“I massmedia italiani controllati dalla solita lobby, dal Cavaliere e dalla Confindustria pompano due personaggi e ne hanno fatto due star della politica. Renzi e Vendola. Renzi a 36 anni è già un veterano della politica oligarchica essendo stato Presidente della Provincia ed ora Sindaco di Firenze. Vendola viene da una lunga carriera parlamentare ed è Presidente di una Regione che lascia perplessi per gli stipendi dei suoi amministratori”.
Qualche tempo fa su fb mi sono imbattuto in codesto “stato” del mio amico Pietro Ancona, un compagno che orgogliosamente proviene dal socialismo italiano, ma che ora sembra volere una politica socialcomunista dura e pura nel suo anticapitalismo e antimperialismo, scevra da alleanze compromissorie.
Pur consapevole di un’Italia nata storicamente contro il Sud, Ancona non rifugge dal levare in alto le bandiere dell’indipendenza nazionale che gli sembrano essere state ammainate dalla destra come dalla sinistra italiane, tutte in vario modo servili verso l’imperialismo americano e le sue propaggini europee. E spesso lascia esplodere nella rete le proprie idiosincrasie, poco curandosi delle sfumature: quel giorno oggetto della sua rabbia erano Renzi e Vendola e i mezzi di informazione che li “pompano”, orribile parola certamente usata con irriflessiva innocenza, senza la volgarità maschilista che spesso la connota. E’ sua opinione – peraltro condivisa dai bersan-dalemiani tipo il mio amico Valentino Filippetti – che i massmedia italiani ne hanno fatto due star. Poi Ancona sottolinea la loro non recente presenza nei piani alti della politica – immagino per dimostrare la loro “non novità”.
Ciò contraddice – almeno in parte - il suo assunto originario: è ovvio che la loro notorietà potrebbe non essere legata solo al “pompaggio” mediatico della lobby del Cavaliere e di Confindustria (in verità verso Vendola più di una volta Belpietro, Battista, Mieli, Feltri e Sallusti hanno tentato di sollecitare il linciaggio), ma a quello che hanno fatto nella loro storia politica.
Forse andrebbe ricordato che non è sui media, ma nel lavoro di base in Puglia, specie nei paesi in genere refrattari, ha battuto per ben due volte il Pd e il suo apparato dalemian-democristiano, fortemente mobilitati, ottenendo il sostegno non dei mercanti fiorentini (come il Renzi nelle sue primarie), ma del popolo di sinistra, nei luoghi fisici ove è più insediato.
Forse non andrebbe dimenticato che sui contratti Fiat, l’articolo 18, il governo Monti, sui matrimoni gay, insomma su quasi tutto, Vendola e Renzi non hanno la stessa posizione.
Dei due – oltre tutto – solo uno vanta il suo essere “nuovo” e il suo voler “uccidere i dinosauri”. L’altro invece, tutte le volte che può, ricorda la sua antica militanza comunista, rivendica d’essere un figlio del partito di Di Vittorio e di Berlinguer e di aver percorso tutta la trafila: Fgci pugliese, Fgci nazionale, segreteria pugliese del Pci, Direzione nazionale del Pci, Rifondazione, ecc…
Lo ha fatto per esempio, parlando qualche tempo fa a Perugia: “Mi sono iscritto alla Fgci nel 1972. Qualche anno dopo mi toccò di incontrare Natta, che nella segreteria si occupava della scuola. Volli andare a ripassarmi il latino, per non fare brutta figura. Nel Pci c’erano uomini come Natta, come Tortorella, come Pecchioli, che davano al partito una forte impronta pedagogica: non si poteva parlare a vanvera, senza prima aver studiato a fondo le questioni. Il Pci era una grande scuola”.
Che c’entra tutto questo con Renzi?
Certo Vendola rifiuta oggi le vecchie identità, crede che esse siano finite col Novecento, che sia il caso di rinnovare approcci, linguaggi e proposte. E tuttavia nulla rinnega del proprio non breve passato e, nella formazione di cui ha favorito la nascita (Sinistra Ecologia e Libertà), valorizza tutte le tradizioni da cui i suoi quadri meno giovani provengono. Pensa e dichiara, tra l’altro, che in Sel sia tuttora insufficiente l’apporto della tradizione riformistica del Psi: parla naturalmente del riformismo socialista, quello che redistribuisce i redditi e combatte le disuguaglianze, non della modernizzazione conservatrice e antiegualitaria incarnata da Craxi.
Che c’entra tutto ciò con Renzi, che fa finta di venire dal nulla?
P.S.
Questa apologia di Vendola non comporta alcun sostegno a quelli che mi sembrano suoi gravi errori politici e che ne hanno bruciato – a mio avviso – molte possibilità di iniziativa.
Parlo degli errori “pugliesi”, Verzè, l’Ilva, Taranto e quello di cui parla Ancona, non aver usato il ruolo di presidente per dare un colpo duro e a tutti evidente ai privilegi della casta dei politicanti.
Parlo degli errori nazionali: Napoli, Palermo, fino all’insistenza su primarie sempre più improbabili.
Come tattico Vendola vale pochissimo: non è al livello di D’Alema che le sbaglia proprio tutte, ma gli si avvicina.
Ma come stratega mi pare che non si sbagli. Credo che sia un passaggio necessario per il futuro dell’Italia la ricostruzione di una sinistra larga, che veda insieme (per un big bang tipo Genova 1892) il lavoro e i lavoratori, la radicalità democratica e la proposizione di riforme egualitarie, l’ambiente e il femminismo, la laicità e i diritti delle persone. Niente abiura, niente cancellazione del passato e della diversità alla maniera dei Veltroni e dei Fassino. Un nuovo inizio, invece, per un confronto aperto, senza rete e senza rendite di posizione (“federativa”) per i piccoli apparati di partito (incluso il suo) produttori di piccole carriere. L’avvio di un processo di “reinsediamento sociale” e di costruzione politica probabilmente lungo, ma che non rinuncia a ciò che del Novecento rimane positivamente in campo (la Fiom e una parte importante della Cgil, associazioni reti e movimenti ambientalisti, femministi, antimafia, gruppi intellettuali e professionali, pochi governi locali, pezzi di partito).
Temo però che il ragazzo di Puglia stia nettamente sbagliando i tempi. Ogni giorno che passa è un vantaggio per il nemico di classe. Non so se si possa ancora rimediare. Tentare però si dovrebbe.
Perché non approfittare – per esempio - del 15 agosto (120 anni esatti dalla fondazione del Partito dei Lavoratori italiani, poi Partito Socialista), per farla finalmente una sinistra di sinistra, in cui tutti quelli di sinistra si sentano a casa? Intorno a un programma semplice: difendere il lavoro, i salari e i diritti dei lavoratori; aver cura dell’ambiente, dalla sua salubrità, delle sue bellezze; far pagare le tasse a ricchi, ricchissimi senza elusioni e scudi; rilanciare e qualificare lo Stato sociale lottando contro sprechi, affarismi e burocrazie che vi si annidano; valorizzare il bene pubblico, sottraendolo a ogni affaristica contaminazione col privato; eliminare privilegi, manomorte e rendite di posizione di banchieri, prelati, corporazioni potenti, politicanti; far rinascere il senso civico facendo partecipare e contare i cittadini; combattere le mafie e le borghesie mafiose fuori e dentro gli apparati statali con il massimo di rigore e trasparenza; difendere la cultura italiana e rilanciare la scuola pubblica; ampliare i diritti di libertà individuale senza confessionalismi e morali di stato.
Non so se le ho dette tutte e le ho dette bene, ma parlo di scelte che riducono le disuguaglianze, che si riconoscono subito come di sinistra. Per fare un’identità bastano.
Vendola ha qualche caratteristica nel suo passato e nel suo presente per essere tra quelli che promuovono e aiutano la nascita del “partito che non c’è per una sinistra che c’è e più ancora potrebbe esserci”, quel partito che in tanti aspettiamo. Ho l’impressione, sgradevole, che né lui né altri lo faranno.