Nel 1988 “L'Unità”,
al tempo diretta da Massimo D'Alema, pubblicò come supplemento un
libretto dal titolo Primavera indimenticata in occasione della
visita di Dubcek in Italia, che vide il conferimento al leader della
“primavera di Praga” di una laurea ad honorem all'Università di
Bologna e di un incontro, molto emozionante, ad Assisi, venti anni
dopo il tentativo di grande riforma del socialismo, poi stroncato con
i carri armati. Si trattava di una scelta di un certo valore
politico, perché, se è vero che a Mosca era in pieno sviluppo la
Perestrojka di
Gorbaciov, a
Praga gli eredi della “normalizzazione” erano molto restii ad
accoglierne le novità. Sappiamo come andò a finire, a Mosca come a
Praga.
Le riforme di Gorbaciov erano in verità “fuori tempo
massimo”. L'ultima possibilità realistica di una “grande
riforma” del socialismo reale era stata appunto la primavera
cecoslovacca, soffocata dall'intervento dei “cinque paesi del Patto
di Varsavia”.
Nel
supplemento de “l'Unità” trovavano posto le note di
verbalizzazione che Giuseppe Boffa raccolse durante l'incontro tra
Alexander Dubcek, segretario del Partito Comunista Cecoslovacco e
Luigi Longo, segretario del Partito Comunista Italiano. Chi avrà la
pazienza di leggere scoprirà di trovarsi davanti a due rivoluzionari
di grande spessore: apertura mentale, coraggio, attenzione a tutti
gli elementi della situazione erano doti comuni ad entrambi. Si
sbagliarono, non valutarono fino in fondo la refrattarietà al
cambiamento dei capi sovietici, l'ottusità che finì per perdere
l'Urss. Longo, alla notizia dell'invasione, il 21 agosto del 1968,
ispirò una condanna senza se e senza ma da parte del Pci. Era anche
un occasione per il partito italiano, la possibilità di fare davvero
e fino in fondo i conti con lo stalinismo; e invece, dopo la tenuta
dei primi giorni, il Pci si impantanò, si illuse in un accordo che
mantenesse viva almeno qualche conquista della “primavera” e
nulla fece per sostenere la resistenza cecoslovacca alla
“normalizzazione”. E la denuncia di tutto ciò sul mensile “il
manifesto” appena nato (l'articolo Praga è sola)
fu tra le ragioni della radiazione dei promotori di quella iniziativa
politico-editoriale. (S.L.L.)
L’incontro fra Luigi
Longo, segretario del Pci, e Alexander Dubcek ebbe luogo a Praga il 6
maggio 1968. Fu lo stesso Longo a chiedermi di prendere nota della
conversazione per la stesura di un eventuale verbale. Quelle note
sono la fonte del testo qui presentato.
Dopo il colloquio fu
offerta ai compagni italiani ma colazione nell’edificio dell’antico
convento dei barnabiti: ad essa erano presenti anche altri tre fra i
più noti dirigenti della «primavera» praghese, Smrkovski, Cemik e
Cisar. Longo ebbe poi occasione di incontrare anche l'economista Ota
Sik e Gustav Husak. La visita a Praga fu coronata da una grande
conferenza stampa e da un ’intervista al quotidiano del Pcc, “Rude
Pravo”. (Giuseppe Boffa)
Presenti: per il Pc
cecoslovacco, Dubcek, Lenart, Kaderka; per il Pc italiano, Longo,
Boffa.
DUBCEK: propone
che ognuno faccia una sua esposizione, cui seguiranno discussione e
domande.
LONGO: è
d’accordo.
DUBCEK: dà il
benvenuto. Si rallegra di vedere Longo così giovanile. Del resto, le
differenze fra marxisti non dipendono tanto dalla diversità di
generazioni, ma dal modo di intendere il movimento presente della
società e lo stato attuale del pensiero socialista. Anche giovani di
età possono essere vecchi da questo punto di vista.
Nelle sessioni del
Comitato centrale di ottobre e dicembre abbiamo affrontato problemi
ormai maturi nel nostro partito e nella nostra società. Era
necessario il cambiamento per ridare respiro a tutta la vita del
Partito e far valere la sua guida nelle nuove condizioni. Non si
tratta di stabilire se il Partito deve o no guidare il paese. La
nostra esperienza ci dice che sono importanti i metodi con cui si
cerca di affermare meglio questo ruolo. Vogliamo estendere
innanzitutto la democrazia nel partito perché questo è il problema
essenziale: ogni iscritto deve sentire una responsabilità, non solo
per l’applicazione della linea ma anche per la sua formazione. È
questa la condizione per cui tutti siano attivi, tutti sentano che
nel Partito conta la loro opinione. Assai importante è anche il
rapporto fra noi che lavoriamo nel Partito e i compagni che lavorano
all’esterno, ad esempio nelle organizzazioni giovanili o sindacali.
Non possiamo impartire noi le ricette secondo cui debbono operare:
dobbiamo stabilire insieme una linea di comportamento in stretto
contatto con loro. Se non conosciamo come la pensano, possiamo fare
fallimento, così come è successo nell’attività economica, tra la
gioventù e altrove. Essenziale è elaborare con loro la politica da
svolgqrre nelle condizioni specifiche del loro lavoro.
Veniamo ai nostri
rapporti con gli altri partiti del Fronte nazionale. Sono cinque.
Esiste la possibilità che, se anche hanno caratteristiche diverse
dalle nostre, specie per la loro ideologia, continuino a restare
uniti e ad unirsi con noi in base ai comuni interessi dei lavoratori
per la costruzione del socialismo. Quale che sia la loro tendenza,
tutti vogliono che si viva meglio. Intendiamo quindi consolidare il
Fronte nazionale come organizzazione comune. Non so se ci riusciremo,
ma sono ottimista. Finora possiamo ritenere che la nostra politica
sia giusta.
Alcuni compagni esprimono
preoccupazioni, talvolta giustificate. Vi sono infatti tendenze che
mirano non all’unità, ma a creare una piattaforma di opposizione
contro il Partito comunista. Ora, sviluppare una dialettica nel
Fronte e dar vita ad una opposizione sono cose ben diverse. C’è
una tendenza della piccola borghesia per tornare alla repubblica
antecedente Monaco. Lo comprendiamo. Ma non vogliamo un’opposizione
politica contro il partito, cioè l’apertura di una lotta per il
potere politico. Questo ci riporterebbe alla situazione che c’era
prima del febbraio ’486. Certi elementi antisocialisti avrebbero la
possibilità di costituirsi in opposizione politica contro lo stesso
Fronte e quindi di scontrarsi col Fronte. Per questo cerchiamo di
chiarire che non si tratta di creare un’opposizione decisa a
togliere il potere al partito, ma di dar vita ad una dialettica nel
Fronte, pur restando uniti in base al comune interesse per il
socialismo. Se ciò è chiaro, a questo punto non è importante che
il partito popolare sia di ispirazione cristiana e noi marxisti.
Essenziale è che entrambi si stia con fermezza per gli interessi dei
lavoratori e il consolidamento del socialismo. Vogliamo più
possibilità di democratizzare tutta l’attività dello Stato
socialista. Vogliamo unità tra socialismo e democrazia: questo è
quanto deve scaturire dal socialismo. Prepariamo la federazione fra
cechi e slovacchi per risolvere il problema del loro rapporto. È
necessaria l’uguaglianza fra le due nazioni. Ci sono nel nostro
paese anche più piccole minoranze nazionali. È difficile
organizzare la loro autonomia territoriale perché non ci sono
territori omogenei: le popolazioni sono mischiate. Pensiamo quindi di
dare a queste minoranze l’autonomia culturale.
Non pretendiamo che le
nostre soluzioni siano modelli per altri paesi. Si sono fatti errori
in passato. Si diceva: il migliore modello è quello jugoslavo. I
sovietici invece vantavano il loro. I cinesi dicono: questi europei
non si comportano bene, devono essere rivoluzionari come noi. Non
faccio polemiche. Dico solo che quando si presenta il proprio
specifico come ricetta per gli altri, si viene meno proprio a quel
che di specifico dobbiamo fare.
Per noi, se possiamo
contribuire al patrimonio comune con la soluzione dei nostri problemi
specifici sarebbe già sufficiente. Nessuna soluzione può essere
trapiantata in altri paesi. Il cappello va scelto a misura della
testa.
Le decisioni del Comitato
centrale sono state approvate in tutte le conferenze distrettuali e
regionali. È un periodo complicato per il nostro partito. Quando si
cambiano metodi e forme di attività, ciò comporta sempre difficoltà
ed eccessi. Il nostro programma di azione ha fornito le indicazioni
fondamentali. Quello è ciò che vorremmo fare. Ma le buone
intenzioni devono sempre farsi valere in lotta contro qualche cosa.
Da una parte ci sono motivi che sono invecchiati (non solo sbagliati,
ma superati) nel nostro partito. Ci sono coloro che chiedono più
disciplina, vorrebbero avere tutto nelle loro mani: dirigere così è
più facile, richiede meno fatica. D’altra parte, la nostra
democratizzazione del partito e dello Stato, la possibilità di
creare nuove organizzazioni, tutti questi elementi innovativi
introdotti nella nostra società creano anche possibilità per la
manifestazione di quei gruppi che vorrebbero dar vita ad una
opposizione e non sempre da posizioni socialiste. I ventitré anni
trascorsi dal 1945 non sono un periodo lungo. Abbiamo quindi a che
fare con la resistenza politica di chi vede la democrazia con occhi
prebellici. La democrazia come la vogliono loro (anche se non sempre
lo dicono, ma già noi lo avvertiamo) sarebbe la possibilità di
organizzarsi per una serie di forze che in questi ventitré anni non
sono sparite: penso non solo ai vecchi proprietari, ma ai loro figli,
agli esponenti dei vecchi partiti borghesi, socialisti nazionali e
popolari, soprattutto in Boemia, meno in Slovacchia. Se queste forze
potessero sfruttare a loro modo le nostre buone intenzioni
finirebbero in realtà per stimolare una reazione contraria al nostro
processo di democratizzazione.
Noi sappiamo di non
poterci fermare a metà strada. Dobbiamo andare avanti. Ma i nostri
passi dipendono anche dalla misura in cui le forze avversarie possono
organizzarsi e trovare appoggi all’esterno, nell’emigrazione,
oltre che dalla misura in cui le agenzie imperialistiche possono
tentare di sfruttare a loro vantaggio la situazione interna
cecoslovacca. Se noi sappiamo trovare una via democratica al
socialismo, queste forze non ne proverebbero certo piacere. Esse
hanno anche una piattaforma legale che si fonda su due fattori: il
primo è la correzione che noi stessi facciamo dei nostri errori; il
secondo sono le cose sbagliate che noi abbiamo commesso, le
violazioni passate dei metodi democratici nel partito e della stessa
legalità statale. La Cecoslovacchia è uno dei paesi che ha più
sofferto per le repressioni. Noi cerchiamo di mettere tutto in
chiaro, ma non siamo interessati ad esasperare passioni e
risentimenti.
Questi temi sono seguiti
con particolare attenzione all’estero, dove si cerca di
drammatizzare ogni cosa per coinvolgere nella condanna l’intero
partito. Gli avversari cercano di dire che tutto il partito non vale
niente, che ci vuole un nuovo partito, che occorre una nuova politica
con uomini nuovi, che tutti coloro i quali hanno lavorato per il
socialismo non hanno le mani pulite. Ciò può influenzare
soprattutto le nuove generazioni, non quelle intermedie. Tali
tendenze sono il più grave ostacolo per i nostri programmi. Si cerca
anche di organizzare provocazioni per costringerci a prendere misure
repressive e poi dire: vedete, è stato tutto un fenomeno passeggero.
Si cerca il conflitto per farci tornare indietro, sapendo che ciò
sarebbe molto svantaggioso per noi.
Qualcosa sull’attività
della Chiesa. Vogliamo rispettare ampiamente tutti i diritti
religiosi. Non possiamo permetterci misure amministrative contro la
libertà di culto. Che dobbiamo però constatare? C’è una tendenza
a rivedere i rapporti fra la gerarchia ecclesiastica e lo Stato. Vi
sono due modi di intendere la separazione fra Chiesa e Stato. Questo
è qualcosa di specifico per il nostro paese. Il nostro Stato ha nel
suo bilancio le spese per la Chiesa. L’istruzione religiosa non
viene fatta nelle scuole pubbliche, ma organizzata dalla Chiesa. Lo
Stato deve esprimere il suo accordo per la nomina dei vescovi. La
nostra posizione è dunque la seguente: fate quello che volete, ma
siate leali verso il nostro Stato; massima libertà alla religione,
ma niente attività contro lo Stato e il suo governo. Al socialismo
non nuoce se la gente va in chiesa o se la Chiesa insegna ai bambini
la religione. Non bisogna però agire contro di esso. Se il problema
è quello della libertà religiosa, allora tutte le possibilità sono
aperte.
Noi faremo di tutto
perché le nostre due nazioni, Ceca e Slovacca, restino saldamente su
basi socialiste. Se qualcuno volesse invece minacciare il potere
popolare e i risultati della nostra rivoluzione, opporremo una
resistenza non soltanto a parole. Ci spiacerebbe, è vero, perché
questo comprometterebbe i nostri propositi.
Dobbiamo restare su
posizioni internazionaliste. Faremo di tutto per unire gli sforzi dei
paesi socialisti e dei partiti comunisti. Sappiamo che non solo la
nostra posizione geografica, ma anche la storia del nostro paese
danno a noi maggiori possibilità di esercitare un’influenza sullo
sviluppo del socialismo in Europa. La Cecoslovacchia ha sempre avuto
buone relazioni con l’Europa centrale. Certe influenze possiamo
averle meglio noi che non, poniamo, i bulgari o i sovietici. La
nostra politica è nell’interesse dell’unità di tutti i paesi
socialisti. Non è diretta contro di loro. Vorremmo anche dare un
contributo all’unificazione del movimento operaio e rivoluzionario
internazionale. Ci separa ancora molto tempo dalla conferenza9.
Crediamo di dover agire in modo da potervi portare un nostro
contributo. Di qui si può arrivare ad una opinione comune. Dal punto
di vista di classe l’avversario è lo stesso.
Pensiamo sia necessario
riunirsi per discutere con gli altri paesi socialisti i tratti
specifici della politica di ognuno: non per imporli agli altri, ma
per farli conoscere per quello che realmente sono. Quando abbiamo
fatto i grandi cambiamenti nel governo e nella direzione del partito,
eravamo comunque tutti d’accordo che la cooperazione economica e
politica con l’Urss è per noi basilare. Siamo tornati ieri da
Mosca. Eravamo un gruppo tutto composto da uomini nuovi. Abbiamo
discusso e chiarito una volta di più il nostro orientamento di base.
Posso dire che per il nostro popolo l’atteggiamento verso l’Urss
è sempre una questione essenziale. Le speculazioni dell’occidente
che ci fa complimenti al fine di indebolire i nostri legami politici,
economici e militari con l’Urss non avranno successo: non
indeboliamo e non indeboliremo questi legami. Per noi non è
indifferente sapere che sul nostro confine ci stanno l’esercito
americano e uno dei più forti eserciti europei. Sappiamo quanto
sarebbe facile per loro utilizzare provocazioni che venissero
organizzate nel nostro paese, tanto più che dal ’46 non c’è un
solo soldato sovietico in Cecoslovacchia. Per questo è tanto
ingiusto dire che il nostro ’48 sarebbe stato fatto con l’aiuto
dell’esercito sovietico. I nostri rapporti con l’Unione Sovietica
e con gli altri paesi socialisti hanno una base solida. Siamo
internazionalisti e vogliamo dare un contributo alla causa comune.
I nostri ostacoli
dipenderanno anche dal fatto se ci lasceranno lavorare in pace oppure
no. In ciò che accade da noi c’è qualcosa di comune con i
problemi che dovettero essere affrontati nel ’56 in Polonia e in
Ungheria. Guidare in questa fase il partito e il paese senza le
scosse che si ebbero in Ungheria e in Polonia sarebbe già un grosso
successo. Vogliamo esserne capaci. Ma questo non è il nostro
obiettivo ultimo. Vogliamo contribuire sempre più allo sviluppo
della democrazia socialista. Vogliamo essere all’avanguardia dello
sviluppo democratico, alla testa del movimento reale che si manifesta
nel paese, perché non possiamo lasciare che questo movimento cada in
altre mani.
Poche cose sui problemi
minori. Per anni si sono chieste votazioni segrete nel partito. La
direzione aveva sempre risposto in modo negativo, richiamandosi alle
tradizioni. Eppure è una questione importante. Essa ha contribuito
ad esempio ad alimentare la crisi e l’arbitrio personale nelle
questioni nazionali. Ancora un anno fa non abbiamo potuto ottenere
che Bratislava fosse la capitale della Slovacchia, dopo che già lo
era stata nella prima repubblica. Oppure ogni due o tre anni si
riducevano le competenze degli organi istituzionali slovacchi, il che
contrastava con lo sviluppo socialista del nostro popolo.
L’arbitrio soggettivo
ha molto ridotto l’autorità del nostro partito. Per molti problemi
mancavano analisi fondate e oggettive. Si sono fatte affermazioni
esagerate. Ad esempio, che la nostra generazione avrebbe visto il
comunismo, oppure che il livello di vita delle campagne sarebbe stato
nel ’70 uguale a quello delle città, oppure ancora che nel ’70
avremmo risolto completamente il problema degli alloggi. Sono tutte
cose proclamate senza consultare largamente neppure i più attivi fra
i comunisti. Perciò le correzioni che noi oggi introduciamo possono
essere sfruttate anche dagli avversari: in qualche caso perché è
proprio ciò che si vuole, in altri casi, specie tra i giovani,
perché non si capisce bene.
Tra di noi molti
accettano male il fatto che la radio e la televisione presentino a
volte il nostro passato in tinte tutte oscure. Noi stessi diciamo a
chi lavora in questi organismi: non possiamo trascurare tutto ciò
che è stato fatto in questi venti anni. Alcune trasmissioni della
radio e della televisione portano acqua al mulino degli avversari.
Fra una parte della popolazione è diventata opinione corrente l'idea
che quanto più si rinnega il passato, tanto più si aiuta il partito
ad operare meglio per il futuro. Certo, noi vogliamo correggere i
nostri errori, ma con questo non si esaurisce il nostro programma.
Questo è volto soprattutto a farci andare avanti.
In sintesi, volevo
dimostrarvi che lavoriamo in una situazione complessa: agli indirizzi
positivi che abbiamo scelto si intrecciano anche fenomeni negativi.
Ma posso assicurarvi che non indeboliremo le tradizioni socialiste
nel Partito comunista cecoslovacco. Così come non indeboliremo i
nostri rapporti con il Partito comunista italiano.
LONGO: Ringrazia
per l’informazione del compagno Dubcek, che ci ha dato un’idea
più ampia e precisa della situazione, anche con i suoi problemi e le
sue difficoltà. Noi diamo un apprezzamento molto alto dell’indirizzo
rinnovatore scelto dall’attuale direzione del Partito comunista
cecoslovacco e dei suoi sforzi per superare difficoltà e pericoli.
Questi ci sono sempre in ogni momento di svolta profonda. Crediamo
inoltre che difficoltà e pericoli vengano anche dal ritardo con cui
determinati problemi sono stati affrontati. Ma crediamo anche che la
via scelta sia la sola che consenta di superarli, sia pure a costo di
pagare un prezzo, perché ulteriori rinvii possono soltanto aggravare
la situazione e farla sfuggire di mano.
Le esigenze cui cercano
di rispondere i compagni cecoslovacchi vanno al di là delle
particolarità di un singolo paese. Certo, in ogni paese esse hanno
aspetti contingenti. Noi le consideriamo però come un prodotto dello
sviluppo del socialismo, un suo passaggio ad una fase superiore, che
pone nuovi problemi non solo per la direzione economica e politica,
ma per tutti i rapporti tra governo e masse. Non è nemmeno un caso
che oggi vi siano spinte per modificare i rapporti fra potere e masse
sia nei paesi socialisti che in quelli capitalistici. È una
conseguenza dello stesso sviluppo tecnologico che ha accentuato la
alienazione. È un compito che si risolve nei paesi capitalistici
rivendicando maggiori libertà e nei paesi socialisti estendendo la
partecipazione al potere.
Noi pensiamo che il
socialismo sia una condizione di libertà. Senza di esso le libertà
sono svuotate del loro contenuto. A questa condizione, i paesi
socialisti possono non soltanto dare un contenuto concreto alle
libertà classiche, ma arricchire in tutti i settori il socialismo
con nuove libertà. Nelle nostre condizioni noi siamo per un
pluralismo di forze e di contributi. Lo concepiamo non solo e non
tanto come pluralismo di partiti, anche se nelle nostre condizioni
questo è indispensabile, ma anche come un pluralismo di idee e di
organizzazioni che siano in grado di fornire alla società il loro
contributo. Di qui l’importanza che hanno per noi, ad esempio, le
organizzazioni sindacali e contadine. Pensiamo che allo sforzo di
trasformazione della società debbano partecipare diverse forze
sociali sane, che hanno sempre una funzione da svolgere, come quelle
degli artigiani e dei piccoli commercianti. Cito una nostra idea
particolare: al nostro nono congresso abbiamo affermato che
annoveriamo tra le forze motrici della rivoluzione italiana anche gli
intellettuali d’avanguardia, al pari di operai e contadini. Non è
possibile ignorare quanta importanza abbiano gli intellettuali in una
società moderna ed avanzata.
Per questo consideriamo
positivo il movimento studentesco, anche se rivolge critiche a noi
come agli altri partiti. Riconosciamo del resto che in questo settore
abbiamo avuto ritardi ed incomprensioni. Riconosciamo l’autonomia
del movimento studentesco, anche se contrastiamo la tendenza a
contrapporsi ai partiti. Sulle critiche che ci vengono rivolte
accettiamo il dibattito. Combattiamo le tendenze a respingere il
movimento studentesco perché sono prova di passività politica.
Anche verso gli
intellettuali nel loro insieme abbiamo la stessa posizione: al mio
ritorno avrò un incontro con alcuni di loro. So che vi si
manifesteranno critiche verso di noi e verso i paesi socialisti. Per
quanto riguarda questi ultimi riconfermeremo la nostra solidarietà,
anche se dovremo dire che non comprendiamo i ritardi con cui si
affrontano tanti problemi. Comprendiamo le difficoltà, è vero. Ad
esempio, per la Polonia. Qui si aggiungono anche difficoltà
specifiche: la posizione del clero, la tensione sociale. Neanche noi
pretendiamo di offrire modelli. Ciò che facciamo lo riteniamo valido
per la nostra realtà. La nostra esperienza potrebbe però
costituire, a nostro parere, oggetto di studio. Pensiamo che nessun
modello possa avere validità universale. Lo diciamo anche per la
vostra esperienza. Salutiamo ed apprezziamo la tendenza che avete
scelto; ma si tratta pur sempre di un’esperienza che appartiene a
voi. Questo vale, beninteso, anche per noi.
Non possiamo però
attirare e mobilitare certe forze con un’immagine del socialismo
come quella che qui c’era. Occorre un’immagine più ricca,
l’immagine di un socialismo giovane, dinamico, aperto alle esigenze
nuove di libertà della cultura e di democrazia. Dobbiamo dare più
vigore a questa immagine, che corrisponde del resto agli ideali di
sempre del socialismo, se vogliamo conquistare i giovani.
Noi teniamo anche conto
delle decisioni del Concilio Vaticano II e delle recenti encicliche
che contengono una condanna abbastanza radicale del capitalismo.
Vogliamo estendere i legami con i cattolici. Abbiamo avuto qualche
risultato con le adesioni alle nostre liste elettorali. Questa volta
anche i vescovi non hanno potuto prendere una posizione aperta di
appoggio alla Democrazia cristiana. Tutto questo vale ancor più
nella lotta per la pace. Importante è la posizione presa dal
cardinale Lercaro. Abbiamo rapporti anche col Vaticano, sia pure in
forma non del tutto esplicita. C’è una persona che stabilisce
contatti fra me e il Papa quando è necessario. Il Papa viene oggi
criticato da gruppi cattolici di sinistra. Eppure vi è una tensione,
come si è potuto constatare anche quando Johnson si è recato in
Vaticano.
I nostri rapporti con i
socialisti. Il partito si è ora unificato, ma vi sono ancora
differenze alla base. Vi sono gruppi che chiedono una revisione del
Patto Atlantico. Anche la nostra posizione è andata più avanti.
Dopo Karlowy Vary abbiamo avviato contatti anche con altre
socialdemocrazie: dapprima tramite giornalisti; poi abbiamo proposto
contatti a livello politico e diversi partiti hanno accettato. Alcuni
di questi sono in crisi perché perdono voti e cercano vie nuove. 1
nostri contatti con la socialdemocrazia tedesca hanno avuto diverse
ripercussioni. Ci sono nostri amici che non li hanno apprezzati
molto, anche se noi li abbiamo sempre tenuti informati. Reimann è
molto contento. La Sed, per dirla con un eufemismo, è invece meno
entusiasta. Eppure noi ci siamo sempre battuti perché l’Italia
riconoscesse la Repubblica Democratica Tedesca. Perché dunque noi
non potremmo fare quello che fanno anche i comunisti di Bucarest?
Abbiamo anche ottenuto qualche risultato. Per la prima volta un visto
ufficiale è stato dato ad una delegazione della Sed. Questo è stato
fatto anche in cambio dei nostri molti passi compiuti per stabilire
un contatto fra l’Italia e il Vietnam. Fanfani ha cercato di far
credere a Brandt e Kiesinger che non cambiava nulla, ma gli altri ne
sono stati colpiti. Sono stati riconosciuti diritti anche alla
delegazione commerciale della Rdt.
Continueremo a sviluppare
tutti i rapporti. Avremo contatti politici e scambi di visite anche
con i socialdemocratici scandinavi, finlandesi in particolare. Con i
tedeschi abbiamo confrontato le nostre e le loro posizioni. Si sta
preparando un nuovo incontro in Germania dopo le nostre elezioni. Era
stato proposto che Brandt mi incontrasse privatamente in Italia; poi
però, per i nostri diversi impegni di calendario, non è stato
possibile. In Germania c’è stata anche una campagna di stampa
contro questi rapporti. Un articolo ha attaccato anche i nostri
rapporti con il Papa. In realtà il Pontefice aveva chiesto che un
nostro compagno portasse un messaggio ad Hanoi. Io l’ho
sconsigliato perché certamente avrebbe chiesto delle concessioni.
Per tornare alla
socialdemocrazia, secondo le ultime informazioni, Bauer ci ha detto
che i tedeschi sono molto preoccupati e — riferisco le sue parole —
avrebbero l’idea di arrivare ad una rottura della «grande
coalizione» prima delle elezioni, perché altrimenti temono una
disfatta: questo a meno che non si arrivi invece a una rottura fra i
democratici cristiani per il contrasto fra Strauss e Kiesinger.
Qualche altra
informazione riguardante il Vaticano. Si ha l’impressione che
Tomasek abbia proposto il suo programma massimo: ritorno di Bera,
rientro di tutti i rappresentanti che sono in Vaticano, ritorno dei
millecinquecento ecclesiastici che sono stati allontanati dalle loro
funzioni e restituzione dei beni e degli edifici occupati a monasteri
ed altri enti. Alcune personalità vaticane sono però contro questo
programma massimo. Tra queste personalità vi è anche Casaroli
poiché ritiene che tale programma potrebbe provocare le reazioni
sovietiche (di cui sono preoccupati per ragioni più generali) e
rendere difficile la situazione in Lituania. Casaroli propone che si
proceda un passo alla volta: non porre adesso la questione di Beran,
né chiedere la riapertura dei monasteri, ma lasciare se mai che
queste proposte vengano fatte dal basso; lasciare facoltativo pure
l’insegnamento della religione. Nei prossimi giorni comunque
Casaroli verrà in Cecoslovacchia.
Torno un momento alla
situazione cecoslovacca. Anche le vostre posizioni sui rapporti con i
cattolici hanno un riflesso da noi. Le tesi che il compagno Dubcek ci
ha enunciato sono convincenti. Noi siamo per buoni rapporti con i
cattolici anche nel socialismo. Lo Stato socialista non deve essere
né ateo né confessionale. Non devono esservi privilegi né per
confessioni religiose, né per concezioni filosofiche, né per
correnti culturali.
I nostri avversari
sfruttano nelle loro speculazioni il nostro passato: i crimini che
sono stati commessi vengono denunciati come conseguenza del
socialismo. Contro queste posizioni noi ci battiamo valorizzando il
vostro rinnovamento. Ma allora — ci ribattono — perché non
condannate la Polonia? Noi rispondiamo che le nostre posizioni
valgono per tutti. Diciamo che ogni partito ha i suoi ritmi di
cambiamento. Riconosciamo però che i ritardi sono indubbiamente un
male. Comunque noi in Italia difenderemo e difendiamo queste
posizioni.
Vorremmo pure chiedervi
come reagite alle manifestazioni studentesche in Polonia, anche in
vista delle ripercussioni che possono avere fra i vostri giovani, i
quali non conoscono neppure il capitalismo.
Abbiamo ascoltato con
piacere quanto il compagno Dubcek ha detto sui rapporti con l’Urss
e i paesi socialisti. Comprendiamo che vi è una parte di
speculazione nelle voci diffuse in Occidente. Per quanto riguarda i
rapporti con gli altri partiti, sapete che alcuni di essi criticano
duramente il nostro partito. Noi cerchiamo di comprendere le ragioni
delle differenze esistenti. Se nelle conferenze internazionali si
manifestano voci discordanti, a noi pare che questo sia qualcosa di
positivo. Negativa e dannosa è stata piuttosto l’unanimità
forzata del passato. Ricorda gli attacchi portati ai cecoslovacchi
dal polacco Kliszko e da un dirigente tedesco. Sono metodi
inaccettabili. Quanto a noi, abbiamo dato tante prove del nostro
internazionalismo e della nostra fede nel socialismo. È una
caratteristica dell’intero movimento operaio italiano prima ancora
che del partito comunista. Perderemmo qualcosa di importante se
venissimo meno al nostro impegno internazionalistico. Un rischio di
questa natura c’è stato per voi, ma riteniamo che ormai sia stato
superato, quando c’era l’impressione che voi e sovietici non
faceste abbastanza per il Vietnam.
DUBCEK. Longo ha
parlato di un certo ritardo nostro nell’affrontare i cambiamenti.
Si tratta di una osservazione giusta. Sta qui la causa delle nostre
maggiori difficoltà. Vi erano membri del Comitato centrale che
segnalavano i nostri errori nei vari settori. Se queste critiche
fossero state accettate, se fosse stato possibile correggere gli
sbagli senza dover per questo impegnare una lotta contro la
precedente direzione del partito, tutto sarebbe stato più semplice.
Era chiaro che sbagliavamo nei rapporti con i giovani, come nella
questione nazionale. Adesso tutti i problemi esplodono
contemporaneamente. Siamo sotto pressione. Il tempo stringe. Eppure
dobbiamo compiere delle analisi profonde prima di prendere delle
decisioni, proprio per non incorrere in altri errori. Questo può
dare l’impressione che siamo talvolta alla mercé degli eventi. In
qualche caso ciò può anche essere vero. Ma nell’insieme sappiamo
dove vogliamo andare.
In Francia, in Italia, in
Germania si conoscono i nostri programmi per cambiamenti strutturali
nella nostra economia. Cerchiamo, in particolare, di migliorare il
livello tecnologico della nostra industria chimica e della produzione
di beni di consumo. I nostri istituti scientifici hanno molti
contatti con l’estero. Certi circoli economici italiani manifestano
negli ultimi tempi molto interesse per noi. Sanno che potremmo
chiedere prestiti perché ciò ci consentirebbe di andare avanti più
rapidamente. Per la verità, in questo momento francesi, tedeschi e
italiani, fanno a gara per prospettarci offerte. Sanno che i rapporti
con noi possono essere vantaggiosi, perché il carattere statale
della nostra economia costituisce una garanzia. Vogliamo comunque che
voi siate informati. Non abbiamo ancora deciso a chi rivolgerci, ma
per il momento abbiamo un interesse minore per la Germania.
Sicuramente faremo qualcosa con l’Italia. Quando negozieremo vi
terremo comunque informati.
LONGO: Noi abbiamo
contatti abbastanza stretti e reciprocamente proficui con l’Eni:
non solo per gli idrocarburi, ma per i complessi petrolchimici.
Personalmente avevo ottimi rapporti con Mattei, ma li ho buoni anche
con Cefis, che pure ha partecipato alla Resistenza. È lui che
conduce le trattative per il metanodotto. Ci informa anche delle
resistenze politiche. L’Eni ha una funzione che la porta a
scontrarsi con i monopoli internazionali, particolarmente americani.
Anche nella morte di Mattei vi sono punti oscuri.
DUBCEK: Nonostante
le nostre difficoltà, noi oggi superiamo del sette per cento il
piano nell’industria. Anche il rapporto fra incremento della
produttività e aumento dei salari è favorevole al primo termine. La
situazione per il momento sembra buona anche nell’agricoltura.
Avete visto che il
compagno Lenart è uscito. Due giorni fa abbiamo avuto una
manifestazione studentesca conclusasi con una dichiarazione sulla
Polonia. I nostri giornali hanno dato notizia di prese di posizioni
di solidarietà con studenti ed intellettuali polacchi. In questo
momento l’ambasciatore consegna a Lenart una protesta ufficiale.
Noi diciamo ai nostri compagni che, poiché non vogliamo che altri si
ingeriscano nei nostri affari, dovremmo evitare a nostra volta di
ingerirci in ciò che accade in altri paesi. Ma è un argomento poco
efficace. Questo può riflettersi sui rapporti fra i nostri partiti.
Gomulka è uomo di temperamento caldo.
Per quanto riguarda
l’Unione Sovietica vi assicuro in modo non formale che nella
direzione del nostro partito, tanto fra i cechi che fra gli
slovacchi, non ci sono differenze di posizione. Lo abbiamo già detto
dopo la sessione di gennaio del Comitato centrale proprio per
impedire alla propaganda ostile di seminare diffidenze. Lo ripetiamo
in ogni occasione. Ogni indebolimento dei nostri legami potrebbe
minacciare l’unità internazionale. Anche personalmente ho buoni
rapporti con i dirigenti sovietici. Sono preoccupati, ma si tratta di
preoccupazioni che sono anche nostre e che abbiamo quindi ben
presente.
da Primavera indimenticata, supplemento a "l'Unità" dell'11 novembre 1988