occorre fare appello alle leggi non scritte del cosiddetto diritto
naturale. Anche il diritto positivo, il diritto "posto"
(per esempio le leggi del Terzo Reich) deve sottostare a queste
leggi, quelle per cui Antigone si ribella al tiranno". È dunque
una questione etica prima che giuridica? "In certo senso sì,
una questione di etica generale".
Sono le 10,03 del 20
novembre, e il primo imputato viene fatto entrare. È Hermann
Goering, maresciallo del Reich, il capo più importante dopo il
Fhrer. In prigione è diminuito di molti chili e sta larghissimo
dentro l'uniforme priva delle sue innumerevoli decorazioni; il
comandante della prigione, il gigantesco e gioviale colonnello
americano Andrus, lo ha disintossicato a viva forza dalla morfina e
dalla paracodeina, che Goering era abituato a consumare in grande
quantità. Per tutto il processo, il "grosso Hermann"
dimagrito cercherà di essere all'altezza del suo ruolo: finalmente
quello del Numero 1. Poi entrano, sempre uno a uno, gli altri venti.
Sono solo venti perché gli altri si sono sottratti: Hitler,
Goebbels, Himmler e Robert Ley (il capo del Fronte tedesco del
lavoro) col suicidio, mentre il vice di Hitler, Martin Bormann, e il
capo della Gestapo, Heinrich Muller, si sono volatilizzati
nell'inferno berlinese. Ed eccoli qui, seduti in due file, ai loro
posti minuziosamente studiati: in prima fila, dunque, Hermann
Goering, accanto a lui il ministro degli esteri Joachim von
Ribbentrop, poi Rudolf Hess, che simula la pazzia, poi Wilhelm
Keitel, Alfred Rosenberg, Hans Frank, Wilhelm Frick, Julius
Streicher, Walter Funk, Hjalmar Schacht. In seconda fila, Karl
Doenitz, Erich Raeder, Baldur von Schirach, Fritz Saukel, Alfred
Jodl, Franz von Papen, Arthur Seyss-Inquart, Albert Speer, Konstantin
von Neurath, Hans Fritzsche. Manca Ernst Kaltenbrunner, perché ha
avuto una piccola congestione cerebrale, ed arriverà qui nella sedia
a rotelle tra qualche giorno. Già, ma chi sono, per esempio, Frank,
Frick e Funk? La labile memoria trattiene le immagini di Hitler, di
Goebbels, di Gring, dei demòni più spettacolari, ma ha obliterato i
macellai di seconda fila. Diciamo allora, sommariamente, che Hans
Frank era un giurista, che in molti modi si sforzò di creare un
"diritto positivo" nazista fondato sul principio che il
Fuhrer fosse l'unica fonte di legalità, che il 26 ottobre 1939 venne
nominato governatore generale della Polonia e che come tale eliminò,
cosa di cui egli si vanta anche nei 38 volumi del suo diario, circa
due milioni di ebrei. Diciamo che Wilhelm Frick era stato
l'amministratore generale del partito nazista, ministro degli Interni
dal 1933 al 1943 e poi protettore della Boemia e della Moravia, di
cui si era preoccupato di purificare sperma e sangue. Che Walter Funk
era stato il consigliere finanziario di Hitler, ministro
dell'economia e poi presidente di quella Reichsbank, nei cui forzieri
vennero poi trovati, tra l'altro, milioni di denti d'oro strappati
alle vittime di Auschwitz... Comparse, ma che comparse!
Non è possibile qui
tributare a tutti quei ventun signori l'onore di una scheda. Tutti
immaginavano, per dirla con le parole di Goering, che di lì a
cinquant' anni il popolo tedesco avrebbe reso omaggio alle loro
spoglie chiuse in sontuosi "sarcofaghi di marmo".
Fortunatamente, non sembra che possa essere così. All'inizio del
processo, tutti quei signori si dichiararono "non colpevoli",
o almeno non colpevoli "nei termini dell'accusa". Tutti
salvo uno: Albert Speer, che rispose tranquillamente, e nella
costernazione dei suoi coimputati: "Schuldig". Le strategie
difensive furono assai diverse, ma tutte fondate sull'elusione e sul
tentativo di far ricadere le colpe sugli altri, magari sul vicino
ch'era seduto lì. Ma legittimo o illegittimo che fosse, il tribunale
aveva fatto un buon lavoro. Il processo di Norimberga fu soprattutto
un processo di documenti: ne furono esibiti 5330 dall'accusa e dalla
difesa. Siccome i capi nazisti, che avevano lavorato per l'eternità,
avevano minuziosamente fatto stenografare tutti i particolari delle
loro gesta, non era stato troppo difficile mettere insieme una
documentazione che si rivelò per loro fatale. Il processo di
Norimberga fu inoltre un processo di testimoni: 116 furono
interrogati (tra gli altri, il maresciallo von Paulus, sconfitto a
Stalingrado, e il comandante di Auschwitz) e 143 deposero per
iscritto. Infine la corte ebbe modo di studiare circa 300.000
"affidavit", cioè dichiarazioni scritte sotto giuramento.
Di tutti questo, l'accusa
seppe fare un uso adeguato. È interessante, interessante quanto
deprimente, seguire nei documenti il comportamento degli imputati.
Sfortunatamente i verbali coprono 16.000 pagine, ma tutto questo
materiale è stato studiato di recente dal magistrato francese Serge
Fuster (Casamayor), e abbastanza ben riassunto in un volume di Arkadi
Poltorak edito in italiano da Teti, e in altre numerose
pubblicazioni. Di estremo interesse è inoltre un vecchio libro
intitolato The Nuremberg Diary, scritto da un ufficiale
americano, il dottor Gilbert, che era uno psicologo funzionario
dell'Internal Security Office e che aveva dunque la facoltà di
conferire ad ogni momento privatamente con gli imputati. Anche qui:
ci si aspetta chissà cosa, dalla psicologia di quei demòni. Invece
è tutta acquetta: risentimento, astio, invidia, rabbia retrospettiva
verso il vicino, pattume quotidiano, niente eternità. Goering decise
di negare tutto: non era mai stato antisemita, non aveva mai saputo
di cosucce come Dachau, era sempre stato pacifista...
I documenti e i testimoni
dimostrarono che aveva commesso crimini di guerra tra il 1914 e il
1918, che aveva stabilito a partire dal 1927 i principali contatti
tra il partito nazista e l'alta finanza, che nel 1933 aveva
organizzato il famoso incendio del Reichstag, che poi aveva inventato
le leggi speciali contro i comunisti, che nello stesso 1933 aveva
organizzato la "notte dei lunghi coltelli" per eliminare l'
avversario Ernst Rhm, che nel 1938 aveva organizzato la famosa
"Kristallnacht", in cui migliaia di negozi ebraici vennero
distrutti e saccheggiati in tutta la Germania, che aveva contribuito
al progetto della "soluzione finale", che aveva progettato
l'annessione dell' Austria e della Cecoslovacchia nonché l'invasione
della Polonia, che era al corrente e che anzi aveva stimolato il
"lavoro" dei campi di sterminio... L'interrogatorio di
Goering durò dieci giorni, rivelò intrighi, furti, nefandezze che
nemmeno Bertolt Brecht sarebbe riuscito a immaginare. Del potere
politico, che contiene sempre qualche dose di criminalità, Gring
rappresentava sfrontatamente la criminalità allo stato puro, e da
questo punto di vista è ancora oggi di un interesse estremo.
Kaltenbrunner - e chi era Kaltnbrunner? - arrivò sulla sedia a
rotelle il 10 dicembre. Impressionò subito la corte e i giornalisti
non solo perchè era un gigante ossuto e munito di una formidabile
mascella, ma anche per la sua dichiarazione: "Approvo di tutto
cuore l' idea che lo sterminio dei popoli deve essere condannato come
criminale da un accordo internazionale, e severamente punito".
Quando Hitler era morto ed era cominciato il fuggi-fuggi dei
gerarchi, lui si era rifugiato nella roccaforte di Altaussee, aveva
trasformato un albergo in ospedale per le SS ferite e lì si era
mimetizzato con l' idea di farsi fare una plastica facciale. Ma
timoroso di essere scoperto, si era poi avviato a piedi su per le
Alpi e aveva trovato rifugio in una baita nella neve. Lì venne
arrestato, perchè era stato tradito dal famoso Otto Skorzeny, il
liberatore di Mussolini. Ma chi era, Kaltenbrunner? All'inizio era
stato un avvocato viennese entusiasta dell' Anschluss. Alla fine era
stato il direttore dell' RSHA, l'Ufficio centrale di sicurezza del
Reich, da cui dipendevano la Gestapo, l' SD e la polizia criminale.
In pratica, il secondo di Himmler, non meno potente di lui, il
signore di Auschwitz, di Mauthausen, di Treblinka e degli altri noti
santuari del Terzo Reich. Quando iniziò la sua deposizione, tutti
gli altri imputati gli voltarono la schiena. E che disse
Kaltenbrunner nella sua deposizione a quel processo che approvava "di
tutto cuore"? Disse che di tutte quelle cose lui non sapeva
niente... Come ho già detto, l' unico imputato che si dichiarò
colpevole fu Speer. Disse anche, impressionando il tribunale, di aver
pensato di ammazzare Hitler, ma di non esserci riuscito. Nelle sue
Memorie (edite da Mondadori), spiega a lungo il suo atteggiamento.
Speer, che era stato l' "architetto di Hitler" e poi il suo
ministro degli Armamenti, è forse il più noto dei gerarchi nazisti
perchè era il più giovane e perchè a Norimberga venne condannato a
soli vent' anni di prigione. Li trascorse a Spandau insieme con Hess;
ne uscì nel 1966 e fu prodigo di libri e di interviste. Piaceva alla
stampa occidentale perchè era intelligente, elegante e
"democratico"; Io stesso ebbi purtroppo l' occasione di
intervistarlo. Mi ricordo che durante l' intervista nella sua bella
casa sulla collina di Heidelberg, gli rumoreggiava l' intestino, e
che quel brontolio a me pareva come l' ultima eco del Wahlhalla
nazista. Mi disse, con intelligenza e cortesia un bel po' di
banalità. Io me ne andai con la sensazione di aver parlato col
peggior figlio di puttana che avrei mai incontrato nella vita, di
essermi imbattuto nell' intelligenza più viziosa che si possa
immaginare. Quando fu il suo turno, Speer negò. Ammise di avere
sfruttato mano d' opera prigioniera nell' industria militare, ma
disse di non aver mai saputo dell' esistenza dei campi di sterminio.
Sfortunatamente, il pubblico ministero sovietico, Rudenko, demolì a
furia di fotografie le sue argomentazioni e lo ricacciò con
ignominia nel mucchio dell' "uniforme mediocrità"... Non
parleremo qui di tutti gli altri. Il processo ebbe 403 udienze,
consumò cinque milioni di fogli di carta, pari a 200 tonnellate,
27.000 metri di pellicola e 7.000 lastre fotografiche. Al processo
vennero esibite teste mummificate, saponette fatte con ossa umane,
lampade di pelle, sempre umana, documentari terrificanti... Quando
venne un altro autunno e il cielo nordico di nuovo si oscurò, il 1
ottobre 1946, il processo era finito. Il tribunale emanò dodici
condanne a morte per impiccagione (Gring, Ribbentrop, Keitel,
Rosenberg, Kaltenbrunner, Frick, Streicher, Saukel, Jodl,
Seyss-Inquart e Bormann contumace), tre ergastoli (Hess, Funk e
Raeder), quattro condanne a pene detentive (Schirach, Speer, Neurath
e Dnitz). Incredibilmente mandò assolti Schacht, Fritzsche e quel
von Papen, che all' ascesa di Hitler aveva contribuito con tutte le
arti del "politico borghese" e dell' intrigante. Gring si
suicidò col cianuro due ore prima dell' esecuzione. Le altre
sentenze capitali furono eseguite a partire dall' 1,11 del mattino
del 16 ottobre. Il primo fu Ribbentrop, l' ultimo fu Seyss-Inquart.
Erano le 2,48 e nevicava. Il boia americano, John C. Woods, Texas, si
compiacque di essersela sbrigata in meno di cento minuti. Chiedo a
Bobbio: "Problemi giuridici a parte, se lei che è professore di
filosofia del diritto fosse stato invitato a partecipare a quel
processo, avrebbe accettato?". Risposta: "Con la passione
di allora, certamente sì. Non posso dimenticare la scoperta di quel
demonismo nella storia. Spesso mi dico che ho avuto la ventura di
vivere, da uomo già maturo, un' esperienza che mi ha segnato per
sempre. E ogni tanto, come in un soprassalto, vengo preso dal terrore
che tutto si ripeta".
“la Repubblica”, 19
novembre 1985